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domenica 9 ottobre 2011

Lo zio Bonmee che si ricorda le vite precedenti

Regia: Apichatpong Weerasethakul
Origine: Tailandia
Anno: 2010
Durata: 114'







La trama (con parole mie): Bonmee è un vecchio agricoltore vedovo che da qualche tempo è malato. Richiama così nei suoi terreni la cognata in modo da prepararla al momento in cui morirà lasciandole terreni, attività e ricordi di una vita.
Inizia così un viaggio che coinvolge lo stesso Bonmee e la cognata, i lavoranti ed i fantasmi di un passato ormai lontano - la moglie e il figlio del protagonista -, i sogni e gli spiriti di questo mondo e quell'altro che dovrebbe toccare presente, passato, futuro, vita e morte.
Dovrebbe, perchè nonostante le bellissime immagini, quello che sembra è che l'unico vero scopo del regista sia stato quello di mettere le mani sulla Palma d'oro.



Per mesi ho evitato in scioltezza il confronto con la pellicola vincitrice del Festival di Cannes 2010, complici alcune recensioni entusiastiche di alcune tra le voci più radical chic della rete e non ed altre, decisamente meno lusinghiere, di persone il cui gusto è decisamente più vicino al panesalamismo fordiano.
Ultimamente, invece, una certa curiosità si era impadronita del sottoscritto a proposito della visione di questo film, quasi a voler soddisfare la voglia di un ritorno al Cinema orientale autoriale che da troppo tempo mancava all'appello sugli schermi di casa Ford.
Così, con la mente sgombrata della maggior parte dei pregiudizi, ho affrontato la visione di questo curioso Lo zio Bonmee che si ricorda le vite precedenti.
Ebbene, malgrado quello che possa trasparire da questa introduzione, ho trovato la pellicola estremamente scorrevole, a tratti ispiratissima, arricchita da forti simbolismi ed immagini magnifiche ed in grado di fare tesoro di una calma zen anche nello stile di narrazione, fatto di molte inquadrature fisse e bolle di sospensione temporale.
Eppure, allo stesso tempo, posso tranquillamente affermare che questo film è quanto di più insopportabilmente furbo e radical chic si possa trovare in giro, una di quelle cose ruffiane che piazza l'immagine senza alcuna spiegazione o utilità per la trama giusto per solleticare l'ego smisurato dei giurati dei Festival, che di fronte ad opere di questo genere tendono a sbrodolare bavetta ed assegnare premi come se piovessero anche quando loro per primi, nel buio del lettuccio, prima di addormentarsi, sanno benissimo di non aver capito un beneamato cazzo di quello che è stato raccontato dal regista.
Anche perchè, parliamoci chiaro, l'impressione è che non lo sappia davvero neppure lui.
I simbolismi sono sempre apprezzabili, quando hanno un senso, e le differenze culturali - certamente notevoli - possono essere stimoli ad aprire la propria mente a nuovi orizzonti: ma quando sono costretto ad osservare la scena di un monaco - peraltro neppure troppo convinto di intraprendere la carriera religiosa - mai visto fino a dieci minuti dalla fine del film sotto la doccia per cinque minuti mi chiedo cosa mai quell'immagine possa smuovere in me avendo assistito a quella che, a tutti gli effetti, è una storia legata a doppio filo al confronto con il proprio passato e la preparazione alla morte e che, infatti, raggiunge il proprio apice proprio nel dialogo tra Bonmee e la defunta moglie a proposito del Paradiso, più o meno a metà del minutaggio.
Ora, forse la mia sensibilità non è abbastanza sviluppata per cogliere il nesso tra la morte ed un giovane monaco che si lava con il sapone alla citronella, però qualche dubbio a proposito della sincerità dell'opera questo passaggio - così come la penetrazione del pescegatto, nota stonata di una sequenza altrimenti splendida - l'ha suscitato senza neppure sforzarsi troppo.
Un vero peccato, dunque, per uno script che poteva dimostrarsi una sorta di La città incantata in versione umana - le parti dedicate alle scimmie umanoidi dagli occhi rossi sono decisamente affascinanti - ed invece si rivela soltanto l'ennesima cialtronata da club di cinefili che nasconde dietro immagini obiettivamente stupende la pochezza di un film davvero senza un perchè.
Ennesima conferma, dunque, di quanto la Croisette si stia rivelando una sorta di rifugio per i radical chic nonchè un'oasi sfiorita per gli amanti del Cinema, gli stessi che, fino a qualche anno fa, attendevano trepidanti un anno intero per potersi godere proprio sul litorale francese il meglio del meglio della settima arte.

MrFord

"Well you have no right to ask me how I feel
you have no right to speak to me so kind
some day I might (I might) find myself looking in your eyes
but for now, we’ll go on living separate lives
yes for now, we’ll go on living separate lives."
Phil Collins - "Separate lives" -

14 commenti:

  1. Ormai citi sempre più spesso "radical-chic" che mi piacerebbe sapere cosa significa davvero.

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  2. "Un'oasi sfiorita per gli amanti del Cinema" me la segno.
    Anche secondo me il regista non lo so sapeva dove andava a parare. Io e la mia copilota abbiamo una certa dimestichezza con le pellicole "difficili", ma questa oltre ad annoiarci ci anche fatto un po' indispettire per le ragioni che ottimamente hai spiegato. L'anno scorso c'era Tim Burton come presidente di giuria: chissà cosa ci ha visto...

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  3. Alma, con radical chic intendo quell'atteggiamento da illuminati superiori che alcuni - non solo registi - si divertono a sfoggiare, e che pare tanto uno di quegli esercizi da salotto che mi piace tanto prendere a bottigliate. ;)

    Lucien, concordo in pieno. Evidentemente Burton era ancora in bomba secca dopo aver girato quella schifezza clamorosa di Alice in wonderland! ;)

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  4. Ah, gli intellettuali, quelli che sfoggiano la loro cultura senza poi dire niente.

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  5. Brava, hai centrato in pieno la cosa. Anche se, in realtà, le sfumature possono essere molteplici, in questo senso. :)

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  6. Weerasethakul.
    Lasciate perdere.
    Lui appartiene ad un altro mondo.

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  7. Eraserhead, appartiene forse al mondo dei radical chic senza speranza? :)

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  8. ho sempre evitato di vederlo perché mi sembrava un noioso film fordiano..
    l'edizione 2010 non so , ma l'ultimo cannes comunque ha dimostrato che il meglio del cinema attuale era ben presente ;)

    *alma
    mr. ford usa la parola radical-chic semplicemente per definire ciò che non gli piace o non capisce :D

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  9. Cannibale, non saprei: considerata la tua cotta per The fountain e The tree of life certe scene senza senso di questo potrebbero conquistarti! ;)

    Ammetto, però, che la battuta sul mio uso del radicalchicchismo era decisamente riuscita. :)

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  10. quindi se a me fa schifo conan significa che sono radicalscìc?

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  11. Ciku, direi proprio di no.
    Di solito il radical chic non parla mai di quello che non gli piace, perchè è troppo poco cool per lui. ;)

    Molto meglio osannare quello che, invece, lo stesso radical chic ha scoperto in qualche cineforum semisconosciuto grazie ad una geniale intuizione e che tutti noi mortali non riusciremo mai a capire davvero. ;)

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  12. ciku è assolutamente radical-chic!

    secondo quanto dici ford io invece non rientro più tra i radical chic - e mi sento offeso per questo - visto che parlo spesso anche di ciò che non mi piace, e mi diverto un mondo a farlo :)

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  13. Ahah, addirittura le bottigliate? A questo punto sono curioso di vederlo! :D

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  14. Ottimista, bentornato!
    Sinceramente, le bottigliate sono arrivate perchè con le idee che c'erano dietro, si poteva fare molto, ma molto di più.

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