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domenica 6 gennaio 2013

The hunted - La preda

Regia: William Friedkin
Origine: USA
Anno: 2003
Durata:
94'




La trama (con parole mie): Aaron Hallam, specialista di armi bianche e sopravvivenza dell'esercito, dopo anni di addestramento e missioni top secret, ha un crollo psicotico che lo porta alla fuga e a rifugiarsi nelle foreste dell'Oregon ammazzando cacciatori di cervo che crede agenti giunti per liquidarlo.
L'FBI annaspa, così per dargli la caccia viene richiamato dal Canada il suo vecchio addestratore, lo scout L. T. Bonham, un uomo solitario che ha insegnato ad uccidere ad un'intera generazione di agenti speciali senza avere lui stesso mai tolto la vita ad un uomo.
Stuzzicato dal senso di colpa, Bonham affiancherà gli agenti nella caccia al ragazzo cui consegnò proprio lui gli strumenti per diventare un'arma perfetta: l'inseguimento - attraverso la città di Portland e la campagna limitrofa, costerà vite e sacrifici estremi, e porterà L. T. al confronto finale con il suo allievo.





Di recente, dopo la clamorosa illuminazione che è stata Killer Joe, ho deciso di tornare indietro e recuperare quello che ancora mi mancava del Cinema di William Friedkin, già regista di culto in casa Ford grazie a due pietre miliari quali Il braccio violento della legge e Vivere e morire a Los Angeles.
Come per tutti i cineasti di una certa età e con una produzione corposa alle spalle, avevo messo in conto che avrei incontrato anche, sulla strada, pellicole minori e decisamente trascurabili: così è The hunted, thriller d'azione confezionato quasi più per mantenersi in esercizio che per stupire le platee e che, paradossalmente, ebbe un successo di distribuzione - almeno qui nella Terra dei cachi - di molto superiore ad altri lavori più interessanti del regista - si veda il più recente Bug - probabilmente grazie alla presenza dei due protagonisti Tommy Lee Jones e Benicio Del Toro, indiscutibilmente più noti dell'autore de L'esorcista, almeno ai non cinefili.
Da un certo punto di vista è un vero peccato che, di fatto, The hunted si riduca, nel corso della sua durata, ad un mero action d'inseguimento impreziosito da un combattimento finale all'arma bianca violento ed ottimamente congegnato, perchè le tematiche alla base dello script ed un'attenzione maggiore alla parte più introspettiva dello stesso avrebbero spalancato porte decisamente più interessanti per il suo destino e, ovviamente, per pubblico e critica: l'idea di sfruttare la figura dell'addestratore come se fosse un padre - ottimo l'incipit con l'attualizzazione della storia di Abramo e Isacco -, il senso di colpa che muove L. T., che mai ha tolto la vita ad un essere umano, uomo solitario e di coscienza, alla ricerca di Hallam a seguito dei delitti compiuti da quest'ultimo, il ripetuto confronto tra i due, avrebbero potuto fornire una materia decisamente più sostanziosa rispetto al reiterato duello che vede il giovane assassino dell'esercito mettere in ginocchio il nucleo dell'FBI di Portland e fuggire alla cattura in più modi ed occasioni fino al decisivo incontro/scontro con il suo mentore Bonham.
Probabilmente una scelta di questo tipo, mutuata dalla produzione e da una sceneggiatura non all'altezza del soggetto, è da intendersi come volontà di "andare sul sicuro" senza rischiare che una pellicola già di suo destinata al mercato di genere non diventasse, di fatto, un cult misconosciuto che soltanto i più fanatici sono in grado di rispolverare nei negozi specializzati gestiti da altri fanatici come loro.
Dunque, con molta semplicità, un titolo che passa e va senza colpire particolarmente l'immaginario dell'audience, utile come scelta action di matrice non tamarra, apprezzabile per il già citato duello finale e per i continui confronti ed inseguimenti tra i due protagonisti nei più disparati ambienti - la foresta, il centro di Portland, un ponte, le parti sotterranee di un cantiere, per tornare all'immersione nella natura - nonchè per la scelta di porre in chiusura The man comes around di Johnny Cash, ormai sfruttatissima al Cinema ma sempre funzionale e tosta - del resto, parliamo del Man in black, mica di uno qualsiasi -.
Tommy Lee Jones e Benicio Del Toro eseguono il compitino senza neppure troppa fatica, il primo mantenendo quell'aura da vecchio leone coriaceo vista in seguito anche in Non è un paese per vecchi e Le tre sepolture - per citare i due più riusciti - ed il secondo sfoderando il suo lato da psicopatico quasi andando ad unire idealmente i personaggi interpretati ne I soliti sospetti e La promessa.
Friedkin tiene un profilo basso e si limita a piazzare qualche colpo dei suoi di tanto in tanto - tecnicamente ho già indicato la sfida finale così tante volte che vi parrà quasi di averla vista, ma il suo meglio è dato, a mio parere, dal beffardo sorriso del commilitone di Hallam quando quest'ultimo viene insignito della Croce d'argento per aver ucciso a sangue freddo un boss serbo ai tempi del conflitto nella ex Jugoslavia durante un vero e proprio eccidio di civili "per il bene della pace" -: in fondo, uno come lui non si smentisce mai, neppure all'interno di una pellicola che non è certo destinata ad essere ricordata come una delle sue più memorabili.


MrFord


"I'm going hunting
I'm the hunter
I'll bring back the goods
but I don't know when."
Bjork - "Hunter" -


13 commenti:

  1. a me piacque parecchio!
    come giustamente dici paragonato ai precedenti, nonché agli ultimi 2, il film sfigura ma come action non è niente male e del toro e jones danno un consistente contributo ;)

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    1. Frank, io me lo sono goduto, anche se certamente non siamo all'altezza dei grandi filmoni che ci ha regalato Friedkin negli anni.
      Resta un prodotto, comunque, assolutamente guardabile.

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  2. mi era piaciuto, non un capolavoro, un film giocato tutto sui due protagonisti, diciamo un esercizio di stile o una variazione sul tema, ma ben fatta.

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    1. Ismaele, concordo: non sarà una bomba imperdibile, ma si guarda in gran scioltezza.

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  3. Un Rambo 1 ben rifatto.Nulla piu'..

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    1. Beh, meglio un Rambo ben rifatto che una di quelle porcherie pseudo action che girano a volte in sala! ;)

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  4. A me è piaciuto parecchio. Concordo con la tua analisi e le tue riflessioni in termini generali ma credo anche che non sia un'opera così minore rispetto alle altre. Tutto sommato riflette in pieno il modo di fare cinema di Friedkin. È un film di pura regia, ma non quella laccata e leccata ma una regia che deve molto all'improvvisazione, al colpo di genio, all’impeto creativo, all'istinto. Se ci pensi, ad esempio, le inquadrature sono sia descrittive che evocative (vedi il dolly su Tommy-Lee Jones che attraversa gli alberi sui rami, a decine di metri da terra) e il montaggio asseconda l’emozione e il ritmo.
    Sembra quasi che questo film rifletta e rappresenti la carriera di Friedkin: è sbilanciato, imperfetto, sgraziato ma possiede in sé forza e istinto del grande cinema.
    Un po' come ne L’esorcista o in Il Salario della Paura alla fine. Sappiamo che ciò che stiamo guardando non è plausibile eppure lui ce lo fa credere per poi, però, spiazzarci con una messa in scena casuale, immediata e raggelante nel suo senso di verità.

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    1. Mareva, ti dirò: Friedkin è un diavolaccio, hai ragione quando ne parli in quei termini, tecnicamente parlando.
      Il fatto è che quando ho visto questo film avevo ancora negli occhi Killer Joe, che gli da parecchia distanza.
      Un pò come Vivere e morire a Los Angeles.
      Ci sta esserne entusiasti un pò meno. :)

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  5. se un film così clamorosamente fordiano non ha entusiasmato nemmeno ford, dalle parti cannibali rischia solo di essere massacrato...
    se me lo risparmio, mi sa che è meglio per tutti! :)

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    1. Meglio per tutti, anche perchè dovrei poi prenderti a bottigliate per l'ennesima volta, e poi un film così fordiano non sarebbe in ogni caso di facile comprensione cannibalesca! ;)

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