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mercoledì 2 agosto 2017

The Handmaid's Tale - Stagione 1 (Hulu, USA, 2017)




Nonostante io sia una persona molto tranquilla e tendenzialmente - pur se solo in superficie - equilibrata, fin dai tempi in cui la timidezza mi schiacciava come un macigno che non ero in grado di sollevare penso di essere stato più incline alla ribellione che non all'esercizio del potere.
Negli anni, oltre a cambiare, imparare, sbagliare, costruire, crescere, mi sono commosso tra le pagine di 1984 e V per vendetta, ho patito sconfitte e lottato per arrivare a vittorie sul lavoro, sentito la necessità di essere libero - di pensare, di vivere, di esprimere me stesso - sempre più impellente, e goduto della sensazione di poter condividere queste passioni e desideri con chi, per un breve tratto o spero per sempre, è stato o è al mio fianco in questo viaggio.
Nel corso della prima stagione di Handmaid's Tale ho pensato principalmente a questo.
La Libertà.
Una Libertà che per una donna significa potersi gettare nell'esperienza probabilmente più totalizzante ed intensa che si possa immaginare: quella di regalare al mondo una vita nuova.
Allo stesso modo, pur se sempre dall'esterno, mi è capitato di pensare a quale non Libertà possa essere peggiore: quella di non riuscire ad avere figli, o di doverli avere per qualcun'altro.
A prescindere dagli intrighi, dall'atmosfera, dall'evoluzione della trama, dai personaggi e quant'altro si voglia gettare nel calderone, la cosa che ha finito per colpirmi più nel profondo in questa produzione targata Hulu che si ripromette di essere una delle protagoniste delle classifiche di fine anno dedicate ai serial è la tenacia mostrata dal "sesso debole" in barba alla credenza maschile di ritenersi al di sopra dello stesso, che si parli delle Ancelle o delle Mogli, nel pieno di un mondo in cui gli Stati Uniti rappresentano un nuovo "ritorno al passato" costruito sulla Fede cieca ed il bigottismo che maschera, in realtà, tutte le debolezze umane che continueranno ad essere impossibili non tanto da nascondere, quanto da tacere.
Come fossero tante mani che rifiutano di scagliare pietre - prime oppure no che siano - di quello che, episodio dopo episodio, assume i connotati di un esercito di ribelli da fare invidia a Spartacus, costruito sottovoce ma guidato da una forza che noi bestie dall'altra parte della barricata non potremo mai e poi mai neppure immaginarci.
"Non lasciare che i bastardi ti schiaccino", recita come un mantra June, mentre la seguiamo nel suo percorso fatto di vendetta, violenza, umiliazione, riscatto, amore, desiderio: un percorso di crescita che diviene simbolo di una lotta sotterranea e dirompente, in grado di mescolare generi e stili ma soprattutto di toccare corde che, in chi è sensibile a determinati temi come la suddetta Libertà, diventano lo strumento più efficace nel pezzo più travolgente che abbiate mai potuto ascoltare nel corso della vostra vita.
E a prescindere dalla struttura - che, da Lost in poi, è diventata uno dei cardini negli script delle produzioni destinate al piccolo schermo, in un gioco ad incastro tra flashback e presente di narrazione - la progressiva presa di coscienza di June diviene il simbolo delle battaglie di molti di noi, uomini o donne poco importa, in grado di alimentare curiosità e tensione, e stimolare l'anelito dello spettatore per quella Libertà che spesso, anche nella realtà "non distopica" che viviamo quotidianamente, viene soffocata attraverso mezzi ben più morbidi - almeno all'apparenza - di quelli usati da Galaad e dal suo governo.
Proprio per questo - e perchè, se fossimo uomini, ammetteremmo senza riserve la forza irrefrenabile delle nostre "altre metà del cielo", ben superiore a quella che pensiamo di mostrare -, finisce per essere impossibile, in quanto umani, rimanere sordi al richiamo di June, a quel mayday che più che una richiesta d'aiuto è un richiamo alle armi, alla raccolta, al grido di un'indipendenza dal bigottismo e dalla dittatura culturale fondamentale oggi, allora ed in un futuro prossimo, distopico oppure no.
In fondo, diretti verso il peggio, o il meglio, l'importante è essere in movimento verso qualcosa, ed aver compiuto ogni passo seguendo l'esigenza che, in quanto vivi, abbiamo di essere liberi.
E non sotto l'occhio di qualcuno.




MrFord



 

13 commenti:

  1. Serie di una potenza grande.
    E che scoperta Elisabeth Moss, non ce n'è per nessuno. Lancia sguardi che pietrificano.

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  2. Margaret Atwood è una grande scrittrice e la serie si è dimostrata all'altezza: conquistato come poche altre volte mi è accaduto (True Detective, Breaking Bad, Peaky Blinders...)

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    1. Per me ottima serie, non ai livelli di True Detective o Breaking Bad, ma comunque di altissimo livello.

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  3. "Nonostante io sia una persona molto tranquilla e tendenzialmente - pur se solo in superficie - equilibrata..."

    Ma dove???
    Mi vuoi far subito smettere di leggere?
    Va bene la Libertà, ma mi sembra che tu qui ti sia preso troppa libertà nello scrivere cacchiate. :D

    Per fortuna che, dopo questo inizio di post più angosciante della serie stessa, il resto del pezzo migliora... ;)

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    1. Che fai, fingi di non sapere che io in realtà sono un pezzo di pane!? ;)

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  4. È stata una bella botta, questa serie... una bella botta presa volentieri!

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  5. Bellissima serie tratta da un libro altrettanto bello.

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  6. Siamo compagni di header, e non poteva essere altrimenti per una serie potentissima e che sì, a fine anno sarà ben in alto nelle classifiche. Un futuro che nel mondo non libero già c'è, e che per questo mette ancora più i brividi.

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    1. Verissimo: tematiche molto attuali e profonde, e purtroppo neppure così lontane dalla realtà.

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  7. Grande serie davvero, e purtroppo neppure troppo lontana dalla realtà.

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