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sabato 13 maggio 2017

L'odore della notte (Claudio Caligari, Italia, 1998, 101')





Quando, lo scorso anno, il mio cammino incrociò per la prima volta quello di Claudio Caligari grazie a Non essere cattivo - purtroppo, ultimo film del regista prima della scomparsa -, rimasi colpito al cuore: da tempo, nonostante discrete ma patinatissime produzioni come Suburra o ACAB, infatti, non mi capitava di finire catapultato nel cuore della Roma criminale neanche fossi tornato ai tempi della serie Romanzo Criminale, delle borgate raccontate da Pasolini o degli esempi di cinema noir rozzo e cattivo come quello di Cani arrabbiati di Bava.
L'odore della notte, lavoro precedente del regista - datato novantotto, giusto per dare un'idea delle difficoltà produttive cui Caligari andò incontro nel corso di tutta la carriera -, traccia in un certo senso il percorso proprio di Non essere cattivo, forse in modo meno incisivo e dirompente ma non per questo poco ispirato o funzionale.
Le vicende del piccolo gruppo di criminali "di quartiere" - all'interno del quale trova spazio un allora quasi mio coetaneo Marco Giallini, lontano dai fasti e dal successo attuali - guidati dall'ex poliziotto in cerca di adrenalina interpretato da Valerio Mastandrea definiscono ed alla grande lo status di outsiders - o losers, verrebbe da scrivere - della bassa manovalanza della strada, che vive rapine ed esistenze al di fuori della Legge quasi come una rivincita verso il Destino o tutta quella classe sociale e politica protetta da Potere e Denaro che complotta, organizza e progetta in modo che lo status quo del mondo possa non cambiare mai.
L'odore della notte è la storia della parabola discendente - che pare a tratti voluta, quasi autodistruttiva, a tratti inevitabile, quasi non ci fosse alternativa alla sconfitta - delle piccole realtà di quartiere, del crimine "operaio" e di tutti i disadattati che sguazzano in uno stagno neanche si trovassero nel più grande e ricco - in termini di prede - degli oceani.
Da questo punto di vista il lavoro del regista è ottimo soprattutto nell'umanizzazione dei main charachters, che perfino a fronte delle loro azioni peggiori paiono vulnerabili e figli di un disagio profondo ed intimo, di una società che li ha voluti lì dove si trovano quasi fin dalla nascita.
Non mancano una percentuale di grottesco - l'ultima rapina nella villa, l'incontro con Little Tony - ed un tocco artigianale che rendono il tutto quasi "grindhouse" - come la metterebbe Tarantino -, così come una partecipazione sentita da parte di tutti i protagonisti, che paiono usciti dritti dritti da quei luoghi popolari - nel senso buono del termine - ma degradati e lontani dalla città "vera" o dal sottobosco urbano descritto, tra gli altri e alla grande, dal già citato Pasolini.
E la riflessione sul moto che porta qualcuno sulla "cattiva strada" - e qui entra in campo un altro mostro sacro, De Andrè - oltre alla ricerca di un brivido che nient'altro, probabilmente, nel corso di una vita "normale", può dare, ovvero la volontà segreta - come pare sia per la maggior parte dei serial killers - di correre incontro al fallimento, sfiorarlo ogni volta con più decisione fino a finire mangiati dallo stesso per stanchezza, età, desiderio di andare davvero oltre.
Ma sarà davvero così?
Sarà paura di vincere, o di essere come quelli che additiamo come "cattivi"?
Non essere cattivo, avrebbe recitato il film segnalato in apertura di post.
E già, non dovremmo.
Ma a volte il richiamo della foresta è più forte di qualsiasi altro.




MrFord




 

2 commenti:

  1. Non sapevo ci fosse anche l'attuale idolo Marco Giallini...

    Considerando che Non essere cattivo era piaciuto parecchio anche a me, potrei recuperarlo.
    Però, giusto per essere cattivo, il tuo parere positivo non mi invoglia a guardarlo. :)

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    1. Ormai il mio parere positivo potrebbe essere un motivo per recuperarlo oltre alla presenza di Giallini, ammettilo! ;)

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