La percezione che dall'esterno possono avere di noi è una delle variabili più clamorose, scombinate e potenzialmente pericolose della nostra esistenza: tendenzialmente io sono una persona tranquilla e molto paziente, ed è difficile - ed è meglio che sia così - vedermi perdere davvero le staffe, sono molto gioviale e compagnone, ed anche al lavoro - almeno fino a qualche mese fa - sono sempre stato l'anima ed il motore della mia squadra.
Eppure, saranno i tatuaggi, l'abbigliamento, il piglio, il modo di pormi o di camminare, il fatto che negli anni mi sia decisamente irrobustito - anche se, ammetto, accadeva molto spesso anche prima -, ma sono stato fermato dalla polizia neanche fossi tornato ai tempi dell'adolescenza dei capelli lunghi e del fare da ribelle alternativo anni novanta.
In particolare ricordo l'estate di un paio d'anni fa, quando, tra canotte e taglio mohawk, ho fatto il pieno di controlli, in particolare uno sulla banchina della stazione mentre stavo prendendo il treno una domenica mattina per andare al lavoro - "Ma la bici che ha parcheggiato fuori dalla stazione è sua? E' italiano?" -, uno tornando alle nove passate la sera sempre dal lavoro e sempre in bici - e mi chiedo, ma quale squilibrato si metterebbe a rubare ed utilizzare per sfrecciare per le strade con la musica in cuffia una bicicletta con due seggiolini per bambini? - ed uno addirittura al mare, quando in una mattina di tempo non eccezionale e con il Fordino - la Fordina era ancora "in forno", ai tempi - a spasso con i miei genitori decisi di andare a fare un pò di spesa al market, e fui affiancato da una volante con tre baldi giovani - per una volta in ottima forma fisica - che mi trattennero per controlli per un buon quarto d'ora intimandomi di rimanere di fronte alla macchina ed in vista - ed io sempre in canotta, pantaloni lebowskiani ed infradito - di fronte ad un passaggio a livello con i passanti che mi guardavano come fossi una sorta di evaso.
Ricordo bene anche casi cinematografici come il meraviglioso Il sospetto, che proprio sulla percezione dall'esterno portavano una riflessione profonda sui pericoli del giudizio in una società, specie se molto ristretta numericamente - anche se, a ben guardare, le cifre contano molto relativamente, in questi casi -.
Rectify, recuperata prontamente dopo il parere entusiastico di Lisa Costa, è legata a doppio filo agli stessi temi: Daniel Holden, neanche ventenne nella Georgia di provincia è arrestato per l'omicidio e lo stupro della sua fidanzata e condannato a morte, scontando vent'anni tra ricorsi e vita da recluso tra i reclusi fino ad essere scagionato da una prova del DNA che gli permette, ormai adulto mai davvero cresciuto, di fare ritorno dai suoi cari e nella sua città.
E cosa accadrebbe, se qualcuno che per così tanto tempo aveste pensato colpevole di un delitto efferato tornasse a camminare per le vostre strade, libero e comunque - vent'anni nel braccio della morte penso possano segnare chiunque - instabile?
Nel corso di questa prima stagione di Rectify ci si concentra su questa domanda ed ancor di più sulla condizione di esule e prigioniero del protagonista anche una volta abbandonata la cella, in bilico tra ricordi ed una vita mai davvero vissuta: a prescindere, dunque, dagli sviluppi della trama e dalla nuova indagine che dovrebbe mettere chiarezza una volta per tutte sul suo caso, seguiamo principalmente il difficile reinserimento emotivo di Daniel nella società, tra sequenze splendide - il ritrovamento del baule con i suoi "cimeli" anni novanta - ed altre terrificanti - il pestaggio che chiude l'ultimo episodio -, una famiglia spezzata nel profondo dalla tragedia messa a confronto con quella ugualmente segnata della ragazza uccisa.
Il risultato è un interessante viaggio nell'animo umano, luminoso o oscuro che sia, sfumature comprese, che mette molta carne al fuoco ma al quale, per il momento, manca ancora la scintilla in grado di far mordere il freno per recuperare immediatamente il resto della serie: quello che è sicuro è che, da parte mia, uno come Daniel Holden merita una possibilità.
Fosse anche solo di dimostrarsi colpevole.
MrFord
Mai sentito nominare!Mi ricorda un pò The night of,certo che son tragedie, certi errori giudiziari...
RispondiEliminaThe night of, essendo una miniserie, aveva un impatto emotivo molto più forte, ma non è detto che questa non migliori procedendo con le stagioni.
EliminaIo mi sono innamorata fin da subito di questa serie, e in particolare del personaggio di Daniel. C'è tanta delicatezza in lui, nei suoi modi, nel suo modo di porsi e di parlare. Alcuni dialoghi sono così intensi, introspettivi...Merita assolutamente di essere vista :)
RispondiEliminaSenza dubbio il personaggio di Daniel è di quelli che si ricordano, e sono curioso di scoprire la sua evoluzione.
EliminaRaccolgo il consiglio e proseguo!
Non ti facevo un tipo tranquillo, ma un rissaiolo. Chissà perché? :)
RispondiEliminaLa serie è piaciuta pure a me, ma pure nel mio caso è sempre mancata la scintilla, quella che ha divampato nel cuore di Lisa.
Essendo piuttosto fordiana, pensavo ti sarebbe piaciuta di più. Vediamo se e come andrà con le prossime stagioni...
Ahahaha assolutamente no: parlando lebowskianamente, sono più il Drugo che non Walter. ;)
EliminaDetto questo, sono curioso anch'io dell'effetto che mi faranno le prossime stagioni.
Grazie per aver ascoltato il consiglio, Daniel si merita questa possibilità e questa visibilità, che non solo Aden Young ma anche gli attori della serie sono incredibili.
RispondiEliminaLenta e avvolgente, deve essere presa nel modo giusto Rectify, ma per invogliarti ti dico che sì, sa crescere in intensità e in appeal.
Tranquilla, la visione proseguirà.
EliminaA Daniel una possibilità la do volentieri. :)
Effettivamente ce l'hai un po' l'aspetto dell'ex detenuto bianco di Folsom... ;)
RispondiEliminaSembra meritare cmq questa serie, me la segno!
Ahahahah addirittura!?
EliminaQuindi fanno bene a fermarmi? ;)
Secondo me la serie ti piacerebbe, comunque.