- La prima cosa che mi viene da fare è scusarmi con il vecchio, scorbutico, ironico e stronzo Greg House, snobbato all'epoca della sua rivalità in ascolti con Lost e ripreso soltanto in anni recenti, per avermi fatto ricredere sulla sua cavalcata e soprattutto ringraziarlo per aver rappresentato uno dei primi, grandi preferiti del Fordino.
- Come tutte le serie di culto, benchè popolari, anche per lo spigoloso medico era giusto giungere ad una conclusione del proprio ciclo, e l'ultima stagione chiude in bellezza forse non presentandosi come la migliore ma riuscendo a scrivere un epilogo interessante ed emozionante oltre che a mostrare quasi tutti quelli che sono stati protagonisti della saga.
- Per quest'ultima stagione è stato interessante poter vedere più o meno all'opera tutti i membri vecchi e nuovi del team di House, così come dare una sbirciata, con l'epilogo, a quello che sarà il futuro del reparto diagnostica del Princeton, e se negli anni Foreman ha perso punti, fino alla fine ho trovato sempre mitici Taub e 13, supportati dalle due interessanti new entries femminili di quest'ultima stagione.
- Come era giusto che fosse, la chiusura dedica la maggior parte del suo spazio all'amicizia tra House ed il personaggio che è stato la sua colonna nel corso degli anni, l'inseparabile Wilson, regalando anche una chicca da metacinema nel series finale citando L'attimo fuggente, considerato che l'oncologo e supporto dello Sherlock Holmes della medicina fu il volto, decenni fa, di Neil Perry, uno dei protagonisti della pellicola di Peter Weir.
- Proprio nel loro rapporto si consuma la parte più toccante degli ultimi episodi, e così come decine di volte ci si era fatti una risata sui tiri mancini del vecchio Greg al suo amico di una vita, ora resta una sensazione di malinconia perfetta per un titolo che saluta il suo pubblico, e il Saloon, tra l'altro infilando la chicca, nel finale, di un pezzo dell'ultimo disco di Warren Zevon, altro fordiano ad honorem, Keep me in your heart.
- Non resta che recitare un bel "so long", dunque, ad un charachter senza dubbio memorabile ed una serie che a suo modo e per molti è da considerare un cult, ripensando a quante cose negli ultimi anni siano cambiate nella mia vita. E che quelle stesse cose hanno finito per permettermi di non diventare stronzo quanto House. O almeno, cercare di esserlo in misura minore.
Insieme all'ostracizzato Frank Underwood e all'impenitente Frank Gallagher, Gregory House è ormai parte integrante del trittico di veri stronzi che il Fordino adora incondizionatamente: proprio la sua passione per il claudicante medico dipendente da Vicodin è stata il motivo scatenante del recupero delle sue avventure, ai tempi - come i frequentatori abituali del Saloon ben sanno - ignorate o quasi da questo vecchio cowboy a causa della "guerra di ascolti" che coinvolgeva lo stesso House e Lost, che da queste parti era ed è quasi una religione.
Schermaglie da "tifoseria" a parte, devo ammettere di essermi molto divertito nel seguire quello che è e resta un prodotto d'intrattenimento senza picchi particolari ma che ha mantenuto sempre piuttosto costante la sua qualità con poche battute d'arresto e stagioni come questa - la penultima ad essere trasmessa - addirittura migliori delle precedenti: a partire, infatti, dal cambio di direzione fornito dall'inizio di una storia d'amore tra House e la sua direttrice sanitaria, Lisa Cuddy - altro personaggio chiave della produzione - fino alle conseguenze di questo stesso rapporto, il settimo anno del bastardissimo Greg non ha segnato alcuna crisi, ed al contrario ha proposto alcuni degli episodi più interessanti dell'intera serie - il primo che mi viene in mente è Nella notte, ma ricordo anche con molto piacere la puntata "cinematografica" con tanto di citazioni riferite a pellicole cult per il pubblico amante del grande schermo - e seppur non piazzando la zampata conclusiva - il finale ha il sapore del già visto - si propone come uno dei più interessanti dell'intera serie.
Come di consueto, poi, accanto all'imprevedibile e sempre irriverente immunologo, viene riservata attenzione anche all'evoluzione delle vite e dei caratteri dei suoi collaboratori, dagli storici Chase e Foreman - spentosi un pò nel corso degli anni - ai più "recenti" Taub - che resta la vera sorpresa della squadra di House, in bilico tra aria da loser, personaggio da commedia e jolly su tutta la linea - e 13 - che lanciò Olivia Wilde, allora non nota certo come oggi -, fino alla meteora Masters, praticamente l'opposto di tutto quello che rappresenta l'instabile medico e dunque perfetta sia nel ruolo di spalla comica che di contrappeso in termini etici - peccato, in questo senso, averla tolta dal gioco così frettolosamente -: in un certo senso, tornare ogni volta nell'ufficio di House è diventato un appuntamento piacevole e rilassante, quasi come se questa proposta ai tempi così nettamente snobbata si fosse rivelata ben più vicina al mio cuore di spettatore di quanto non potessi neppure immaginare.
Senza dubbio il Fordino ha fatto e continua a fare la sua parte in questo, ma devo ammettere che se l'appeal dei personaggi non fosse stato lo stesso o la qualità fosse calata drasticamente non avrei certo esitato a trovare un modo per dirottare le attenzioni del piccolo Ford su altro: merito, dunque, di autori ed attori aver dato vita ad un mondo sicuramente pop nelle ambizioni ma ugualmente in grado di coinvolgere piacevolmente anche chi cerca, piccolo o grande schermo che sia, anche un salto di qualità autoriale.
E se dopo sette anni ancora il risultato è questo, significa che la cura di House ha senza dubbio successo.
La mia storia rispetto alla serie dedicata allo Sherlock Holmes della medicina, il Dottor House, è davvero strana: ai tempi del suo massimo successo, da fan adoratore di Lost, detestavo cordialmente quello che era diventato uno dei rivali - in termini di audience - dei naufraghi più famosi del piccolo schermo, boicottandone la visione e lasciando che scorresse verso l'inevitabile conclusione senza alcun colpo ferire.
Quando, anni dopo, la necessità di trovare qualche titolo valido per coprire la fascia dei pasti di casa Ford senza scombinare troppo la crescita del Fordino portò me e Julez a ripescare proprio il sarcastico e cinico immunologo, le cose cambiarono.
Dalla sigla al personaggio, infatti, tutto quello che riguardava il burbero Greg House divenne cult proprio per l'allora più piccolo del Saloon almeno quanto Frank Gallagher - altro suo idolo da piccolo schermo -, e dunque il recupero dell'intera serie è divenuto, stagione dopo stagione, una richiesta specifica del Fordino, attratto più che dalle questioni mediche dal fatto che House non si preoccupi di provocare l'ira di chi gli sta attorno, e dal comportamento del medico più irriverente che la fiction abbia mai prodotto.
Alle spalle una stagione decisamente sottotono - la numero cinque, indiscutibilmente la peggiore che il brand abbia conosciuto - il Nostro riscatta la sua posizione tornando agli standard cui aveva abituato il pubblico, cambiando nuovamente la formazione del suo team, regalando una prima manciata di episodi in pieno stile Qualcuno volò sul nido del cuculo ed un'evoluzione sentimentale che coinvolge dapprima l'amicizia con Wilson e dunque il rapporto con la vecchia fiamma mai sentita sulla pelle Lisa Cuddy, pronta a regalare un season finale in pieno stile romantico ad alimentare domande e curiosità a proposito del settimo e penultimo anno di produzione della serie.
Dal canto nostro, i Ford ora riscopertisi - almeno per quanto mi riguarda - fan dello stronzissimo specialista e dei suoi "protetti" - nel corso degli anni il posto da favoriti è stato preso saldamente da Taub e Tredici - attendono di scoprire quale sarà stato il destino scelto per la sua maturazione dagli autori, e di veder crescere il Fordino, che già ora dichiara di voler diventare ad ogni costo "medico degli animali", accanto ad uno dei suoi primi miti televisivi, dai tempi in cui batteva le mani al ritmo della sigla ad oggi, quando è pronto a chiedere quali siano le ragioni per le quali il paziente di turno sta male così tanto da aver bisogno dell'intervento di un pezzo grosso come House.
Con il passare dei mesi e delle stagioni quello che, tempo fa, era soltanto un recupero riempitivo di una vecchia serie di culto buono per pranzi o cene in casa Ford, ha finito per assumere un'importanza sempre maggiore grazie all'ascendente esercitato dal suo protagonista - lo spigoloso Greg House - sul Fordino, che ha nel buon dottore uno dei suoi idoli da piccolo schermo.
Puntata dopo puntata, devo ammettere che anche rispetto al sottoscritto un titolo che odiavo cordialmente ha finito per tramutarsi in un guilty pleasure in costante escalation, con tanto di culmine nella stagione quattro, curiosamente la migliore nonostante fosse stata realizzata nell'anno terribile per le serie televisive dello sciopero degli sceneggiatori.
Purtroppo, e per la prima volta, con questa quinta annata il Saloon ha ricevuto la sua prima, grande delusione dal medico claudicante e dal suo staff: una season che procede stancamente, ripetitiva, priva degli spunti interessanti delle precedenti, ripresasi soltanto nella manciata di puntate conclusive a causa della morte di uno dei medici al lavoro per House - evento improvviso che fu legato al fatto che l'attore che lo interpretava ebbe un ruolo nella prima amministrazione Obama e dovette rassegnare le dimissioni - e la conclusione, che mostra un House sempre più instabile prendere una decisione che potrebbe influire e non poco sull'evoluzione del personaggio e delle restanti tre seasons.
Troppo poco, comunque, considerati i quattro anni precedenti e le potenzialità di un personaggio che ha la grande fortuna di riuscire a conquistare grandi e piccini senza per questo doversi "svendere", rimanendo fedele al suo essere un vero stronzo.
Anche l'evoluzione della relazione di Cameron e Chase ed il nascere di quella tra Foreman e 13, o il ruolo di "anti House" di Taub e quello di eterna storia d'amore mancata della Caddy riescono a dare verve ad un giro di giostra davvero sottotono, che abbassa e non di poco l'hype per quelli successivi e forse finisce per perdere anche diversi punti rispetto al Fordino, che di norma avvinto dalle vicissitudini dell'esperto immunologo si è dedicato per buona parte della stagione a rendere a noi davvero difficile la fruizione di ogni puntata grazie ad interminabili monologhi a volume altissimo tenuti a tavola.
Considerato che, a meno di tracolli devastanti o di schifezze atomiche, non abbandono mai una serie, posso solo sperare che da qui in avanti quel sacco di merda di Greg House torni ad essere se stesso e scuota un titolo che, l'avessi visto ai tempi, mi avrebbe fatto considerare l'idea che, forse, con questa quinta stagione si era arrivati al punto del non ritorno, quello dato dalla chiusura prima di andare definitivamente in vacca.
Dexter e True Blood ne sanno qualcosa.
Ai tempi degli ultimi Globes, con The night of appena passato su questi schermi e la classifica delle migliori serie televisive del duemilasedici in procinto di essere stilata, rimasi sorpreso dei premi raccolti da The night manager, produzione HBO - come The night of, del resto - ispirata ad un romanzo di spionaggio di John Le Carrè ed interamente diretta dalla garanzia Susanne Bier.
L'approdo in casa Ford - almeno momentaneamente - del box di Now TV - utile per arginare le intemperanze dei Fordini nei giorni successivi alle serate passate a casa della mitica suocera Ford per godere di cene ottime, buona compagnia e di Sky - ha permesso agli occupanti del Saloon di buttarsi in un recupero lampo - ventiquattro ore per sei puntate da un'ora, un record considerati i piccoli - che ha permesso di constatare che no, una sequela di premi conquistati in barba al di nuovo già citato The night of, non ci stavano, ma che in termini di spy story con risvolti romantici e confezione impeccabile questo The night manager funziona eccome, in particolare nella prima metà del suo percorso, nel corso della quale assistiamo, tra Egitto, Svizzera, Inghilterra e Spagna all'approdo da infiltrato dell'ex militare divenuto, per l'appunto, night manager d'albergo Jonathan Pine alla corte del multimilionario nonchè trafficante d'armi nascosto Richard Roper: regia glaciale e perfetta per questo tipo di prodotto, ottima suspance, un più che convincente Tom Hiddleston - decisamente superiore al suo collega e rivale sullo schermo Hugh Laurie, al quale vorrò sempre bene in quanto ex House ma in questo caso più in grado di mostrare i suoi limiti che altro -, una bellissima Elizabeth Debicki - per quanto io non sia un amante delle valchirie di un metro e novanta bionde e con poche forme - ed un'escalation che tiene lo spettatore incollato allo schermo in attesa di scoprire come si concluderà la vicenda.
A remare contro l'efficacia complessiva del prodotto - indiscutibile, comunque - vanno sicuramente considerate la scarsa empatia con chiunque non sia abituato allo spionaggio come genere, un ritmo che non va di pari passo con la tensione ed una seconda metà più votata all'azione molto meno efficace della prima in termini di sceneggiatura - "l'eliminazione" del charachter del figlio di Roper, fondamentale in partenza, mi è parsa fin troppo frettolosa, così come alcuni aspetti della risoluzione della trama nel finale -: un prodotto, dunque, funzionale e molto bello da seguire ma emotivamente e nelle sfumature ben lontano da quelli che finiscono per essere ricordati, o considerati veri e propri cult, grande o piccolo schermo che sia.
Se, ad ogni modo, siete in cerca di un prodotto in grado di unire azione e tensione - di norma prerogative maschili - così come tensione sessuale e romantica - stesso discorso, al femminile -, siete fan di un certo tipo di titoli tipicamente anglosassoni o alla ricerca di un'opera che ricordi le grandi storie da 007 in poi figlie degli anni sessanta e settanta, allora avete trovato pane per i vostri denti: perchè The night manager è contenuto e confezione, seppure, forse, non per tutti e non per chi si aspetta il titolo destinato a rivoluzionare il panorama del piccolo schermo.
Considerata, inoltre, la qualità assolutamente cinematografica della confezione, direi che non c'è davvero nulla da eccepire o per cui lamentarsi.
Se non, nel mio caso, dei premi "scippati" a The night of.
Ricordo molto bene la non troppo cordiale antipatia che provavo ai tempi del boom delle serie tv capitanate da Lost rispetto ad House, che considerati formato, tipologia ed approccio simile a quello dei fumetti seriali all'italiana in cui tutto cambia per non cambiare soprattutto rispetto ai personaggi mi pareva avesse davvero troppo successo non solo presso il grande pubblico per meritarlo davvero.
Il tempo è passato, e prima sotto i suggerimenti di Julez - che indovina sempre i titoli giusti da associare ai pasti di casa Ford, lasciando i pezzi più pregiati ed impegnativi per i dopo cena - dunque a seguito delle insistenze del Fordino - sarà curioso, ma Greg House e Frank Gallagher sono i suoi due charachters favoriti del piccolo schermo - è partito un massiccio recupero in modo da colmare un vuoto che molti fan del piccolo schermo di mia conoscenza trovavano assolutamente ingiustificabile.
La prima riflessione che nasce dalla visione di questa quarta stagione è principalmente legata ad una curiosità: nell'anno, infatti, del grande sciopero degli sceneggiatori che mise in crisi praticamente tutte le produzioni di allora, e consegnò al pubblico annate "monche" e decisamente meno riuscite - due titoli sacri da queste parti come il già citato Lost e Friday night lights conobbero le loro season "peggiori" proprio nel corso di questa protesta, rispettivamente la quarta e la seconda - House trova, almeno finora per quanto mi riguarda, la sua migliore, iniziata con la ricostruzione della squadra del pungente medico concepita come una sorta di "gioco ad eliminazione" tra aspiranti - tra i quali spicca un'allora decisamente poco conosciuta Olivia Wilde - e chiusa con un doppio episodio che non solo risulta essere senza ombra di dubbio il più coinvolgente emotivamente della produzione, ma riesce anche, con l'addio ad uno dei personaggi, ad essere quasi commovente.
Grazie a questi due eventi la serie, come scrivevo poco sopra, "cambia per non cambiare" mantenendo comunque fresca la sua formula vincente data dall'unione tra House ed i suoi maltrattati collaboratori ma non rinuncia neppure a scavare nel cuore di un personaggio che cuore, almeno all'apparenza, non ha: il fatto che la morte colpisca qualcuno vicino a qualcuno a lui molto vicino potrebbe segnare e non poco lo sviluppo futuro di questo sicuramente affascinante protagonista, che una battuta cattiva dopo l'altra è riuscito a conquistare piccoli e grandi qui al Saloon.
A questo punto, considerato quanto bene sono riusciti gli autori a cavarsela in quella che è stata l'annata nera del piccolo schermo, l'hype per la quinta non può che aumentare, ed accorciare i tempi della "vacanza" di House agli occhi del Fordino, che molto probabilmente non dovrà attendere tanto quanto per rivedere Frank Gallagher su questi schermi per poter ancora una volta godersi la lingua tagliente dello Sherlock Holmes della medicina televisiva.
Nell'ambito delle produzioni televisive mainstream ricordo, ai tempi dell'esplosione di Lost, che evitai per pregiudizio il serial dedicato alle gesta del medico più irriverente del piccolo schermo, al secolo Gregory House: troppo concentrato sulle disavventure degli esuli dell'Oceanic 815, mi interessava poco imbarcarmi in una serie più di accompagnamento che altro, senza coinvolgimento emotivo.
Con l'arrivo del Fordino prima e della Fordina poi e l'innalzamento di decibel e caos durante i nostri pranzi e cene domestici, la necessità di prodotti più easy si è fatta sentire, e dunque è tornato alla ribalta questo charachter spassosissimo da seguire, ormai un idolo anche per il già citato Fordino, che non vedeva l'ora di ogni nuova puntata per vedere House mentre "tratta male qualcuno": personalmente, ho trovato questa season numero tre la migliore, per ora, del brand, complici una prima metà segnata dalla rivalità tra il nostro medico ed un poliziotto interpretato dal caratterista David Morse ed una seconda incentrata sulla progressiva spaccatura tra il main charachter e la squadra dei suoi collaboratori, a partire da Foreman - mio personale favorito, con appoggio e sostegno sempre del piccolo Ford -.
Interessanti anche gli episodi riempitivo come quello ambientato tutto all'interno di un volo di linea, e divertenti sia le trovate provocatorie di House che i suoi siparietti con l'amico e collega Wilson e la direttrice dell'ospedale Caddy: ora come ora, sono molto felice di aver deciso di recuperare una serie impegnativa - in termini di numero di stagioni ed episodi - ma assolutamente godibile e fresca, che non avrà certo pretesa di diventare una delle mie favorite di sempre - parliamo comunque di un prodotto in stile "fumetto seriale", all'interno del quale le evoluzioni dei personaggi e delle storie saranno sempre e comunque limitate - ma che so già mi accompagnerà con discreta soddisfazione fino alla sua naturale conclusione, pur con le tipiche tempistiche "a lungo raggio" del Saloon.
Rispetto a proposte dello stesso "filone" come E. R. o Grey's Anatomy, mi pare che House riesca a mantenere una certa unicità dovuta al carattere spigoloso del "bad guy" che da il nome alla serie ed alla sua specializzazione - immunologia -, che permette anche allo spettatore di esplorare varianti più uniche che rare di malattie e patologie, lontane dalla "vita in corsia" dei serial citati poco sopra - che, soprattutto per quanto riguarda Grey's Anatomy, restano un vero e proprio must see soprattutto della signora Ford -, e, almeno per ora, a non apparire troppo imprigionato nell'epoca della sua realizzazione.
Tutte qualità che, per accompagnare i pasti movimentati di casa Ford, stanno come una bella sambuca digestiva: un gran bene.
La trama (con parole mie): Casey Newton, adolescente inquieta dalla curiosità scientifica da esploratrice dell'ignoto, arrestata dopo l'ennesima incursione all'interno di un impianto in disuso per il lancio dei razzi, al rilascio scopre tra i suoi oggetti personali una strana spilla legata all'Esposizione Universale di New York del sessantaquattro, che ad ogni tocco le permette di ritrovarsi proiettata in una realtà sconosciuta.
Sconvolta dalla scoperta, e decisa a tutti i costi a scoprire per quale motivo pare essere l'unica a vivere sulla pelle lo strano fenomeno, Casey viene in contatto con Athena, giovanissima emissaria del mondo che lei stessa sta scoprendo attraverso le visioni provocate dalla spilla, e con Frank Walker, ex bambino prodigio, inventore in isolamento che, negli anni sessanta, come lei fu scelto dalla stessa Athena per passare dall'altra parte ed essere fulcro di un mondo che pare combinare scienza e speranza per un futuro migliore.
Quello che però Casey e Frank scoprono, è che Nix, governatore di Tomorrowland, pare essere deciso a tener fede ad un conto alla rovescia che porterà, a quanto pare, alla fine della Terra.
Riusciranno i due improvvisati alleati ad avere la meglio?
Ricordo bene quando, nel pieno degli anni ottanta della meraviglia delle pellicole fantasy, sognavo spesso e volentieri di essere protagonista di una qualche avventura mozzafiato per la quale ero stato prescelto a causa di un qualche talento che ancora non avevo scoperto di avere, e come un buon Goonie, grazie all'impegno ed alla presa di coscienza di me stesso, sarei riuscito, dopo mille difficoltà, a compiere la missione per la quale ero stato designato.
Lo stesso spirito mi guidò nella scoperta del Fumetto e nella passione che nutrii per oltre un decennio per le nuvole parlanti, con la predilezione destinata agli eroi outsiders, quelli sui quali non si avrebbe mai puntato, i sognatori: Brad Bird, che nel corso degli anni è riuscito a fare breccia nel cuore del sottoscritto grazie agli splendidi Il gigante di ferro e Gli incredibili, cui ha fatto seguito il discreto Mission impossible: protocollo fantasma, ha fatto ritorno sul grande schermo con una pellicola ispirata nientemeno che da un'attrazione da parco divertimenti sfruttando la stessa per tornare ancora una volta a mostrare tutta la passione che lui stesso deve aver provato per le avventure di formazione, con i loro eroi ed atmosfere.
Tomorrowland - Il mondo di domani, giocattolone in pieno Disney-style con tanto di protagonisti dal grande potere di richiamo per i fan più - Britt Robertson - e meno - George Clooney - giovani, non inventa di fatto nulla di nuovo, ma presenta bene il suo materiale, avvince nonostante una durata forse eccessiva, e condisce il tutto con buoni effetti ed un'evoluzione che rispetta in pieno lo svolgimento telefonato ma coinvolgente di tutte quelle pellicole che, come in un viaggio nel tempo o un'esposizione universale d'altri tempi, portano il pubblico - almeno di una certa età - a sfiorare la sensazione che si prova, di norma, quando si è ancora all'inizio del proprio percorso di crescita.
La sfida tra Casey e Frank, la prima eroina iperattiva e piena di energie, il secondo antieroe disilluso e solitario, e dunque quella tra loro e Nix rinnovano il confronto - e la lotta - tra gioventù ed età adulta, innocenza e maturità, stupidità e saggezza, e lo fanno rispettando appieno quelle che sono da sempre state le regole che un film apparentemente per ragazzi dovrebbe seguire: desiderio di raccontare una storia, di crescita, di confronto, di avventatezza ed in parte di timore.
Perchè se è pur vero che il ruolo dei sognatori - anche nel pieno della realtà in cui viviamo, senza scomodare universi paralleli perfetti e dal fascino vintage della fantascienza classica - è fondamentale, d'altro canto lo stesso è pareggiato dai compromessi che si è costretti a concedere alla vita vissuta, gli stessi che rendono così esaltante ogni fuga come quella rappresentata dalla pellicola di Bird, che trasuda fascino d'altri tempi e voglia di ritrovarsi in un drive-in di quarant'anni - e forse più - or sono, per viaggiare con il cuore e la mente oltre i confini che solo la fantasia può imporre.
Senza dubbio il rischio di apparire come una proposta troppo telefonata è concreto, i richiami a recenti esperimenti non riusciti come Il mondo di Jonas evidente, il fascino della cornice a metà tra il ricordo dei giochi d'infanzia e la malickata molto labile, alcune parti rese macchinose da una sceneggiatura che mette, probabilmente, troppa carne al fuoco, eppure la visione scorre senza colpo ferire, finendo per regalare momenti decisamente interessanti - la fuga attraverso la Tour Eiffel con tanto di spiegazione del reale scopo della stessa, a metà tra i fumetti steampunk e la narrativa in stile Jules Verne - e lasciando una sensazione di discreta soddisfazione al termine della visione, cosa decisamente positiva per un prodotto, di fatto, indirizzato esclusivamente alle famiglie e centro di gravità di un mercato dal target ben preciso e ruffiano - la produzione Disney, in un modo o nell'altro, finisce per concedere tutto il concedibile, finale compreso -.
Dunque, pur senza aspettarvi il miracolo, dovesse capitarvi una serata di tranquillità estiva, mollate tutto, tornate bambini, e lasciate che Brad Bird vi porti ad esplorare un mondo per soli sognatori: quelli che siamo stati tutti, e che forse siamo ancora.
MrFord
"I don't know how I'll feel,
tomorrow, tomorrow,
I don't know what to say,
tomorrow, tomorrow
is a different day."
La trama (con parole mie): proseguono le indagini mediche dai metodi anticonvenzionali per Greg House ed il suo team, alle prese con situazioni sempre ai limiti della casistica tradizionale e nuove minacce sanitarie e non che arriveranno a colpire perfino i membri della squadra, da Foreman ad House stesso, complice una vecchia conoscenza giunta dal passato per vendicarsi di lui.
Come se tutto questo non bastasse, la vita privata di Wilson ed i trascorsi sentimentali con la psicologa dell'ospedale porteranno il poco incline alla disciplina dottore a dover lottare quanto e più del solito non solo con gli schemi ed il dolore con il quale è costretto a convivere, ma anche con i rapporti interpersonali, sempre più difficili da gestire per un "cattivo per scelta" come lui.
Neppure il tempo di abituarsi al recupero tardivo della prima stagione, ed ecco che lo spigoloso House torna a fare capolino al Saloon, di fatto entrando a far parte delle proposte da intrattenimento godereccio e pane e salame tipiche del momento pasti per gli occupanti di casa Ford, ormai monopolizzati - giustamente - dal Fordino e dunque legati alle visioni più leggere possibili per quanto riguarda il piccolo schermo.
La seconda stagione dedicata alle gesta del medico pronto a rivaleggiare con il Cox di Scrubs per il titolo di "stronzo positivo" del genere ospedaliero mantiene le promesse fatte dalla prima, continuando il lavoro di approfondimento sui main charachters - da House stesso ai membri della sua squadra, passando per l'amico oncologo Wilson e la direttrice Caddy - e la struttura in perfetto equilibrio tra episodi autoconclusivi e sottotrame pronte ad evolversi ed esplorare principalmente tutto quello che i personaggi portano con loro oltre il ruolo di medici: in questo senso, l'apice della seconda stagione giunge in parallelo al doppio episodio legato all'infezione che colpisce, durante le indagini per un caso più complicato ed insolito di quanto siano soliti - come in un gioco di parole - affrontare i nostri -, Foreman, il mio personale favorito, e che porterà House ed i membri della sua equipe a spingersi oltre i confini ben più di quanto non accada già di norma - Foreman stesso compreso -.
A fare da eco all'appena citata doppietta, il season finale costruito sull'incertezza del futuro di House, la prima dozzina di episodi incentrati sul rapporto tra lo scorbutico dottore e la sua storica ex, nonchè psicologa dell'ospedale, e l'episodio incentrato sulla Fede ed il rapporto con i "piani alti", una sorta di scontro all'ultimo sangue tra Scienza e Religione.
Senza dubbio la struttura della proposta è ancora piuttosto simile a quella dei fumetti "all'italiana" in cui i personaggi finiscono per essere sempre uguali a loro stessi nonostante i cambiamenti - si veda, ad esempio, la sbandata di Cameron nel momento di alterazione capace di far crollare le sue usuali barriere -, eppure gli episodi scorrono in grandissima scioltezza, tanto che in più di un'occasione ho finito per chiedermi come mai, ai tempi della sua programmazione, non abbia concesso una possibilità, neppure per svago, a questo insolito medico dallo stile molto simile a quello di uno Sherlock Holmes della medicina meno inglese e pacato.
Il vecchio House, infatti, con i suoi demoni interiori e l'insistita e reiterata voglia di apparire come lo stronzo principe - o principe degli stronzi - cui imputare tutti gli eventuali mali e le conseguenti colpe, possiede molte delle caratteristiche che, di norma, per un certo grado di affinità, finiscono per attrarmi inesorabilmene in charachters di questo genere: l'approccio del sottoscritto è forse meno sopra le righe - parlando di medicina, penso di sentirmi molto più vicino al Karev di Grey's anatomy, altro finto bad guy illustre del piccolo schermo -, e dovessi lavorare con un individuo della pasta del claudicante Greg mi ritroverei un giorno sì e l'altro pure ad essere roso dal dubbio se sostenerlo o rifilargli un paio di cazzotti come si deve - un pò quello che fa il già citato Foreman, non a caso il mio preferito -.
La visione delle sue peripezie ospedaliere e non, comunque, accompagna piacevolmente, permettendo anche a Julez di regalarsi un paio di momenti di gloria - due diagnosi legate a malattie assolutamente assurde e semisconosciute azzeccate grazie ai recenti studi della signora Ford - e preparando il terreno per la terza annata, che se continuerà a mantenersi sui livelli delle prime due viaggerà in acque tranquille, e se dovesse fare un passo ulteriore nell'approfondimento e nella qualità, potrebbe addirittura farmi ricredere rispetto a tutti i sostenitori che, ai tempi, si dichiaravano pronti a tutto nel considerare House una delle migliori proposte televisive dei primi Anni Zero.
MrFord
"Look at them go
look at them kick
makes you wonder
how the other half live."
La trama (con parole mie): Gregory House, specialista riconosciuto di immunologia, lavora in una clinica universitaria del Jersey accanto a tre giovani e preparati medici che non esita a trattare da par suo, la pacata Cameron, l'esplosivo Foreman e lo sfaccettato Chase. In bilico tra i conflitti con la direttrice della struttura, la dottoressa Caddy, e le confidenze con l'amico ed oncologo Wilson, il cinico e pungente dottore si confronta con casi in grado di mettere in difficoltà i medici di qualsiasi ospedale e le loro procedure standard, avanzando per ipotesi e supposizioni lungo la strada che conduce alla guarigione del paziente.
Sempre sopra le righe e pronto a rischiare, House è abituato a scontrarsi non solo con le patologie, ma anche e soprattutto con la burocrazia ed i suoi superiori, dal primo all'ultimo incapaci di capire davvero se quell'uomo claudicante e dallo sguardo spiritato sia il loro asso nella manica o il loro peggiore incubo.
Mi pare già di sentire il consueto berciare del Cannibale a proposito dei tempi lunghi del sottoscritto e del Saloon, resi evidenti dal recupero di una delle serie di culto dei primi anni zero rimasta a lungo volutamente ignorata da queste parti, principalmente a causa dell'antipatia che sviluppai - ingiustamente - rispetto al caustico Gregory House, all'epoca il vero rivale in termini di ascolti dei miei tanto amati esuli lostiani.
Ora, a tre anni e mezzo dall'ultimo episodio dedicato ai sopravvissuti dell'isola, ho deciso dunque di firmare una tregua con il vecchio House per la felicità di Julez, che da parecchio, ormai, premeva per un recupero dedicato alle sue vicende da indirizzare nel nostro spazio cena, e devo ammettere di esserne a tutti gli effetti stato felice già dalla sigla, la preferita del Fordino per le sue ormai consuete esibizioni di ballo.
Per quanto riguarda il resto e quello che non riguarda la gioia di guardare crescere il più giovane ed importante membro della tavola dei Ford, il prodotto che fece esplodere letteralmente la notorietà del fino a quel momento spesso ignorato Hugh Laurie funziona ed intrattiene a dovere, di fatto apparendo ai miei occhi come un fratello del successivo The mentalist, altro serial incentrato su un main charachter sopra le righe e completamente immune a regole ed imposizioni alle prese con casi per tutti gli altri apparentemente impossibili.
Azzeccato, dunque, il protagonista, perfettamente nel ruolo i comprimari - anche se mantengo le riserve su Chase, inizialmente inquadrato come il classico bravo ragazzo e di punto in bianco diventato il bastardello che sarebbe stato pronto a pugnalare alle spalle il burbero mentore - ed interessanti le storie, lontane come atmosfera e casistiche dai vari capistipite del genere medico, da E.R. a Grey's anatomy: certo, l'impressione è che la serie sia ancora appena abbozzata, e che il suo potenziale sia a tutti gli effetti piuttosto lontano da raggiungere il suo apice, eppure i margini di miglioramento sono ben presenti, e la sensazione di questo vecchio cowboy è che quello scorbutico specialista in malattie e sindromi dai nomi che paiono inventati di sana pianta abbia ancora al suo arco parecchie frecce, pronte a colpire il bersaglio grosso con le stagioni a venire.
Non sarebbe male, in questo senso, che alle quotidiane insubordinazioni del determinato Greg si aggiungessero più sottotrame a lungo termine - utili per approfondire i protagonisti senza che si perdano nel fumettistico formato degli episodi autoconclusivi - ed un'ulteriore analisi dei lati oscuri dello stesso, che sarà pure irresistibile quando maltratta colleghi, superiori e pazienti come fosse la cosa più naturale e giusta del mondo, ma che obiettivamente cela ancora più di un'ombra in grado di renderlo un riferimento imprescindibile per il piccolo schermo.
Sicuramente avrò scritto troppo poco per i fan hardcore del Nostro, lasciando spazio più che altro alle speranze che questo titolo riserva per il futuro - che per loro è il passato, di fatto -, eppure preferisco tenermi buono il meglio per quello che deve ancora venire - sempre per il qui presente ritardatario professionista -, godendomi nel mentre i casi che House dovrà risolvere fingendo con apparente distacco che, in realtà, il più complesso e difficile tra loro è quello rappresentato dal suo stesso spigoloso, pungente, scombinato e profondamente aritmico cuore.
MrFord
"So if you please get on your knees
there are no bills, there are no fees
baby, I know what your problem is
the first step of the cure is a kiss
so call me (Dr. Love)."
La trama (con parole mie): Tom Ludlow, un detective dai metodi decisamente sopra le righe della Squadra Speciale della polizia di L. A. protetto dal Comandante Wander, è tallonato dagli Affari Interni a causa delle sue azioni spesso e volentieri ben oltre la legge.
Quando decide di affrontare Washington, suo ex partner che collabora alle indagini che lo vedono come un obiettivo, quest'ultimo viene ucciso da due comuni rapinatori: ma quello che è nascosto sotto il tappeto del Dipartimento è ben più di un fatto di sangue casuale, e Tom scoprirà di dover lottare da solo - o quasi - contro un sistema che ormai appare inesorabilmente corrotto dall'interno.
La strada per la verità sarà dura, terribile e costellata di cadaveri, ma Ludlow non è disposto a venire a compromessi: del resto, la sua vita ed il suo gioco sono sempre stati votati all'estremo.
Ormai sapete bene quanto in casa Ford si apprezzino storie noir e torbide con un sacco di morti ammazzati, intrighi e corruzione come se piovessero, sparatorie ed un gusto per l'action spiccato, pur se messo al servizio di uno script che va oltre quello stesso concetto: La notte non aspetta - pessimo adattamento italiano per l'originale Street kings - rispecchia appieno queste caratteristiche.
Scritto da James Ellroy e portato sullo schermo da David Ayer - sceneggiatore di Training day e già regista del solido Harsh times -, interpretato da manuale dalle garanzie Keanu Reeves e Forest Whitaker, questo film avrebbe tutte le carte in regola per sfondare una porta già spalancata ed entrare a testa bassa trovando un posto tra i preferiti del genere del sottoscritto.
Eppure, come avrete già notato dal voto, la visione non porta a nulla più che una striminzita sufficienza ed una visione giusta giusta per riempire una giornata di relax, andando a contraddire di fatto tutto quello che ho scritto in proposito fino ad ora: cosa, dunque, porta un film potenzialmente di culto ad essere soltanto un riempitivo, pur se ben realizzato?
Principalmente il tempismo.
Infatti, questo lavoro di Ayer giunge con colpevole ritardo rispetto ad altri più o meno capisaldi del genere come L. A. Confidential - sempre targato Ellroy -, il sorprendente e misconosciuto Narc, il già citato Training day ed anche il sottovalutato Copland: il tema della corruzione nel corpo di polizia con l'outsider pronto a riscattare il buon nome - più o meno - del Corpo facendo piazza pulita delle mele marce è un concetto ormai ben noto agli amanti di questo filone, che ha già trovato il meglio del suo meglio anche nell'ambito televisivo grazie a quella meraviglia che fu The Shield - che ha molti punti in comune con questa pellicola -, visione peraltro decisamente più pessimista di quelle fornite dai film appena segnalati.
Nonostante, dunque, il grande mestiere messo al servizio di un film che pare non perdere un colpo, dalla prima all'ultima sequenza la sensazione è quella del deja-vù persistente che tende a sminuire il valore finale dell'opera, rendendola niente più di un normale poliziesco a tinte forti a confronto di precendenti pietre miliari della stessa pasta da duri ammazzacristiani.
Un peccato, tutto sommato, perchè le premesse del piccolo "must see" ci sono tutte, soprattutto se non si bazzica molto da queste parti - cinematografiche o letterarie che siano - e non si è abituati ad un certo tipo di evoluzione della trama, che per il sottoscritto è stata una sorta di libro aperto dall'inizio alla fine, se non per qualche dubbio rispetto all'identità dei due killer dell'ex collega del protagonista - interpretato, tra l'altro, da Terry Crews, già visto alla corte di Sly e dei suoi Expendables -, vicenda gestita peraltro in maniera tutt'altro che perfetta: per il resto la fanno da padroni il cast - numerosissimi i volti noti, e oltre a quelli già citati spiccano Hugh Laurie e Chris Evans, tra gli altri - e la stessa L. A., praticamente un protagonista a se stante, rovente anche nella notte più oscura e sempre pronta a celare un segreto dietro ogni svolta di strada.
Resta comunque interessante la parentesi - che pare una neppure troppo ironica denuncia - dedicata alle lamentele della gente di strada rispetto ai maltrattamenti subiti dai poliziotti, rinforzata dal commento di Ludlow che laconico spiega alla sua donna che in quanto tali loro sono autorizzati a fare quello che vogliono, perchè la verità è e sarà sempre quella che sono loro stessi a scrivere sul verbale.
Insomma, se siete veterani di questo tipo di visione, tenetevi La notte non aspetta come riempitivo di lusso in attesa di serate migliori, mentre se normalmente il noir in pieno stile "Dirty Harry" non è il vostro pane quotidiano, potreste addirittura pensare di essere di fronte ad un nuovo termine di paragone per il genere.
Almeno fino a quando non scoprirete quelli che sono venuti prima di lui.
MrFord
"It's a house arrest - everybody run
I gotta plead guilty havin' - too much fun
this is a house arrest - up against the wall
we can't stop rockin' justa havin' a ball - one and all."