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mercoledì 12 novembre 2014

The judge

Regia: David Dobkin
Origine: USA
Anno:
2014
Durata:
141'





La trama (con parole mie): Hank Palmer, aggressivo avvocato di successo ormai vero e proprio squalo della grande città, torna nella campagnola terra d'origine, persa nella provincia americana, per il funerale della madre. In questo modo rientra in contatto con il padre Joseph, giudice locale, con il quale non ha più alcun rapporto da anni, e con i suoi due fratelli, l'ex promessa del baseball Glen e l'autistico Dale. Quando il vecchio Joseph sarà accusato di omicidio per aver investito un ex detenuto che lui stesso aveva spedito dietro le sbarre, Hank si assumerà la responsabilità della Difesa, finendo per trovarsi a gestire i fantasmi del passato e tutto quello che pareva essersi lasciato alle spalle anni prima, quando abbandonò  la sua casa diretto verso il resto del mondo.
Cosa accadrà quando padre e figlio porteranno i loro scheletri nell'armadio in aula?








Ricordo ancora bene i tempi in cui, da semplici spettatori compulsivi, io e mio fratello divenimmo appassionati di Cinema a tutti gli effetti, compiendo il passo che separa il consumatore occasionale dal cercatore, chi si trova di fronte una pellicola e chi, invece, finisce per guadagnarsela, per curiosità o indicazioni date da una recensione particolarmente ispiratrice.
Ricordo anche che non si iniziò facendo quelli che se ne intendono, partendo dai grossi calibri, ma che per un buon periodo il film "impegnato" risultava essere il classico prodotto a stelle e strisce di una caratura superiore alla media, ben diretto e recitato e dai contenuti profondi: se fossimo ancora in quel periodo, senza dubbio The judge sarebbe stato della partita.
Personalmente, per quanto detestati dalle frange più estreme dei radical chic alla ricerca del film d'essai di origini curiose quasi non distribuito che persistono nel vederli come fumo negli occhi, prodotti all'americana come questo sono sempre stati un guilty pleasure cui non saprò mai rinunciare: film onesti, solidi, ben congeniati, forse a tratti retorici o prolissi ma non per questo mal riusciti.
Il lavoro di David Dobkin - cui non avrei dato un soldo bucato, considerati i suoi trascorsi dietro la macchina da presa -, nonostante qualche lungaggine ed un minutaggio importante, finisce per risultare godibile ed intenso quanto basta anche e soprattutto grazie alle interpretazioni ottime di Robert Downey Jr e Robert Duvall, che portano in scena un duetto padre/figlio tra i migliori delle ultime stagioni cinematografiche, riuscendo a rendere toccante un tema molto trattato al quale il sottoscritto resta sempre particolarmente sensibile.
Se, inoltre, da un lato abbiamo uno svolgimento molto classico nell'ambito di questo genere di prodotti, dall'altro occorre ammettere una certa quasi originalità nello sviluppo della trama, dall'idea della difesa del figlio rispetto al padre in aula ai concetti di Colpa e di Giustizia, passando attraverso un finale che, seppur non fuori dagli schemi, risulta quantomeno non eccessivamente blockbusteriano o consolatorio, così come l'evoluzione e l'esito del processo che vede come imputato il vecchio Joseph/Robert Duvall.
Un'opera, dunque, che non brillerà per rivoluzionarietà o approccio, ma che risulta godibile e ben piantata per terra, supportata da un comparto tecnico artigianale ma di ottima fattura ed un cast che, protagonisti a parte, è senza dubbio alcuno di tutto rispetto, da Vincent D'Onofrio a Billy Bob Thornton passando per Vera Farmiga: il discorso a proposito delle proprie origini e delle ferite che rimangono aperte in famiglia, inoltre, per quanto sfruttato a tutte le latitudini della settima arte finisce sempre per coinvolgere, considerato che ognuno di noi, in misura più o meno problematica, ha dovuto nel corso della propria vita confrontarcisi.
In questo senso la scelta di mettere in scena questo dramma domestico - perchè, badate bene, la scusa del legal thriller è solo un contorno - in un tribunale, condendolo con termini quali Giustizia e Colpa, con tutti i rimorsi, i rimpianti e le eredità che dalle stesse vengono trasmesse risulta decisamente azzeccata, così come quella di porre il padre Giudice ed il figlio avvocato della Difesa, quasi fosse una trasposizione di quello che, di norma, accade con la crescita: il desiderio del genitore di preservare il figlio e fornire allo stesso tutti gli strumenti possibili per arrivare a raggiungere l'eccellenza, perfino passando per "cattivi", e quello del figlio di affrancare la propria libertà dal genitore, senza mai dimenticare, ad un tempo, il desiderio dell'approvazione dello stesso.
Poco importa, poi, in casi come questo, come andrà a finire il processo: la differenza la farà quella barca, e l'aver conquistato, in qualche modo, il momento chiarificatore l'uno rispetto all'altro.
Da figlio, un momento come quello mi renderebbe orgoglioso.
E da padre, vorrei andarmene proprio così.




MrFord




"Fu nelle notti insonni
vegliate al lume del rancore
che preparai gli esami
diventai procuratore
per imboccar la strada
che dalle panche d'una cattedrale
porta alla sacrestia
quindi alla cattedra d'un tribunale,
giudice finalmente,
arbitro in terra del bene e del male."
Fabrizio De Andrè - "Un giudice" - 





18 commenti:

  1. Pensa te, tra poco dovrei vederlo per recensirlo dopo la visione, l'avevo scelto subito dopo La Spia A most wanted man, poi volevo prendermi qualche giorno libero così non ho scritto da me, beh ora è il caso di vederlo xD Si i conflitti sono gli stessi credo per ognuno di noi hehe, la vita è amara ^_^

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  2. Povero Vincent! E' proprio diventato una Vere,Grande, sfattissima Palla di Lardo ! XD

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  3. direi che condivido al 100 % la tua rece...avrei potuta scriverla io. Peggio naturalmente...

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    1. Prova a dargli una possibilità: è un solido film americano come si facevano una volta recitato davvero alla grande dai due protagonisti.

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  5. Mi hanno trascinato al cinema a vederlo, perché pioveva a dirotto e non avevamo altro da fare. C'era o questo, tipo, o quello di Ruffini. Nel dubbio, questo. Anche se Downey Jr. fa faccette che mi stanno antipatiche e, da attore promettente qual era, è passato alle cosette della Marvel per soldi... E che dire. Il film mi ha emozionato: quello è l'importante. Un'americanata ruffiana, ma di una ruffianaggine - esiste, come parola? - giusta. Due ore e venti che volano, dialoghi inattaccabili, un Robert più bravo dell'altro. Anche se Duvall è sempre Duvall, e per me una candidatura se la becca, quest'anno. Come Nolte in Warrior. Lo rivedrei ancora una volta, sinceramente.

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    1. Concordo in pieno. Su Duvall e sul film. Ha molte delle pecche del Cinema a stelle e strisce, ma le usa e sfrutta nel modo migliore.

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  6. Questo film mi fa ripensare ad una cosa che abbiamo lasciato a metà, vecchio cowboy. Lo guarderò alla tua salute, che si fa sempre e solo quello che si può. ;-)

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    1. Quello che si può va bene. Sempre alla salute, Gae. :)

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  7. quando inizi un post con "ricordo", a me ricordi nonno simpson, chissà perché... :D

    a proposito del film sono abbastanza d'accordo. a parte per quanto riguarda il finale, che io ho trovato troppo ruffianotto.
    in ogni caso, se fossi un giudice ti condannerei al carcere a vita. e bada bene che non ho detto alla sedia elettrica. poi non dire che non sono mai buono con te, ford ;)

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    1. Nonno Simpson è un ragazzino, in confronto a me! :)

      Comunque, se vuoi portarmi le arance non c'è bisogno che tu mi faccia mettere in galera: e preferisco sempre una buona bottiglia! ;)

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  8. Bellissimo,ben recitato,commovente,piuttosto lungo ma non noioso,con una bellissima fotografia,anche se certe sequenze in cgi non servivano(l'arrivo in macchina fra il verde,con quella ripresa impossibile, sembra preso da un giochino della playstation).Promossissimo.

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    1. Film all'americana di quelli che è sempre un piacere guardare e riguardare, recitato davvero benissimo.
      Non sarà il top, ma davvero un film che è un piacere vedere.

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