Visualizzazione post con etichetta Jaden Smith. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Jaden Smith. Mostra tutti i post

martedì 11 giugno 2013

After Earth

Regia: M. Night Shyamalan
Origine: USA
Anno:
2013
Durata: 100'




La trama (con parole mie): siamo in un lontano futuro nel quale l'Uomo, sopravvissuto al progressivo declino naturale della Terra e ad un'invasione aliena costruita attorno alla forza dirompente degli Ursa - creature in grado di seguire le tracce lasciate dai feromoni legati alla paura -, vive ormai lontano dal suo pianeta d'origine, ed è abituato a combattere grazie ad una tecnica perfezionata dal leggendario generale Cypher Raige, in grado di schermarsi da ogni attacco perchè completamente in controllo dei propri istinti, paura compresa.
Quando il giovane e del tutto imperfetto figlio del pezzo d'uomo suddetto, mancata la promozione a Ranger, viene aggregato dal padre ad una missione di addestramento, il rapporto tra i due pare essere di fronte ad una possibile evoluzione: l'incidente all'astronave sulla quale viaggiano e l'essere precipitati sulla ormai inospitale Terra darà loro la possibilità di provare che effettivamente entrambi possono considerare di essere pronti per il passo successivo.



Lo ammetto, aspettavo da parecchio questa recensione: diciamo che, qui al Saloon, trattare male Shyamalan è infatti un divertimento pari a quello dei tipi tosti e fichi del liceo che vessano felicemente le matricole nerd e supponenti chiudendole negli armadietti imponendo loro di improvvisarsi juke-box umani ed altre amenità di questo tipo.
Devo ammettere anche che inizialmente il mio rapporto con il buon M. Night - che a me fa venire in mente il Michael Knight di Supercar a causa della pronuncia - non era certo male, considerato che avevo apprezzato molto Il sesto senso, simpatizzato per il sottovalutato Unbreakable ed assolutamente approvato l'ottimo The village, senza dubbio il lavoro migliore del regista: peccato che, una volta giunto al successo, di shy non deve essere rimasto nulla a Shyamalan, tanto che il suddetto deve aver cominciato a pensare di essere l'erede di Orson Welles, e oltre a scrivere e dirigere le sue opere, ha pensato bene di ritagliarsi addirittura ruoli da protagonista.
Da qui l'indecoroso Lady in the water, cui fece seguito l'ancor più terribile E venne il giorno, una delle cose più insulse e ridicole che ricordi di aver visto negli ultimi dieci anni: inutile dire che, con questa escalation alle spalle, l'idea che Shyamalan dirigesse uno sci-fi formato famiglia con Will e Jaden Smith come protagonisti, l'hype per After Earth è salito alle stelle, considerato che i posti dedicati alla top ten del peggio dell'anno cominciano ormai a scarseggiare.
E come è uscito il vecchio Ford dalla visione? Un pò deluso, devo ammetterlo.
Certo, After Earth è un polpettone buonista ed insopportabile ed un elogio spudorato del nepotismo - clamorosa la scena in cui il giovane Kitai viene sorpreso a gironzolare per l'astronave dai Ranger e, sul punto di essere giustamente cazziato e bastonato, basta che uno dei suddetti pronunci il nome del suo cazzutissimo padre generale e tutti improvvisamente sono pronti a mostrargli i segreti del mostro che portano come carico speciale -, Jaden Smith è imbarazzante ed il suo genitore ancor di più, la trama telefonatissima e traboccante di scene ben oltre il limite del trash - il soldato senza gamba che chiede aiuto per alzarsi e salutare come si conviene il supergenerale senza paura Cypher riesce a far sembrare qualsiasi zuccherosità retorica a stelle e strisce praticamente una satira anti USA -, eppure nel complesso il risultato non è stato vomitevole come mi sarei aspettato dopo i primi dieci minuti.
A salvare quel molto, molto poco che c'era da salvare è il fatto che nella parte centrale della pellicola viene in qualche modo omaggiato il Cinema d'avventura che tanto andava in voga tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli ottanta con tutta la fantascienza trash che fu la base della formazione cinematografica di molti bambini del periodo, e soprattutto che nel corso della stessa la presenza dello Smith padre finisce per essere fortemente ridotta, eliminando di fatto i dialoghi e lasciando spazio ai tentativi di Smith figlio di sopravvivere alla flora e alla fauna terrestri, decisamente ostili per un fighetto cocco di papà cresciuto nella bambagia e soffocato dal senso di colpa per la morte della sorella come lui.
Come se non bastasse, la battuta finale tra i due ovviamente riconciliatisi ed ovviamente superfichi anche come famiglia rispetto al futuro lavorativo accanto alla madre - che non va certo in giro per l'universo ammazzando mostri in grado di annusare la paura - rende anche se in minima parte meno serioso e pretenzioso l'intero progetto, in ogni caso giustamente castigato al botteghino e destinato ad essere uno dei flop più clamorosi dell'anno.
Vorrei davvero infierire ancora su questo giocattolone mal riuscito firmato da uno dei registi che più detesto ed interpretato da una coppia di attori che non detesto neppure troppo, ma che nell'uso che fa dell'influenza e del "potere" che si ritrova ad Hollywood finisce inevitabilmente nella lista dei cattivi da affiggere alle mura del Saloon, ma penso che sia stato lo stesso grande pubblico a dare la loro la punizione più giusta.
Ora sono proprio curioso di scoprire come ha intenzione il signor spaccaculi non ho paura sono invincibile ed incarno il sogno americano nonchè "fucina di idee" - come definito in un servizio di un telegiornale - Will Smith a tirarsi fuori da questa merda.
Di Shyamalan non mi preoccupo. Lui ci è già sprofondato.


MrFord


"Come on baby... Don't fear the reaper 
baby take my hand... Don't fear the reaper
we'll be able to fly... Don't fear the reaper
baby I'm your man..."
Blue Oyster Cult - "(Don't) Fear the reaper" -



venerdì 7 settembre 2012

La ricerca della felicità

Regia: Gabriele Muccino
Origine: Italia/Usa
Anno: 2006
Durata: 117'




La trama (con parole mie): siamo a San Francisco nei primi anni ottanta, e Chris Gardner, che non conobbe il padre prima dei suoi ventotto anni, venditore di uno scanner medico per il quale ha l'esclusiva, cerca di fare di tutto affinchè il figlio possa sentire sempre la sua presenza.
Il macchinario, però, non si vende neanche a piangere in cinese, nonostante il piccolo Christopher frequenti una scuola economica nel cuore di Chinatown, così, una volta abbandonato dalla moglie, il buon Chris senior deve arrangiarsi tra un ricovero per poveri e la speranza di essere assunto in una grossa agenzia di broker dopo uno stage non retribuito della durata di sei mesi: il sogno americano formato Will Smith e Gabriele Muccino, un inno alla forza dei sogni e all'idea di non mollare, perchè prima o poi, nonostante le sfighe della vita, se continuerai a stare addosso a chi conta, finirai per fare i soldi anche tu.
Che, alla fine, sono la felicità.



Non sono mai stato un grande sostenitore di Muccino, fin dai tempi in cui fece successo e sensazione con L'ultimo bacio.
A dire il vero, avevo discretamente apprezzato il generazionale Come te nessuno mai, eppure direi che quello è rimasto un episodio isolato rispetto alla carriera di un regista che continuo a considerare tendenzialmente paraculo e troppo borghese, per i miei gusti da tamarro pane e salame, sicuramente abile nel costruire una scena dal punto di vista tecnico eppure troppo nevrotico e sopra le righe dalla direzione degli attori all'approccio narrativo.
Così, inesorabilmente e senza alcun patema, mi sono progressivamente allontanato dal suo operato, capitando ogni tanto nel corso di uno zapping rapidissimo di fronte allo scempio che furono Ricordati di me o l'agghiacciante Sette anime - opera seconda del regista in terra americana -: l'ultima Blog War combattuta a suon di vergogne cinematografiche con il mio antagonista Cannibale mi ha invece obbligato a tornare indietro di qualche anno per recuperare un titolo cui avevo per l'appunto felicemente rinunciato, quel La ricerca della felicità che segnò l'esordio - fortunato, tra l'altro, in termini di incassi - di Muccino oltreoceano.
In realtà, rispetto ad uno scempio totale come l'appena citato Sette anime, questo mini polpettone in salsa buonista nel pieno rispetto delle regole del Cinema per famiglie a stelle e strisce con tanto di sogni propinati alla grigliata della domenica pare quasi perdonabile al regista, il cui ego normalmente gigantesco pare fagocitato da quello ancora più grande di Will Smith, che quasi come mai prima recita oltre ogni limite di decenza trasudando una voglia di Oscar - fu candidato per il ruolo di Chris Gardner, in effetti - grande quanto un paio di ville con giardino.
Giusto per tentare il tutto per tutto l'ex principe di Bel-Air sfodera anche il colpo basso del figlio Jaden nel ruolo del piccolo Christopher, finendo solo per mostrare quanto più talento abbia il futuro protagonista del remake di Karate Kid rispetto al noto genitore: personalmente non ho nulla contro il buon Will Smith - detesto in misura decisamente maggiore Muccino -, ma l'ho sempre trovato più consono a ruoli più leggeri e meno "sono un grande attore e aspetto soltanto che l'Academy lo riconosca" che non a drammoni strappalacrime facili facili come questo, fatta eccezione forse soltanto per il magnifico Alì di Michael Mann, ma in quel caso il buon Will ebbe a dirigerlo un signor fuoriclasse.
Ma prima di finire a dedicare l'intero post a regista ed attore protagonista - e so che non potrebbero che esserne felici, considerate le loro manie di protagonismo - vorrei spostare l'attenzione sul film: tecnicamente c'è davvero poco da eccepire, nonostante un eccesso di accademismo classico che alla lunga finisce per annoiare nel corso delle quasi due ore piene di pellicola, ed il comparto tecnico funziona senza sbavature, eppure l'intera storia - ispirata alla reale vicenda di Chris Gardner, che dalla strada divenne un broker di successo nel pieno dei reaganiani anni ottanta - risulta clamorosamente e fastidiosamente patinata, quasi si viaggiasse con il piede costantemente pigiato sull'acceleratore delle scene madri e della commozione indotta tipiche di quei titoli che normalmente chi è abituato a frequentare le sale soltanto di tanto in tanto finisce per considerare filmoni degni di chissà quali recensioni, vantandosi neanche fosse Muccino o Will Smith con i colleghi di lavoro e propinandole agli amici in occasione delle serate cena più film.
Fortunatamente non è mai capitato che mi venisse proposto un titolo di questo tipo in momenti del genere - chissà, forse i miei amici sanno che altrimenti verrebbero travolti dalle bottigliate -, e ringrazio che l'esperimento dello scontro rispetto al peggio del peggio con il mio rivale sia ormai alle spalle per mettere definitivamente una pietra sopra Muccino e la sua carriera.
Certo, ci sono film decisamente più brutti di questo, sia a livello tecnico che realizzativo: in fondo io stesso l'ho seguito senza avvertirne troppo il peso dall'inizio alla fine, e la vicenda narrata giocata sul riscatto e sulla realizzazione dei propri sogni ha sempre il fascino subdolo dell'american dream, eppure i ricatti morali di questo genere tendono sempre a farmi incazzare rispetto all'idea dello stesso script finito in mani decisamente più capaci di mantenere toni sobri ed intimisti invece che lasciarsi andare a momenti a dir poco pessimi come il confronto tra Chris e suo figlio sul campo da basket, in cui nel giro di trenta secondi si passa dal "dedicati ad altro che non sia un pallone" a "non permettere a nessuno di dirti cosa fare dei tuoi sogni, neanche a me". Agghiacciante davvero.
Per non parlare dei continui riferimenti a Jefferson, da fiaba stars&stripes tutta la vita, indigestione di pollo fritto e già che ci troviamo siamo ottimisti e felicemente casa e chiesa.
Da grande fan della cultura Usa, non posso che rimanere di sale di fronte a questa visione retorica ed idealizzata della stessa, come una caramella gigante fatta ingoiare a forza cercando di convincerci ad essere obesi ed orgogliosi di esserlo.
Ovviamente, a portarla in scena non poteva che essere uno dei peggiori elementi del panorama cinematografico della Terra dei cachi, rimasto probabilmente ai tempi dei paninari.


MrFord


"I'm so darn glad he let me try it again
cause my last time on earth I lived a whole world of sin
I'm so glad that I know more than I knew then
gonna keep on tryin'
till I reach the highest ground."
Stevie Wonder - "Higher ground" -

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...