lunedì 28 giugno 2010

Invictus


Mi è già capitato di sottolineare quanto, a volte, sia un regista a fare il film, e non il contrario.
Invictus è uno di quei casi in cui l'uomo dietro la macchina da presa trasforma una materia che sarebbe potuta passare per didascalica e retorica in un inno non solo al valore sociale e al riscatto nella non violenza, ma anche allo sport, che in questo caso è il rugby ma potrebbe essere uno qualsiasi.
Ispirato alla reale vicenda di Nelson Mandela e dell'avventura degli Springboks, nazionale sudafricana di rugby ammessa di nuovo alle competizioni internazionali proprio nel mondiale di cui si narra nella pellicola (1995) a seguito degli anni di esilio legati agli orrori dell'apartheid, Invictus si concentra sul valore delle battaglie silenziose, combattute a fondo, in cui ci si gioca il tutto per tutto, nella grande tradizione del cinema di Eastwood, anche se, in questo caso come fu per Changeling, diversamente dalla consuetudine Clint racconta di una (grandissima) vittoria.
Sicuramente il nostro cavaliere pallido preferito è più a suo agio quando sono dei losers i suoi protagonisti, ma occorre ammettere che anche con Invictus il lavoro svolto è straordinario, e testimonia ancora una volta la grandissima capacità di rinnovarsi di un regista che, ormai ottantenne, continua ad aver voglia di percorrere nuove strade, mettendosi alla prova senza tirarsi indietro, passando da una sorta di produzione low cost come Gran Torino ad una confezione di gran lusso come Invictus, che regala anche le scene migliori che si siano mai viste su grande schermo di una partita di rugby.
Il tutto concentrandosi, come di consueto, sui personaggi, regalando al pubblico un ritratto d'eccezione di Mandela, interpretato da un grandissimo Morgan Freeman - che andrebbe ascoltato nella versione originale per comprendere a fondo il lavoro incredibile svolto dall'attore sulla dizione - senza dimenticarsi del ruolo che ebbe nell'impresa sportiva e sociale degli Springboks Francois Pienaar, capitano della squadra: eppure il vero significato del miracolo che Mandela operò - almeno parzialmente, ma questa è un'altra storia - nel cuore della "nazione arcobaleno" si comprende osservando l'evoluzione dei rapporti fra bianchi e neri, in particolare nella coesistenza dei due gruppi di guardie di sicurezza del Presidente, uniti da principio solo professionalmente, gli uni sostenitori "del gioco da selvaggi giocato da gentiluomini" e gli altri "del gioco da gentiluomini giocato da selvaggi", rispettivamente rugby e calcio, prima di quel fatidico mondiale due discipline fortemente scisse dalle differenze razziali.
Accompagnati dalle note di una colonna sonora splendida, gli Springboks, pur senza incertezza - tutti sanno che vinsero la finale contro i famigerati All blacks dell'astro nascente Lomu -, emozionano il pubblico quasi quanto allora fecero con il loro pubblico, una nazione che usciva da anni di terrore e che cominciava ad intravedere una luce alla fine del tunnel: e la loro corsa all'alba, sospinti dal pubblico delle strade, bianchi o neri che fossero, mi ha riportato alla mente Alì di Michael Mann, quando nel cuore di Kinshasa, nel corso dei suoi allenamenti prima dello storico incontro con Foreman, Cassius Clay divenne un idolo per le folle, quasi un eroe come ce n'erano dei tempi antichi, sorretto e portato come in volo dal continuo grido "Alì bumaye!".
Così, il "reazionario" Clint racconta il razzismo da una prospettiva unica e profonda, senza mai esplicitare necessariamente l'argomento, e lasciando che siano lo sport e i suoi protagonisti a dare un messaggio universale: mai come guardando Invictus mi è tornato in mente il titolo di un altro dei suoi film "minori", perfetto, in questo caso, per coniare un nuovo soprannome oltre a cavaliere pallido.
Cacciatore bianco, cuore nero.
Un'altra meta, Clint.
Sei davvero il capitano della tua anima.

"God bless Africa
raise high Her glory
hear our Prayers
God bless us, her children."
MrFord

3 commenti:

  1. Peccato per il Sudafrica di quest'anno ai mondiali...

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  2. Visto anni fa,lo ricordo con molto piacere,un bel film davvero.E concordo con l'ottimo lavoro di Morgan sull'accento!

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    1. Del resto, quando in campo scende Clint, è difficile rimanere delusi! :)

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