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mercoledì 16 giugno 2010

Voglio la testa di Garcia

Peckinpah ha una lunga, gloriosa tradizione, nel mio cuore di cinefilo nonchè grande appassionato di western. 
E non solo.
Il suo gusto crepuscolare, le storie fatte di estremo romanticismo e pessimismo senza fine da sempre aprono una breccia unica nel mio cuore: da Cable Hogue al Mucchio selvaggio, passando per Junior Bonner, il buon vecchio Sam ha sempre avuto il proiettile giusto per stendermi.
Voglio la testa di Garcia non è da meno, e rappresenta, in qualche modo, pur non raggiungendo le vette di altre sue opere, una vera e propria summa della poetica del regista, capace di spaziare creando atmosfere idilliache, quasi bucoliche, e attimi di violenza terribili da sostenere anche solo con il pensiero.
Bennie e la sua compagna, con i loro sogni di coppia quasi fuori tempo massimo, di fronte al mondo intorno, fatto di tanta animalità quanta solo il più crudele dei predatori - leggasi Uomo - può mostrare, mosso dalle realtà di vendetta, gelosia, brama di denaro o di potere, zoppicano appassiti prima ancora che l'inevitabile autunno giunga a livellare, per usare una metafora nostrana.
Così come Pike Bishop e i suoi del mucchio, i protagonisti sanno che le loro aspirazioni avranno un triste epilogo ad attenderle, simili al destino di Alfredo Garcia, amore impossibile della figlia di un ricco possidente disposto a porre una taglia sulla testa dell'uomo che non sarà mai padre di suo nipote e di torturare la sua erede solamente per il gusto di mostrare il suo potere.
Eppure, come il Dillinger di Michael Mann, i cuori seguitano a battere, a credere in un futuro che cambierà il giro dei dadi al tavolo della vita, un futuro che prevede notti romantiche sotto le stelle e che la realtà muterà inesorabilmente in incursioni di uomini che paiono viscose minacce della notte placabili soltanto attraverso sparatorie all'ultimo sangue.
Nessuno è destinato a salvarsi, in questo mondo di frontiera che pare assotigliarsi sempre più senza voler mai del tutto scomparire, e la presenza surreale della componente religiosa - che riporta alla mente Jodorowski, e prima ancora Bunuel - e dei monologhi da antologia che Bennie recita come se la testa di Garcia fosse ancora cosciente e viva rendono questa sensazione ancora più potente e terribile, ricca di sfumature e dura come solo Peckinpah ci ha abituato ad essere.
Il dialogo sul valore religioso dei cadaveri è dirompente, e anche se tutto questo sembrerà solo un gran pippone da cinefilo di quelli che ho criticato fino a ieri, vi dico che Cinema come questo - dei registi al momento in giro credo che solo Johnnie To potrebbe riuscire in qualcosa di simile - sia più unico che raro, difficile da descrivere ed assolutamente indimenticabile da vivere.
Quindi, invece di perdervi nelle mie chiacchiere, fate una cosa buona e giusta: prendete coraggio, e provateci.
Ma sappiate che con il vecchio Sam - ragazzo del West, del resto -, non si torna più indietro.


"Oh baby baby it's a wild world,
it's hard to get by just upon a smile."
MrFord
 

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