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martedì 24 gennaio 2017

Westworld - Dove tutto è concesso - Stagione 1 (HBO, USA, 2016)




In un posto ribattezzato Saloon come questo, è praticamente ovvio che un Western, vero o presunto che sia, partirà sempre da una corsia preferenziale.
E' altrettanto ovvio che, se fossi nella realtà di Westworld ed avessi il denaro per permettermelo, praticamente vivrei in un parco come quello mostrato da una delle serie più osannate della fine del duemilasedici, all'interno del quale si ha l'occasione di fare esperienza sulla pelle del vecchio West, dalle cittadine polverose ai confini infestati da selvaggi e soldati allo sbando, dai grandi spazi e dalla bellezza della Natura alla sconvolgente violenza tutta umana.
Jonathan Nolan, fratello del più noto Christopher ed ottimo sceneggiatore, autore di cult totali per il sottoscritto come The prestige o Inception, allo stesso modo da queste parti avrà sempre un giro offerto dalla casa.
Tecnicamente, inoltre, Westworld rappresenta senza dubbio una delle più impressionanti dimostrazioni che il piccolo schermo, ormai, non ha davvero più nulla da invidiare al grande.
Senza contare le recensioni entusiastiche di quello che è stato senza dubbio uno dei titoli sensazione dell'anno appena concluso.
Eppure.
Eppure, nel perfetto mondo costruito da Robert Ford - guarda caso - e dal suo defunto socio Arnold, qualcosa non torna.
E non torna neppure nella creatura apparentemente perfetta portata in scena da Jonathan Nolan e soci.
Nel corso delle dieci puntate di questa prima stagione, più volte - specialmente confrontandomi con Julez - ho pensato a cosa potesse non andare, in un prodotto che pare confezionato apposta per me: ho pensato alla troppa carne al fuoco, ai twist che possono lasciare a bocca aperta ma, quando cominciano a diventare troppi, possono addirittura produrre un effetto opposto e dunque negativo, al "tutto e contrario di tutto" che una storia di questo tipo permette ai suoi autori, quasi fosse troppo facile poter montare e smontare la sua intera impalcatura, come se fosse una costola del già citato Inception o un bel trucco da illusionisti che non nasconde nulla.
Ho pensato a tante cose, dal macroscopico al microscopico, da quello che potrebbe rivelare la seconda stagione a quello che non sarà mai in grado di svelare, perchè di fatto non esiste.
Ma la risposta, forse, è una sola: a Westworld, almeno fino ad ora, è mancata la scintilla.
La stessa che permette allo spettatore di innamorarsi perdutamente di un charachter, buono o cattivo o nessuno dei due che sia, che induca a consumare gli episodi come fossero bicchieri buttati giù troppo in fretta una sera in cui si ha una voglia incontenibile di sbronzarsi, che produca una sorta di dipendenza, invece che far soffermare l'audience sull'utilizzo intelligentissimo di noti brani musicali cult riarrangiati dal pianoforte automatico del Saloon di Sweetwater.
Westworld è un parco divertimenti, una magia dei suoi creatori, una meraviglia, eppure un clamoroso, riuscitissimo involucro vuoto, quasi come se il più riuscito dei suoi residenti non riuscisse mai ad avere un'epifania, una "ricordanza" in grado di portarlo ad un altro livello di coscienza.
E per un cowboy pane e salame come il sottoscritto, un West senza quella scintilla è come una pasta senza i fagioli dello stesso West che mi ha fatto innamorare del Cinema.
Quando la realtà incontra la leggenda, vince la leggenda.
Una regola che ha sempre valso, lungo la Frontiera, da John Ford in avanti.
Ma che, almeno finora, a Westworld pare non valere.
E non è affatto un bene.




MrFord




13 commenti:

  1. Bravo! Hai definito una chiave che mi mancava: "la scintilla". Forse anch'io per questo non sono riuscito ad appassionarmi, pur riconoscendo le qualità della serie.
    E poi oh, sto c**** di labirinto: quanto l'hanno menata?

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    1. Concordo: molta, moltissima qualità, ma a mio parere, pochissima emozione.

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  2. A parte il fatto che anch'io vorrei viverci davvero, capisco il tuo punto di vista ma soprattutto le prime e ultime puntate sono così pazzesche che alla fine poco importano alcuni errori, anche se, se non scocca la scintilla è inutile anche continuare a vederla ;)

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    1. Inutile continuare non saprei: ci sono film e serie che ci colpiscono all'improvviso, anche dopo tempo, e la scintilla la fanno scattare.
      Vedremo con la prossima stagione.

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  3. Appena finisco di vedere OA -che parte a tuono ma poi si sgonfia un pelo, staremo a vedere- questa e Ash vs evil dead sono le prossime sicuramente!

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    1. Di OA parlo domani, quindi mi sa che sono sul pezzo. ;)

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  4. Io sono partito da premesse opposte, visto che il genere western mi fa pena e questa serie non sembra certo confezionata per me, però sono arrivato a conclusioni simili: valida, ma con molte riserve. E anche per me non è scattata la scintilla...

    A questo punto urge visione e stroncatura di Oceania al più presto, così torneremo a essere in disaccordo. ;)

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    1. Ahahah vero, questo inizio anno è stato troppo "in armonia": ma già domani, secondo me, almeno in parte saremo discordanti.

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  5. Con me la scintilla è scattata, almeno all'inizio. Poi si è lentamente spenta, in episodi centrali lenti e a tratti troppo confusi. Con il finale però, tra twist sorprendenti e canzone struggenti, si è riaccesa, ed è salita la voglia di rivedere tutto alla luce di queste rivelazioni.
    La seconda stagione mi spaventa, troppa carne al fuoco può effettivamente essere indigesta...

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    1. Serie così complesse sono sempre un rischio, perchè è molto facile finire gambe all'aria: sinceramente, spero che con la seconda stagione la scintilla si accenda anche per me.

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  6. Io, invece, apprezzo il fatto che tu possa apprezzare la citazione. ;)

    Per il resto, completamente d'accordo.

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  7. A me è piaciuta da morire,tutto il discorso psicologico/etico sugli androidi l'ho trovato intrippantissimo.
    Sì,non manca qualche scivolone,ma a me la scintilla è scoccata.
    Eccome.

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    1. Sicuramente è ben fatto e ci sono parecchi spunti: purtroppo, anche se per motivi differenti, non ha lasciato il segno emotivamente allo stesso modo di The OA.

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