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lunedì 3 maggio 2010

JCVD

Quando lo racconterete la prima volta nessuno ci crederà.
Ma è tutto vero: Van Damme è protagonista di un film d'autore.
E non una robetta, ma una di quelle pellicole con i controcazzi, che mescola tecnica, divertimento, azione - ovviamente, c'è Van Damme! - e metacinema.
Mabrouk El Mechri, praticamente un esordiente, scalda subito le polveri con un piano sequenza da urlo all'interno di uno studio cinematografico dove si gira l'ultima fatica del buon Jean-Claude, solito prodotto di serie C diretto da un regista svogliato che non ha alcuna voglia di ascoltare le rimostranze del suo protagonista, che ci tiene a far notare che un ciak così impegnativo può essere troppo per qualcuno che ha quasi cinquant'anni.
Pare incredibile sentirlo dire, dopo i decenni di film da invincibile dell'attore belga, eppure è così: ed è su questo che il regista ed il film si concentrano.
Il nostro protagonista, eroe di un cinema tutto giocato sul corpo, sulla fisicità e sulla vittoria inevitabile si fa portavoce di un messaggio che ricorda il dramma di Mickey Rourke in The wrestler: la voce di un uomo solo apparentemente vincente ed idolatrato dai fan, in realtà sconfitto, solo, alle prese con una battaglia che non può e non potrà mai vincere.
Quella con il tempo.
E Van Damme si cala perfettamente nella parte, mettendo la sua vita di fronte alla macchina da presa e portando gli spettatori in Belgio, nella sua cittadina natale, alla ricerca di un nuovo stimolo artistico e alle prese con problemi al bancomat proprio nel momento di un delicato passaggio di contante al suo avvocato per la battaglia legata alla custodia dei figli, che versa in cattive acque proprio per l'esempio negativo dato da tutti i film "violenti" di cui è stato volto e simbolo.
Ma non è finita: perchè Jean Claude si troverà intrappolato - un vero "pomeriggio di un giorno da cani" - in un ufficio postale rapinato, e finirà per essere tramite fra i malviventi e la polizia, stretto in una morsa tutta reale che non è possibile pensare di spezzare come se si fosse in uno qualsiasi dei suoi film.
Così, risate, calci volanti e lacrime, arriva il momento, per il nostro JCVD, di mettersi a nudo di fronte a "Dio", al regista, al pubblico e a se stesso, dando vita ad uno dei momenti più originali, intelligenti e sentiti che mi sia capitato di vedere di recente su grande schermo: e al momento più alto - attorialmente parlando - della carriera di Van Damme si aggiunge l'elemento di metacinema inserito da El Mechri, che lascia la scena al solo racconto senza fare affidamento alcuno alle immagini, agli effetti, alle mosse spettacolari e ai movimenti di macchina.
Parole, lacrime e sangue.
E per un istante, quando l'attore, visibilmente commosso, è solo l'uomo, torna alla mente Randy the ram a nudo con la figlia, e non si può che essere toccati scoprendo tutto quello che, di vero, c'è dietro ogni personaggio costruito sulla finzione.
Ed ecco la riflessione più importante ed azzeccata del regista: il cinema può essere grande, ma l'ultima parola ce l'ha sempre la vita.
Il tutto - si veda il finale - senza un briciolo di autocompiacimento e giocato con enorme, ma proprio enorme, autoironia.
E a proposito: so che state ridendo, razza di bastardi, solo perchè sto parlando bene di questo film.
Ma vi ricrederete, fidatevi.
Altrimenti, visto che oggi sono in vena, vi farò fidare a suon di calci volanti.

"They made the world so hard
if I had somewhere else to go
I could be a star like you."
MrFord

1 commento:

  1. Io sono un perdente
    si vede e si sente
    poco interessante
    per niente brillante
    Io sono un perdente
    nascosto fra la gente
    divento trasparente
    per non essere invadente.
    Io sono un eterno sconfitto, un perdente, come già ribadito precedentemente, evidentemente, ed altri avverbi con mente, io sono un perdente ma pur sempre un essere umano
    ti prego, dammi una mano.

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