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venerdì 26 gennaio 2018

Anime nere (Francesco Munzi, Italia, 2014, 109')




Recentemente, grazie all'ennesima conferma di Gomorra come uno dei prodotti di punta non solo del piccolo schermo made in Italy, mi è capitato di confermare l'attrazione che un certo tipo di produzioni crime esercitano sul sottoscritto, principalmente grazie al fatto di mostrare l'umanità celata dietro il Male, l'Oscurità o qualsiasi altra cosa si voglia pensare esista oltre i confini della comunità che resta dentro le regole: da animali sociali, infatti, credo sia assurdo non considerare che anche i peggiori elementi della società stessa non siano in grado di provare sentimenti e pulsioni come l'amore, la vicinanza - o lontananza - rispetto alla famiglia, la rabbia, la frustrazione, l'orgoglio e così via.
Anime nere, diretto da Francesco Munzi e perfettamente ascrivibile a questo filone, era inspiegabilmente mancato al Saloon ai tempi della sua uscita qualche anno fa, ed ha finito per recuperare il terreno grazie ad un regalo di natale del fratello Ford, cresciuto insieme a me a pane e Goodfellas: pur se imperfetto quantomeno nel respiro e nelle tempistiche, il lavoro di Munzi funziona, è oscuro ed efficace e racconta un dramma quasi shakespeariano che si incrocia a tradimenti, legami di sangue, desiderio di imporsi ed imporre, rivincite e rancori.
Nelle profondità dell'Aspromonte - di norma "snobbato", rispetto alla produzione italiana, in favore di altre località più semplici da gestire in termini di notorietà "pop" - assistiamo alla caduta inesorabile di una Famiglia che, tra la Milano lontana e "da bere" e le origini tra i campi e le capre perde progressivamente la percezione della propria sconfitta, e che ha nei suoi "eredi" gli emblemi della stessa caduta: dal maggiore, lontano dalle dinamiche criminali che hanno costruito le fortune e la fama del suo nome, isolato per scelta ed indole nei campi, al minore, solo apparentemente sposato all'alta società del Nord, passando per le intemperanze di tutti gli uomini nel mezzo, da quelli pronti ad accettare un regalo che ha il sapore del tacito accordo del silenzio a quelli desiderosi di apparire più di quanto non siano, e a fare fuoco contro la vetrina di un bar locale senza sapere che a volte dal più piccolo dei gesti ha origine la più grande delle tragedie.
Munzi, nel raccontare la sua storia, forse finisce schiacciato dalla stessa - viene quasi il dubbio che il tutto avrebbe espresso le potenzialità che lascia intravedere se ne fosse stata tratta una serie televisiva per la quantità di carne al fuoco presente per un'ora e quarantacinque circa di pellicola - eppure al contempo regala momenti decisamente importanti e pronti a rimanere impressi nella memoria dello spettatore, quasi sempre legati alle morti dei componenti della famiglia.
Del resto, proprio scrivendo il post dedicato all'ultima stagione della già citata Gomorra, avevo sottolineato quanto evidente sia il fatto che alcune strade non possono portare ad altri destini se non la morte o la galera - e scrivendolo penso a De Andrè e all'umanizzazione del Male quanto del Bene -, ed in questo senso Munzi ha fornito una fotografia perfetta di quanto ineluttabile sia il destino di chi abbraccia questa condizione: poco importa, poi, che cerchi di rifuggirne o di abbracciarla con spocchia e presunzione.
Prima o poi, incontreremo sempre la pallottola con scritto il nostro nome.
Sarà più importante, allora, forse aver percorso la strada che ci avrà condotto a quel momento con il peso meno gravoso da portare sul cuore.



MrFord



 

4 commenti:

  1. Film che all'epoca mi piacque molto, ti dirò. Sembra voler dire "Siamo tutti colpevoli" a gran voce, affonda l'intero paese nel petrolio e lo raccoglie con la punta delle dita.

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    1. Vero, un film molto "oscuro", come del resto sono alcune esistenze. Peccato perchè, con qualche accorgimento, avrebbe potuto essere anche più potente.

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  2. Adesso arrivi in ritardo anche sulle fordianate?
    Sei incorreggibile. :D

    A me era sembrato giusto una brutta copia di Gomorra. Visto e dimenticato...

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    1. Poteva essere di più, sì.
      Brutta copia, direi di no. ;)

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