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lunedì 28 gennaio 2019

White Russian's Bulletin



Nuova puntata del Bulletin che, nonostante il sempre più rosicato tempo dedicato al Cinema e ad alcuni problemi tecnici porta in dono una serie di visioni più corposa rispetto a quella del trend delle ultime settimane: ovviamente, il titolo principe a questo giro di bevute è uno e uno soltanto, e credo che tutti quelli che frequentano il Saloon - e forse anche chi non lo frequentano - sappiano bene di quale titolo io stia parlando.
Dunque saliamo tutti sul ring e scopriamo com'è andata con l'ultima avventura del mitico Stallone Italiano.

MrFord


CREED II (Steven Caple Jr, USA, 2018, 130')

Creed II Poster

Penso aspettassi questo secondo capitolo delle avventure sul ring di Adonis Creed, figlio del defunto Apollo cresciuto pugilisticamente parlando da Rocky Balboa fin dai titoli di coda del precedente, circa tre anni fa: il charachter principe creato da Sly, parte integrante della mia formazione cinefila e non solo, ha un potere su di me incredibile, quasi riuscisse a vincere il Tempo e riportarmi a quando mi emozionavo da bambino davanti alle imprese mirabolanti del re degli underdogs cinematografici per poi farmi balzare avanti nel futuro, quando con i Fordini ripercorrerò la strada di questo mito che è riuscito non solo a fare la fortuna del suo creatore, ma anche a rompere lo schermo neanche fosse esistito davvero. 
Tecnicamente parlando, questo numero due della saga di Donnie Creed si rivela leggermente inferiore al precedente, un pò per l'effetto sorpresa, un pò per la mancanza di Ryan Coogler alla regia, eppure la formula è stata pienamente azzeccata: Rocky, come nel precedente, si mangia il film, ormai vecchio maestro neanche fosse un Miyagi della boxe, la versione reloaded della vecchia faida con Drago è ottima - ed è stato bravissimo Stallone in fase di scrittura a rendere umana e quasi "eroica" la coppia padre/figlio sovietici -, le tematiche legate proprio al rapporto tra genitore e figlio ben sviluppate, il match che chiude la pellicola gestito ottimamente.
Ma è stato fuori dal quadrato che Creed II ha dato il meglio, con un epilogo splendido sia per quanto riguarda la gestione del duello tra Adonis e Viktor Drago, sia per le tre vicende sviluppate, per l'appunto, in chiusura: generazioni che si sostengono e che si scontrano, che si incontrano, che cadono al tappeto e trovano la forza di rialzarsi, sempre.
Per continuare a lottare fino al suono della campana.




REVENGER (Seung Won Lee, Corea del Sud, 2019, 101')

Revenger Poster

Privo - momentaneamente, spero - della possibilità di recuperare come si deve i film in sala e non solo, sono stato soccorso da Netflix scoprendo una nutrita selezione di film di botte di quelli che piacciono tanto ai vecchi tamarri come me, prontamente recuperata per tutte quelle serate in cui la stanchezza finisce per farla da padrona ed il rischio di appisolarsi sul divano diventa più che concreto: Revenger, film coreano dal vago sapore anni novanta, recupera tematiche già portate sullo schermo da cult sotterranei come Fuga da Absolom condendoli con coreografie decisamente d'impatto ed un mix di grottesco e drammatico dal carattere decisamente asiatico.
Peccato che, nel complesso, deluda le aspettative finendo per risultare, nonostante tutto, piuttosto statico e freddo, un giocattolone a metà strada tra l'essere tamarro - e dunque divertire sguaiatamente - e ambizioso nel tentare di proporsi come una sorta di "figlio" di cose come The Raid. Peccato.




3% - Stagione 1 (Netflix, Brasile, 2016)

3% Poster

Sponsorizzata caldamente da Julez e diventata l'accompagnatrice delle pause pranzo che riesco a passare a casa - poche, tra palestra e lavoro, considerato che gli otto episodi sono passati sugli schermi del Saloon nell'arco di quasi tre mesi -, 3% ha rappresentato una scommessa per questo vecchio cowboy, dubbioso fin dal principio delle avventure da prossimo futuro raccontate in questo sci-fi distopico made in Brasile: certo, l'originalità non è il punto forte del plot, eppure il lavoro svolto sui personaggi - si tratta di una serie corale nella grande tradizione inaugurata da Lost - è più che buono, i twist ed i cambi di direzione inaspettati non mancano e l'hype per la stagione successiva si mantiene alto. Il lavoro svolto dagli autori, dunque, è senza dubbio funzionale, e pur non avendo inventato nulla ha saputo una volta ancora sottolineare l'incredibile varietà di sfumature che porta dentro l'animale più pericoloso che sia mai esistito. L'Uomo.



LA NOTTE SU DI NOI (Timo Tjahjanto, Indonesia/USA, 2018, 121')

La notte su di noi Poster

Insieme a Revenger, La notte su di noi è stato il titolo che, sulla carta, ha finito per colpirmi maggiormente scorrendo tra le proposte di botte made in Netflix: a differenza del titolo coreano, però, il lavoro di Tjahjanto è una vera e propria giostra di botte, sangue, casino e vendetta da buon, vecchio film di genere da fare invidia ai titoli "di serie b" che negli anni finiscono sempre per diventare veri e propri cult. Iko Uwais - già idolo da queste parti - è una garanzia, la vicenda - per quanto "da fumetto" - un vero circo di mazzate come non ne vedevo dai tempi del già citato The Raid, le coreografie un gioiellino pronto a solleticare i punti giusti negli appassionati di calci rotanti.
Tra le recensioni lette dalle parti di Imdb, una ha reso perfettamente giustizia in una frase a questo film: "Fa sembrare John Wick un gioco per bambini". Tremendamente vero.

domenica 26 aprile 2015

Man of Tai Chi

Regia: Keanu Reeves
Origine: USA, Cina, Hong Kong
Anno: 2013
Durata: 105'




La trama (con parole mie): Mark Donaka, miliardario appassionato di scontri di arti marziali e di violenza, finanzia un campione al quale chiede di difendere la propria vita contro sfidanti sempre più forti vendendo il tutto come un prodotto per un'elite annoiata di uomini ricchi ed influenti come lui. Scoperto per caso nel corso di un torneo l'aspirante Maestro di Tai Chi Tiger Chen, Donaka decide di farne il nuovo volto del suo personale giocattolo, spingendolo sempre di più verso il lato oscuro grazie a soldi, sicurezza e combattimento: Tiger, influenzato anche dalle necessità del suo Maestro e dalla situazione economica del tempio che lo ospita, finisce dunque per lasciarsi coinvolgere sempre di più nel nuovo ruolo di simbolo di questo circolo di lotta segreto, sconfiggendo uno sfidante dopo l'altro.
Quando, però, la parte "malvagia" del suo Tai Chi e del suo carattere viene a galla, Tiger scoprirà che il nemico più temibile con il quale dovrà confrontarsi sarà se stesso.








I film di botte - specialmente quelli di arti marziali - sono stati uno dei pilastri della mia formazione di tamarro e cinefilo, per quanto le due cose possano - solo superficialmente - apparire clamorosamente spaiate: con il passare degli anni - e soprattutto, lasciato alle spalle il periodo radical chic della mia esistenza di spettatore -, ho rivalutato questo tipo di prodotti godendomi sia le parentesi più autoriali del genere - The Raid e The Raid 2 su tutte -, i classici intramontabili - Kickboxer o Senza esclusione di colpi - e le nuove chicche figlie del credo dei calci rotanti come questo Man of Tai Chi, pellicola interpretata e soprattutto girata da un Keanu Reeves nell'insolita veste del villain che mescola atmosfere ed un cast interamente orientali ad una produzione tipicamente figlia del larger than life a stelle e strisce.
Il risultato è stato clamorosamente ben inquadrato da Julez nel corso della visione, grazie ad uno dei commenti più illuminati che si potessero esprimere rispetto al Cinema di botte: "i film di questo tipo sono come i porno: una storia risibile e raccordi che speri finiscano il più presto possibile per vedere il combattimento successivo".
Probabilmente neppure con una benedizione di Jean Claude Van Damme in persona sarei riuscito a definire meglio il tripudio di goduria che è, di fatto, questo tipo di prodotto, nato per esigenze principalmente ludiche, impreziosito dalle esibizioni dei talenti messi in campo - sorprendente il pur ridicolo, almeno nella capigliatura, Tiger Chen, e da urlo per gli appassionati il pur breve confronto con l'Iko Uwais dei due già citati The Raid nel finale, così come il duello con lo stesso Reaves, che sfoggia un parco mosse decisamente tosto per un attore ormai cinquantenne, per quanto invecchiato bene come lui - e certamente subordinato a sceneggiature che non hanno il dovere di mostrarsi rispettose di logica ed affini.
Nonostante l'ovvia pochezza dello script, comunque, Man of Tai Chi non disdegna di mescolare nel suo cocktail anche una certa ricerca di approfondimento legata al confronto con il "Lato oscuro" del protagonista, sfruttato alla grande anche rispetto alla scelta dei Tai Chi, da sempre disciplina più legata alla meditazione ed all'esibizione che non al combattimento vero e proprio: il percorso di Tiger, conquistato progressivamente dalla possibilità di sfogarsi e liberare tutte le sue energie in battaglia ed avere dai risultati un riscontro in termini di fama e denaro che nella vita di tutti i giorni non ha mai potuto assaporare risulta quantomeno interessante, e seppur clamorosamente derivativa - qualcuno ha detto Guerre Stellari!? - la questione legata al "Lato Oscuro della Forza" è da sempre una tematica che tocca ognuno di noi, in misura più o meno sentita.
Se, però, il meccanismo legato alla corruzione dell'anima del "campione del Bene" trova un senso, ne ha meno l'intera parte legata alle indagini della polizia su Donaka - che paiono effettivamente un riempitivo sfruttato per evitare un minutaggio eccessivamente basso -, colpevole con i suoi non sempre interessanti sviluppi di togliere minuti preziosi alle esibizioni non solo del main charachter in battaglia, ma anche dei numerosi e decisamente differenti - per stile e fisicità - combattenti chiamati a raccolta da Keanu Reeves.
Probabilmente, se si fosse spinto maggiormente sulla componente tournament in pieno stile Mortal Kombat, Tekken o Senza esclusione di colpi i fan hardcore di questi prodotti avrebbero potuto quasi gridare al miracolo, mentre il risultato è "solo" quello di un prodotto che stimola l'amarcord di chi, per l'appunto, con tutto quello che è esistito da Bruce Lee in avanti è cresciuto.
Un plauso, ad ogni modo, al coraggio del buon, vecchio Keanu ci sta tutto: un esperimento di questo genere, infatti, non sarebbe stato da tutti, ed averlo proposto significa quantomeno che il protagonista del recente - e spassosissimo - John Wick adora i film di arti marziali e botte almeno quanto il sottoscritto.
E dunque, qui al Saloon c'è una serata offerta dalla casa per ubriacarsi allo sfinimento che porta già il suo nome.




MrFord




"Fear of the dark,fear of the dark
I have constant fear that something's always near
fear of the dark,fear of the dark
I have a phobia that someone's always there."
Iron Maiden - "Fear of the dark" - 






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