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venerdì 21 settembre 2012

Fearless - Senza paura

Regia: Peter Weir
Origine: Australia/USA
Anno: 1993
Durata: 122'




La trama (con parole mie): Max Klein, architetto di San Francisco, sopravvive per miracolo ad un disastro aereo nel quale perde la vita il suo socio e migliore amico, passando per eroe dopo aver portato in salvo alcuni tra i sopravvissuti ed attraversando un periodo legato alla sensazione di invulnerabilità data dall'aver portato a casa la pelle dopo un simile evento.
Monitorato dallo psicologo Perlman, inviato dalla compagnia aerea per controllare la sua salute mentale, l'uomo pare incapace di tornare all'esistenza che aveva tranquillamente vissuto fino al fatidico giorno dell'incidente, e finisce per allontanarsi dalla moglie e dalla famiglia per legare sempre più con Carla, una donna che nello schianto ha perduto il figlio: tra i due si stabilirà un legame che condurrà entrambi ad un nuovo confronto con la vita.





A volte, ma solo a volte, capita anche che grazie ad alcuni passaggi in tv - ovviamente non sui canali principali, intasati normalmente di porcate inenarrabili - si vengano a scoprire piccoli gioiellini nascosti che erano sfuggiti alla visione: è il caso di questo Fearless, uno dei pochissimi lavori di Peter Weir che ancora mancavano all'appello in casa Ford e certamente non uno dei suoi titoli più noti, scovato da Julez - poi pentitasi di avermi suggerito di recuperarlo - grazie al fascino di una delle prime sequenze, dedicata ad una parte dell'incidente aereo che da origine alla vicenda.
Weir, da sempre affascinato dalla Natura e dall'idea di smarrimento dell'Uomo - il giovane Neil Perry nel supercult L'attimo fuggente, o le ragazze di Picnic ad Hanging Rock -, si dedica con la consueta passione alla sceneggiatura firmata dallo stesso autore del romanzo cui è ispirata, Rafael Yglesias, una vera e propria indagine sulla solitudine che attanaglia i sopravvissuti ad eventi straordinari e catastrofici.
Appoggiandosi quasi completamente sulle spalle di un ottimo Jeff Bridges, la vicenda si sviluppa a partire da una sorta di delirio di onnipotenza divenuto una vera e propria difesa da un mondo che non riesce più a capire del protagonista Max Klein, architetto di successo che pare trovare nell'incidente aereo una sorta di nuova visione della vita e della quotidianità: a farne le spese è principalmente il rapporto con la famiglia, in particolare con la moglie - una come sempre poco sopportabile Isabella Rossellini -, quasi l'incapacità di comunicare le sensazioni legate alla sua nuova condizione di sopravvissuto "immune alla morte" si trasformi di fatto in un muro invalicabile in grado di mettere a rischio anche sentimenti da sempre rispettati.
Lo svilupparsi, parallelamente, del rapporto con Carla - distrutta dal senso di colpa per la morte del figlio della quale si crede responsabile e per il fatto di essergli sopravvissuta - permette a Max di sviluppare un ulteriore allontanamento dalla realtà che fino al giorno prima dell'incidente aveva vissuto ed amato, una realtà che non ha più significato, dalla quale l'uomo riesce a proteggersi quasi avesse sviluppato un'effettiva invulnerabilità - ottimo l'utilizzo dell'allergia alle fragole come espediente narrativo -: peccato che, nella parte centrale della pellicola - la stessa che ha originato il pentimento di Julez, da sempre avversa a tutti quei film nel corso dei quali "non succede niente" -, il rapporto tra Max e Carla rallenti, di fatto, l'interessante questione posta dallo scrittore e dal regista legata al trauma dei sopravvissuti rischiando di spingere l'intero lavoro sui binari del dramma romantico nella tradizione di quel periodo - la pellicola che mi è tornata più alla mente è stata il buon Paura d'amare -, genere che non mi pare sia congeniale alla mano di Weir, sicuramente troppo visionario per una comune storia d'amore.
Fortunatamente, proprio nel punto in cui tutto pareva risolversi in un complicato triangolo tra Max, sua moglie e Carla, Weir preme sull'acceleratore - in tutti i sensi - e regala un'escalation conclusiva da urlo, con due pezzi di grandissimo Cinema - la dimostrazione in auto di Max a Carla e le immagini dell'incidente aereo, da far invidia anche al miglior Lost o a Cast away - ed emozioni a profusione, veicolate da un Bridges in grandissimo spolvero e dalla sensazione che l'amore per la vita e la voglia di godersela tutta, e fino in fondo, non sia questione di sopravvivenza o rischi, quanto di presenza.
Venti minuti che sono veri e propri lampi di un regista sempre in grado di emozionare, capace di arrivare al cuore dello spettatore portando con la genuinità del Capitano Keating riflessioni profonde e toccanti: un climax che va ben oltre il valore complessivo dell'opera - solo discreta, e certo non all'altezza delle migliori del regista australiano - e riesce a chiudere in bellezza permettendo allo spettatore - soprattutto se appassionato - di ringraziare che esista il Cinema.
E registi in grado di amarlo così tanto.
Senza limiti e senza paura.



MrFord



"I'm learning to fly, but I ain't got wings
coming down is the hardest thing
well some say life will beat you down
break your heart, steal your crown
so I've started out for God knows where."
Tom Petty - "Learning to fly" -


4 commenti:

  1. Io come OST del post ci avrei messo proprio "Fearless" dei Pink Floyd. Banale forse, eh? Il fatto è che ho amato tantissimo quel pezzo.
    Comunque per me il film vale la pena vederlo anche solo per questo Bridges!

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    1. Ci sarebbe stata bene, ma Learning to fly, considerato il soggetto, era proprio perfetta.
      Comunque, film con un grandissimo Bridges e dal finale pazzesco!

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  2. Weir e Bridges a livelli altissimi.
    lo ricordo come un film angosciante ed emozionante.

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    1. Ismaele, sono perfettamente d'accordo.
      Finale tra i più belli che ricordi.

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