Pagine

venerdì 3 marzo 2017

Benedizione (Kent Haruf, USA, 2013)





Nonostante io sia notoriamente un affamato di vita e dichiari ai quattro venti di voler rimanere da queste parti almeno fino ai centotre anni, di tanto in tanto, soprattutto da quando sono padre, mi capita di pensare al mio funerale: non perchè pensi di essere presente in forma di spirito o stronzate del genere, quanto più che altro all'idea di quello che potrebbe provare chi resta.
Personalmente, per quanto banale possa suonare, ho trovato tutti i funerali cui ho partecipato estremamente tristi, segnati da un'aura di sacralità statica e pesante: se devo pensare ad un'eccezione, penso a quello del mio amico Emiliano, reso più umano dagli interventi di alcune delle sue persone più care e dalla musica, ed ancor più intenso quando, con mio fratello, un paio di amici ed i miei genitori, decidemmo di andare a pranzo subito dopo, raccontando aneddoti che lo riguardavano, e ridendo insieme di quanto ci aveva lasciato.
Quando toccherà a me, mi piacerebbe che i Fordini raccogliessero una playlist di canzoni selezionate dal sottoscritto per l'occasione e dessero una festa grazie alla quale vorrei che tutti si lasciassero andare, mangiando e bevendo e ridendo e piangendo e scopando e tutte quelle cose che fanno sentire vivi, quasi dovessero farlo anche per me, che nel frattempo starò dormendo un sonno senza sogni.
Ma non c'è morte senza vita, ed è questo che mi ha colpito più a fondo, di Benedizione.
Il lavoro di Kent Haruf, incentrato sulla figura di Dad Lewis, pilastro della piccola comunità da provincia americana tra Neil Young e Bruce Springsteen di Holt, è un malinconico, semplice, diretto, travolgente affresco che mostra quanto la magia delle "straight stories" - per dirla in stile Lynch - è potente: l'uomo, che per una vita ha condotto un'esistenza retta e come ci si aspetterebbe da un capofamiglia, rispettato ed ammirato, attende che la malattia se lo porti via prima della fine di una torrida estate che non vivrà mai nel profondo, rimbalzando tra presenze ed affetti - la moglie Mary, la figlia Lorraine - e ricordi e segreti - il rapporto incrinato con il figlio Frank, il licenziamento risalente a decenni prima di un dipendente scoperto a "fare la cresta" -, mentre amici, conoscenti, dipendenti, membri in crisi della comunità - il reverendo Lyle - o semplici uomini e donne - stupendo il picnic di Lorraine, Alice e delle loro vicine, madre e figlia - si specchiano negli occhi pronti a spegnersi un respiro alla volta di un uomo che è stato una roccia, e che l'acqua del fiume sta piano piano incrinando.
Benedizione è al contempo un viaggio attraverso tutti i conti in sospeso che per natura ognuno di noi avrà da saldare al termine della propria esistenza ed un inno alla vita, il racconto di una sconfitta e di una speranza che cresce, la vicenda semplice di generazioni che si susseguono senza che si debba necessariamente parlare o scrivere di grandi imprese, perchè la vita stessa, con la sua quotidianità, i suoi anni ed i suoi tributi, sentimentali e non, è di suo un'impresa degna di un'epopea letteraria o cinematografica.
Kent Haruf non da o suggerisce risposte, semplicemente si pone delle domande, o vive quella che potrebbe essere considerata una speranza, riuscendo anche a ribaltare il concetto di malattia terminale in un'opportunità di chiudere i conti con il passato, se stessi e le persone che ci stanno attorno.
E accanto a pagine di poesia pura - Mary che, negli ultimi giorni del marito, dorme al suo fianco come ha fatto per oltre mezzo secolo svegliandosi di continuo per controllare che stia ancora respirando - ed immagini di Natura sconfinata, meraviglia e solitudine, le ferite restano, senza essere cancellate, quasi orgogliose.
Perchè in fondo sono loro ad averci portato fino a dove siamo giunti.
Sono loro che ci porteranno all'ultimo giorno.
Prima che chi resta possa avere modo di celebrare e festeggiare una vita, e non una morte.




MrFord




8 commenti:

  1. è una vita che ho una voglia pazza di leggere la trilogia di Haruf...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se gli altri due sono potenti come questo, vanno recuperati al volo!

      Elimina
  2. Bellissimo post e romanzo che, come forse sai, sotto dicembre ho amato molto. Di Haruf mi manca solo Crepuscolo per completare la trilogia - in Canto della pianura, più costruito, non ho trovato la stessa poesia - e il racconto uscito postumo, Le nostre anime di notte. Leggiamolo poco a poco, che finisce. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sul leggerlo a poco a poco non c'è problema, dato che da quando sono casalingo e non più pendolare dedico pochissimo tempo alla lettura.

      Per il resto, grande romanzo, e grazie per i complimenti al post! :)

      Elimina
  3. Un libro che ha la tua Benedizione, Ford, di certo non avrà la mia. ;)

    RispondiElimina
  4. Un romanzo splendido e doloroso. Bella recensione!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Muchas gracias, Black.
      E verissimo: un romanzo di rara potenza e semplicità.

      Elimina