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venerdì 8 giugno 2012

Morte apparente

Autore: Thomas Enger
Origine: Norvegia
Anno: 2009 (in Italia 2011)
Editore: Iperborea



La trama (con parole mie): Henning Juul, giornalista con un fiuto da investigatore, da tempo vive come sospeso, annientato nel corpo e nello spirito dall'incendio che provocò la morte di suo figlio.
Cicatrici sulla pelle e nell'anima, torna al lavoro agli ordini di quella che era la sua giovane assistente per raccontare un efferato omicidio apparentemente rituale avvenuto sulla collina dell'Ekeberg, la cui vittima è una studentessa di Cinema amata ed ammirata da tutti.
Alla vita della ragazza e ai suoi progetti paiono essere legate a doppio filo le attività di un giovane immigrato pakistano coinvolto in loschi traffici con una banda di criminali chiamata Bad Boys Burning.
La polizia pare trovare proprio in quest'ultimo il colpevole ideale, ma Juul, risvegliando progressivamente le sue doti sopite anche per ricacciare indietro il dolore che continua ad attanagliarlo, scoprirà che le cose non sono come sembrano, e troverà la forza per arrivare in fondo alla vicenda e conquistarsi la spinta per far ripartire la sua vita.




A volte il problema più grosso di un romanzo - o di un film - risulta essere, di fatto, il modello che lo precede.
Thomas Enger ed il suo Morte apparente - primo di una serie di sei volumi - sono arrivati in casa Ford spinti dal consiglio di un collega, le ottime recensioni presenti sul web e lo sdoganamento del noir norvegese passato da queste parti per mano di Jo Nesbo, ormai uno degli autori di culto del sottoscritto: in realtà, tra tutti i pareri, quello che più si è rivelato vicino al mio giudizio finale è stato quello di Julez, che aveva già affrontato questo titolo lo scorso anno, praticamente appena uscì dalle nostre parti: quel "carino" che ha segna già il destino delle opere destinate a non fare breccia.
Come se questo non bastasse, ammetto che l'esordio ed i primi paragrafi siano stati una piccola sofferenza, considerata l'immagine ormai impressa nei miei occhi di lettore della Oslo di Harry Hole, eppure Enger si è dimostrato in grado di catturare l'attenzione quel tanto che basta da non farmi abbattere - allungando, di fatto, i tempi di lettura - e proseguire andando a scoprire quelli che, senza dubbio, sono un autore ed un personaggio potenzialmente molto interessanti, ma che per ora restano parcheggiati in un limbo "senza infamia e senza lode" principalmente perchè schiacciati inequivocabilmente dalla già citata premiata ditta Nesbo&Hole.
Henning Juul, arguto giornalista ed antieroe di questo futuro ciclo di romanzi, ha tutte le caratteristiche da "maledetto" che, di norma, decretano l'istantaneo successo di un personaggio: solitario, poco amichevole, ai margini nonostante il talento evidente, segnato nel corpo e nello spirito dall'incendio che l'ha sfigurato ed ha portato alla morte di suo figlio, devoto ad una madre tabagista e alcolizzata nonostante l'evidente odio della donna per lui, lontano dall'unica sorella e dall'ex moglie, ormai legata ad un suo collega.
Eppure, c'è qualcosa che stona, in questo quadro di disperazione e caos tipico del ramingo e malinconico personaggio da epopea noir, così come nell'intera vicenda narrata, legata a doppio filo ad un contesto estremamente intimo - l'amore, il movente principale della maggior parte degli omicidi -, ad un altro da crime story - traffico di droga, bande criminali - per chiudere con uno assolutamente sociale - l'integrazione e la religione -: una sorta di troppo che stroppia.
Perchè Henning Juul è vessato dal destino, ma al contrario del sempre mitico Harry Hole non è mai artefice della sua dannazione, e pare più una vittima sempre un pò troppo pura per entrare in reale empatia con il pubblico: a poco servono gli improperi contro il nuovo compagno dell'ex moglie, o qualche sommesso moto di ribellione rispetto all'ex assistente divenuta il suo capo nel lungo periodo della convalescenza che l'ha tenuto lontano dalla strada e dalla professione.
Gli stessi personaggi di contorno - se si escludono il poliziotto Brogeland e Anette, migliore amica della vittima - appaiono poco approfonditi, quasi l'autore avesse già la certezza di riuscire a pubblicare tutta la serie ancora prima di portare a termine questo primo capitolo, nonostante il protagonista e la vicenda, al contrario, diano l'impressione di essere grandi calderoni in cui Henger tende a buttare quanti più elementi possibile, finendo per perdere nell'insieme anche le idee più valide.
A peggiorare la situazione l'inutile colpo di scena finale - che ha provocato nel sottoscritto un moto di rabbia da bottigliate simile a quello dei film dal sequel telefonato -, che rovina un climax forse prevedibile ma indiscutibilmente ben costruito: resta dunque una lettura piacevole ma non imprescindibile, buona per quei periodi estivi in cui ci si cimenta con il classico thriller da ombrellone - in questo caso in una sua versione d'autore -, ma che non va oltre - almeno per il momento - dall'essere una sorta di fratellino molto, molto minore di un qualsiasi romanzo targato Nesbo.



MrFord


"All wet hey you might need a raincoat
shakedown dreams walking in broad daylight
three hun-dred six-ty five de-grees
burning down the house."
Talking heads - "Burning down the house" -


4 commenti:

  1. mmm
    Non mi fido dei fratellini minori di Nesbo.. L'aspetto sociale è copiato dalla trilogia Millenium?
    Comunque se dovessi trovarlo in prestito, lo leggerei ma solo sotto l'ombrellone: sono stata scottata da nordici incompetenti, devo stare attenta ;)

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    1. Elle, posso capirti.
      La trilogia di Millennium non l'ho letta, ma vista al Cinema. L'aspetto sociale, comunque, mi pare simile.
      Se devi scegliere qualcosa di norvegese, resta su Nesbo.
      Quello è il numero uno indiscusso.

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  2. Mmm, secondo me l'unica cosa che si salva di questo film...è il commento sonoro che hai messo nella tua recensione!
    (Grandi Talking Heads!)

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    1. Elle, è un romanzo, non un film! :)
      Per il resto, grandi Talking heads!

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