Pagine

venerdì 4 agosto 2017

I don't feel at home in this world anymore (Macon Blair, USA, 2017, 93')




"A volte si incontra un uomo che è l'uomo giusto, nel posto giusto, al momento giusto: e quello è il Drugo, a Los Angeles": recita più o meno così l'incipit de Il grande Lebowski, uno dei film che più ho amato, amo ed amerò nella mia vita di spettatore e non solo, di quelli che se dovessi scegliere dieci titoli da portare su un'isola deserta in stile Lost non avrei alcun dubbio ad avere con me continuando a rivederlo per il resto della vita.
Nel corso di questo duemiladiciassette, complici l'impoverimento incredibile subito dalla Blogosfera negli ultimi due anni - ricordo quando, ai tempi, non passava settimana senza che decine di blog venissero inaugurate a cadenza quotidiana, nuovi followers, commenti e confronti nascessero senza neppure fare fatica, e via discorrendo -, gli impegni con i Fordini pronti a crescere, altre passioni in questo momento decisamente più soddisfacenti ed una distribuzione certo non favorevole - almeno dai tempi dell'ultima notte degli Oscar -, ammetto senza troppa preoccupazione di essermi sbattuto ben poco, per cercare ed affrontare pellicole potenzialmente interessanti, crogiolandomi nel fatto che, oggettivamente, nelle sale italiote sia giunto davvero ben poco degno di nota.
Poi, quasi per caso, in una sera di questo inizio agosto, ecco giungere I don't feel at home in this world anymore.
Che è stato il film giusto, nel posto giusto, al momento giusto.
Proprio come il Drugo a Los Angeles.
E proprio come Il grande Lebowski, la pellicola di Macon Blair - già attore nell'interessante Green Room - rappresenta un ibrido, una mescolanza tra generi che oltre al mitico lavoro dei Coen è riuscito a farmi sentire echi di altre perle come Hesher o Big Bad Wolves: partito come la classica commedia esistenziale in stile Sundance, evolutosi come un thriller dal sapore lansdaliano ed esploso neanche fosse un Tarantino impazzito nell'escalation finale I don't feel at home in this world anymore è senza ombra di dubbio la cosa più interessante che abbia visto da mesi a questa parte, l'unica mossa da una carica scombinata quanto la sua protagonista - o il suo curioso sidekick, un ottimo, considerato che di norma lo detesto, Elijah Wood - ed in grado di scuotere, emozionare, stupire, lasciare interdetti o profondamente, macabramente divertiti.
Sedersi sul divano preda del caldo svaccandosi con Cuba e gelato al mango e ritrovarsi praticamente seduti a terra con il viso proteso verso lo schermo, l'esaltazione a mille e la voglia di ricominciare senza tregua a vedere tre o quattro film al giorno in barba alla desertificazione della Blogosfera è uno dei meriti più grandi che questa sorprendente pellicola ha, ma non l'unico.
Personalmente, invece che elencarli come nella più classica delle recensioni o liste della spesa, preferisco invitarvi a sperimentare sulla pelle - magari conoscendo il meno possibile della trama - questo gioiellino indie pulp, distribuito da Netflix - in barba a chi vorrebbe tagliare fuori le produzioni di una delle realtà più interessanti del grande e piccolo schermo dai Festival - e pronto ad inaugurare - almeno lo spero prima di tutto per me - una nuova stagione all'interno di un'annata senza dubbio difficile per noi bloggers cinefili, e prima ancora spettatori desiderosi di confrontarsi sempre e comunque con la settima arte.
Se, dunque, con il Cinema e la Blogosfera da diverse settimane I didn't feel at home anymore, I don't feel at home in this world anymore ha finito per ridarmi speranza.
E farmi sentire come il Cinema riesce a farmi sentire.
Tremendamente vivo, tremendamente bene.
Anche quando c'è inevitabilmente da soffrire.




MrFord




 

9 commenti:

  1. Per me questo film ha un sapore estivo considerevole, non capisco nemmeno come mai. Anche perché non l'ho guardato quando faceva ancora così caldo. Però alla fin fine a me non ha soddisfatto fino in fondo, non mi ha lasciato molto, né divertimento, né sorpresa, né qualcosa su cui riflettere... C'è da dire però che alcuni momenti sono da incorniciare...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Invece io, sarà che sono mesi che vedo solo schifezze o quasi, sono stato letteralmente conquistato.
      Ad ogni modo, ci sono almeno tre o quattro scene cult.

      Elimina
  2. Non so perché, ma non mi ha impressionato.
    Sarà che il Sundance lo sento sempre vicino e questo, dalle parti dei Coen (che non mi piacciono), sembrava un po' fuori contesto (ma non dal mondo). Non ha lasciato strascichi e non ho avuto voglia di parlarne, boh.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io invece, che adoro i Coen, l'ho trovato bellissimo. Una delle cose migliori dell'estate e non solo.

      Elimina
  3. Un film che per fortuna per me non ha nulla a che fare con il sopravvalutatissimo piccolo Lebowski. :)

    Comunque una pellicola intrigante, come già raccontato diverso tempo fa sul mio blog, però anche imperfetta, soprattutto in una parte finale esagerata e troooppo anni '90 persino per me. :)
    Buon film, ma la tua esaltazione mi pare eccessiva e pure preoccupante...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A me invece è parso anni novanta nel senso interessante del termine, nello stile del primo Tarantino. Ad ogni modo, meglio non essere troppo d'accordo.

      Elimina
  4. Strana la tua esaltazione per un film a tratti più cannibali che fordiani ;) Strano, ma strano forte, strano vincitore del Sundance pure, visto come frega lo stile tipico virando per il thriller e il coeniano. Ma uno strano decisamente bello.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Strano, ma decisamente bello.
      E per me neppure troppo cannibale, date le assonanze con i Coen. :)

      Elimina
  5. Una vera chicca, sono d'accordo al cento per cento.

    RispondiElimina