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lunedì 12 marzo 2012

John Rambo

Regia: Sylvester Stallone
Origine: Usa
Anno: 2008
Durata: 92'


La trama (con parole mie): John Rambo vive ormai da anni nel cuore della Thailandia, guadagnandosi il pane come barcaiolo e cacciatore di serpenti, dimenticato dal mondo dal quale si è allontanato come in una sorta di esilio. Quando un gruppo di volontari cattolici lo convince ad accompagnarli oltre il confine, nel cuore della Birmania dilaniata dalla guerra civile, l'ex soldato si troverà ad affrontare i fantasmi della sua vecchia esistenza: e proprio quando quelle visioni parranno chiamarlo ancora più forte, la notizia del rapimento degli stessi volontari lo porterà, al seguito di un gruppo di mercenari, di nuovo al centro dell'azione, pronto a prendere una decisione rispetto al suo futuro riflettendo tra un massacro e l'altro delle spietate milizie birmane.





Siamo dunque giunti all'ultimo capitolo della memorabile quanto trash saga di Rambo, dopo Rocky il personaggio di maggior successo portato sullo schermo dal mitico Sly, che per l'occasione - come fu per l'ottimo Rocky Balboa a chiudere il ciclo dedicato allo Stallone italiano - si prodiga da entrambi i lati della macchina da presa in una produzione che fu difficoltosa sia per gli inconvenienti tecnici - piogge e clima sfavorevole in Thailandia - che per l'organizzazione - una troupe gigantesca e multietnica -: il risultato è certamente meno efficace di quello dedicato alle gesta del pugile di Philadelphia, funzionale a livello tecnico - decisamente superiore, sia per regia che per fotografia e montaggio, al secondo e al terzo capitolo della sua avventura cinematografica - eppure privo dell'ironia che avrebbe caratterizzato il successivo supercult The Expendables, finendo per attestarsi a metà strada tra il trash di culto ed un tentativo più autoriale di tornare alle origini del personaggio.
Le responsabilità della mancata riuscita dell'operazione sono da imputare principalmente ad una sceneggiatura elementare quanto quelle dei due film precedenti priva però del mordente necessario a sopperire ai suoi limiti soprattutto nella prima parte, decisamente televisiva in quanto a qualità soprattutto per quanto riguarda, per l'appunto, lo script: con il rapimento dei volontari, però, la pellicola cambia marcia, liberando una violenza spropositata - in questo senso, molto coraggioso Stallone a mostrare senza troppe cerimonie anche le esecuzioni dei bambini o dei malati -, i fantasmi del protagonista - ho molto apprezzato la sequenza onirica, simile a quella che risvegliò Rocky durante la rissa al termine del quinto capitolo della sua storia - ed un crescendo che porta in dono allo spettatore un vero e proprio massacro operato dal Nostro ai danni delle milizie birmane da far sembrare tutte le precedenti battaglie di Rambo una partita di volano tra signore di mezza età impegnate nella merenda ed il the pomeridiani.
Anche questa volta il reduce del Vietnam confeziona la sua frase di culto pronta ad essere ricordata in eterno dai suoi fan - "Vivere per niente, o morire per qualcosa", mitico -, e c'è spazio, nel finale, anche per un momento clamorosamente in equilibrio tra il trash più clamoroso ed il commovente, quando il vecchio John, definitivamente - chissà? - messi da parte i suoi demoni, fa ritorno negli States vestito quasi come all'inizio del primo film, giungendo di fronte al ranch dove nacque, nella speranza di ritrovare suo padre, unico legame rimasto con il Paese per il quale ha sempre combattuto.
Prima, però, che la commozione tocchi il cuore di ogni fan di Sly che si rispetti, c'è spazio per un momento di ilarità pura, legato ad un avvenimento di quelli più unici che rari nel mondo del Cinema: l'incontro mai più ripetuto del parrucchino di Nicholas Cage - eccezionalmente in prestito al buon Sylvester - ed il labbro di Stallone.
Una sequenza dunque in grado di fare Storia anche senza contare la malinconica camminata verso casa che vede lasciare il grande schermo uno degli eroi più importanti del Cinema action di tutti i tempi, capace di regalare sogni e fior di nemici sbaragliati come se niente fosse ad almeno due generazioni di spettatori - anche lui, come Rocky, a testa alta -.
Dimenticato dall'elite della settima arte, dai radical chic, da Dio e da chissà chi altro, Rambo resta un vero e proprio mito per tutti quelli che l'hanno saputo apprezzare per quello che era senza mai davvero dimenticarlo, rendendo di fatto possibile la sua esistenza da sempre negata - prima come riflessione sociale, dunque come ironico tormentone - che lo portò a combattere per la prima volta, trent'anni fa e più, di ritorno da una guerra che l'avrebbe cambiato per sempre.


MrFord



"It's been so long since I've been gone
another day here might be too long for me
I've travelled around and I've had my fill
of broken dreams and dirty deals
a concrete jungle surrounding me
many nights I've slept out in the streets
I paid my dues and I changed my style
seen hard times ... over now."
Lynyrd Skynyrd - "Comin' home" -


domenica 11 marzo 2012

Rambo III

Regia: Peter MacDonald
Origine: Usa
Anno: 1988
Durata: 102'


La trama (con parole mie): Rambo, ormai lontano dal mondo occidentale, passa il tempo nei dintorni di Bangkok ospitato da una comunità di monaci per i quali svolge lavori manuali tenendosi come attività extra il combattimento clandestino.
Rintracciato dal Colonnello Trautman, suo vecchio istruttore e comandante in Vietnam, verrà invitato a partecipare ad una missione in Afghanistan volta a liberare il paese dalle truppe sovietiche: da principio John rifiuterà, ma quando lo stesso Trautman cadrà in mano ai russi, il Nostro sarà immediatamente pronto a partire per scatenare un altro dei suoi memorabili conflitti.
A farne le spese, ovviamente, saranno tutti i suoi avversari.




Ormai è ufficiale: ho completamente, pienamente, inesorabilmente rivalutato Rambo e la sua saga come trash di culto assoluto.
Nonostante la tamarraggine che ormai mi contraddistingue, ammetto infatti che all'appello fordiano mancavano ancora le ultime due pellicole dedicate al reduce più famoso della settima arte - o almeno della settima meno artistica -: riscoprire questa terza è stato un vero e proprio tripudio in salsa eighties condita da guerra fredda, russi malvagi fatti fuori a dozzine, scenari politici d'altri tempi, inquadrature e scelte "artistiche" completamente al servizio dell'ego stalloniano nonchè una certa ironia di fondo e riflessioni che allora sarebbero state inutili ed ora divengono addirittura profetiche.
Passata, infatti, una prima parte che è un vero e proprio inno del trash dalla bruttezza inenarrabile e proprio per questo immediatamente giunta al livello dei maggiori cult del genere - le prime inquadrature di Sly che si prepara al combattimento clandestino con il montaggio alternato rispetto all'arrivo di Trautman sono da antologia della serie b cinematografica, andatevi a rivedere la sequenza -, si parte con una vera e propria epopea che all'epoca poteva considerarsi il classico action d'avventura con incasso certo al botteghino e schiere di fan in delirio che ora diviene uno specchio distorto di quello che, soprattutto nel nuovo millennio, è stata la Storia: vedere, infatti, Rambo ascoltare e prendere parte alla lotta per la libertà dei mujaheddin contro i russi invasori è praticamente un paradosso, considerate le vicende che hanno visto gli States passare dall'essere fornitori d'armi dei ribelli locali nel corso della Guerra Fredda ad avviare le campagne che hanno segnato una lotta senza quartiere contro gli stessi prima e soprattutto dopo l'undici settembre.
A volte è davvero curioso quanto un film di bassa lega e prospettive come questo possa, pur se involontariamente, diventare una cartina tornasole per un ben preciso periodo storico, arrivando all'essere addirittura oltre il tempo - come nella spiegazione della conformazione del territorio oltre il confine pakistano, tutto grotte da sfruttare per i combattimenti, o nell'elogio del popolo afghano dipinto come un manipolo di uomini e donne incapaci di arrendersi e pronti a lottare fino alla morte contro qualsiasi invasore - e stimolare pensieri che, di sicuro, sono ben lontani dalla filosofia tutta esplosioni e buoni contro cattivi di Rambo.
Un Rambo come al solito in grande spolvero, che dopo aver sperimentato la spalla femminile nel secondo capitolo passa a quella del bambino - cui verrà infine regalato proprio il portafortuna che fu della sua bella - neanche fosse Indiana Jones, che da solo si introduce in un forte russo impenetrabile per liberare il suo vecchio comandante ovviamente riuscendo nell'impresa spedendo all'altro mondo un numero indefinito di soldati sovietici, in grado di superare perfino il momento mitico dell'autosuturazione cauterizzando una ferita - dopo aver estratto con le dita il corpo estraneo dal fianco - con la polvere da sparo. Una vera bomba.
Il tutto senza contare un paio di momenti addirittura ironici del personaggio, che ormai pare avere definitivamente lasciato alle spalle il charachter "serio" del primo capitolo per diventare un eroe action in tutto e per tutto, regalando al pubblico anche una battuta finale degna delle chiusure dei film precedenti, nonchè richiamo al suo progressivo "ammorbidimento" legato alla vecchiaia, curioso soprattutto se constatato dopo l'ennesimo massacro compiuto da questa macchina da guerra su gambe.
Un film d'altri tempi nella migliore tradizione possibile del suo genere, divertente, fracassone e scandalosamente brutto, tanto brutto da essere irresistibile.
"Rambo is a pussy!", dichiarava Sly in Tango&Cash.
Sarà pure così, ma io vorrei sempre averlo dalla mia parte della barricata.


MrFord


"Fate will take control of your heart and your soul
it'll never let you go
don't you know the feelings are real that you show?
I'll never let you go."
Bill Medley - "It is our destiny"- 


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