Mi gioco ben volentieri ancora un paio di cartucce prima di esaurire - ma solo per il momento - la sbornia dei biopic musicali: ricordo quando, nell'ormai lontano millenovecentonovantaquattro, i miei compagni di liceo mi accolsero in lacrime gridando "E' morto Kurt!".
Ricordo anche che allora, nel pieno della nerditudine del tempo, quando MrFord era solo un adolescente magro e bassino, senza tatuaggi, stronzaggine acquisita col tempo e ancora legato a Bryan Adams, risposi "E' chi è Kurt!?".
Perchè i Nirvana, band storica che raccolse l'eredità dei gruppi di rottura alla fine degli anni ottanta - Pixies su tutti - e traghettò gli adolescenti - e non solo - di tutto il mondo verso la ribellione depressa dei novanta, li avrei conosciuti davvero solo qualche anno dopo, quando la passione per la musica mi preservò da quella sbornia di tristezza infinita che avvolse come una nube tossica una buona metà della mia classe dei tempi.
In realtà Cobain, uno dei personaggi più importanti della storia del rock, fece inesorabilmente parte di quella nutrita schiera di artisti assurti a simbolo e schiacciati dal peso di una responsabilità enorme e, probabilmente, neppure voluta.
Van Sant, qui al suo ultimo, vero, grande film - Milk è ottimamente realizzato in tutti gli aspetti, ma resta il più hollywoodiano dei suoi prodotti, e Paranoid park è un pippone d'autore dagli inquietanti risvolti voyeuristici -, omaggia la figura di Cobain senza citarlo o raccontarne per filo e per segno l'esistenza, concentrandosi al contrario sui suoi ultimi giorni in una grande, lugubre villa fuori Seattle, in fuga dal centro in cui si stava disintossicando ed isolato dal mondo, dai fan, dalla musica.
Sfruttando proprio la musica, e le ellissi che resero Elephant un'opera visivamente straordinaria, Van Sant cuce addosso a Michael Pitt tutte le inquietudini ed i tormenti interiori di Cobain, trasformandolo in una sorta di perduto messia delle sette note portavoce riluttante di una generazione che passò alla storia come una delle più inquiete e borderline della storia culturale occidentale recente.
Se dovessi fare un paragone a posteriori, giudicherei Last days come una sorta di Into the wild in versione rock, in cui un protagonista solo anche fra i compagni di viaggio - in questo caso musicisti, da brivido il doppio raccordo con la sequenza dell'improvvisazione - cerca una fuga impossibile ai margini della civiltà per nascondere il fatto che, più che dal mondo, il tentativo è di allontanarsi da se stessi: di sicuro non si tratta di una pellicola da schiaffarsi a cuor leggero, e molti - anche fan dei Nirvana - potrebbero - e lo fecero, ricordo l'uscita dalla sala, ai tempi - giudicarla noiosa, cerebrale, pretenziosa, addirittura radical chic.
E qui vi stupirò, non io.
Con tutti i suoi limiti, ed il suo essere sicuramente un autore che, col tempo, ha reso la sua opera molto meno fruibile al grande pubblico di quanto ci si potrebbe aspettare dal regista del succitato Milk - che continuo a pensare fosse una clamorosa marchetta di qualità per tentare l'assalto alla statuetta dell'Academy -, Van Sant mostra, con Last days, di avere cuore, oltre che testa, ed offre un ritratto di Cobain che non specula sulla vita del musicista e cerca, senza inserire alcun riferimento effettivo alla vita del tanto compianto Kurt - anche, probabilmente, per evitare contenziosi legali con la sua agguerritissima vedova Courtney Love -, di scandagliarne l'anima e rivelare i tormenti che portarono l'uomo dietro il personaggio, con una fama planetaria, soldi a palate, una compagna ed una figlia nata da poco a porre fine alla sua vita per liberarsi di un angoscia che mi riporta alla mente il male di vivere che ho già citato parlando di Sid&Nancy e ricordando i soldati di The hurt locker.
Un male invisibile che divora dall'interno, come un tumore dell'anima, capace di mangiare con tanto più gusto quanto grande è l'ispirazione di chi è sul piatto.
A differenza dell'autodistruttiva ricerca di Vicious o delle sciamaniche visioni di Morrison, Cobain si fece portatore di una rivoluzione devastante quanto schiacciata da un isolamento soffocante e spietato, specchio delle rovine che avrebbero lasciato gli anni novanta, che incolpevolmente hanno portato sulle spalle anche le ceneri che le epoche, non solo musicali, avevano prodotto dagli anni cinquanta in poi.
In qualche modo, il ruolo ritagliato da Van Sant a Pitt/Cobain e ai suoi "ultimi giorni" non potrebbe essere più azzeccato: struggente bellezza di immagini, ipnotiche evoluzioni di macchina, musica travolgente - attenzione: niente Nirvana anche qui -, eppure un angosciante passione che non risulta liberatoria neppure con l'atto estremo.
Una sorta di tragedia greca riportata nella Seattle brumosa ed autunnale dell'indimenticata stagione d'oro del grunge.
Speriamo che almeno l'hybris di Kurt si sia esaurita quel fatidico cinque aprile millenovecentonovantaquattro.
MrFord
"I'm so happy cause today
I've found my friends
they're in my head
I'm so ugly
but that's ok."
Nirvana - "Lithium" -
BORING!
RispondiEliminaNon la recensione, il tema.
E basta con questo male di vivere. Che palle!
BORING!
L'importante è non averlo, in fondo!
RispondiEliminaE ancora di più, che noi non l'abbiamo!
strano tu non abbia giudicato radical chic questo film (e invece paranoid park sì) :D
RispondiEliminaanch'io comunque ho conosciuto i nirvana postumi, anche perché ho iniziato ad ascoltare musica per davvero solo nel 1995... e kurt, con le sue canzoni ma anche con la sua repulsione della popolarità, mi ha da lì in poi sempre affascinato. una figura ancora oggi enigmatica e sfuggente e "last days" è un film che probabilmente lo stesso kurt avrebbe adorato.
certo chi si aspetta un film sull'ascesa al successo dei nirvana si sarà trovato alquanto spiazzato. a me è sembrato un film in pieno stile cobain
(bello l'accostamento con into the wild. non ci avevo mai pensato, ma in effetti le fughe di alexander supertramp e di cobain hanno diversi punti in comune)
Cannibale, concordo in pieno sul tuo commento.
RispondiEliminaDirei che sull'argomento Nirvana siamo in linea perfetta, e trovo anche io che Last days sarebbe stato estremamente gradito da Cobain.
Se vuoi, però, spezzo questo idillio per non illuderci troppo dicendoti che Into the wild appartiene invece, senza dubbio, alla cricca dei film radical chic che tanto mi stanno sui maroni! :)