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lunedì 23 settembre 2019

White Russian's Bulletin



Proseguono - incredibilmente - i post in anticipo e programmati del Saloon, guadagnati a partire dalle purtroppo ormai lontane vacanze estive e che finiranno per presentare titoli freschi d'uscita in differita di qualche settimana: a questo giro tocca a serie e film che hanno imperversato poco dopo il rientro e prima che Venezia dichiarasse i suoi vincitori, nell'attesa anche qui di scoprire se saranno davvero tali anche quando giungeranno al mio bancone.
Intanto, tra serial killers e mostri, la compagnia qui è ben assortita.


MrFord



MINDHUNTER - STAGIONE 2 (Netflix, USA, 2019)

Mindhunter Poster


Chi frequenta il Saloon da qualche anno sa bene quanto abbia nel tempo sponsorizzato e caldeggiato la lettura di Mindhunter di John Douglas, autobiografia dell'omonimo agente FBI tra i fondatori dell'Unità di analisi comportamentale del Bureau: da quello stesso lavoro, oltre a numerosi romanzi e film di genere, due anni fa era stata tratta una serie molto interessante legata alla nascita della stessa unità, costruita su una serie di interviste svolte nelle carceri americane con protagoniste le superstar di questo decisamente inquietante mondo.
Gente come Manson, Kemper, Bergowitz e soci che, grazie alle chiacchierate con gli agenti, fornivano informazioni sempre più utili per comprendere - o tentare di farlo - cosa accade nella mente di un serial killer: alle spalle una prima stagione decisamente convincente, gli autori ed il cast tornano a confermare quanto di buono era stato fatto grazie all'incrocio di momenti cult - l'incontro con Manson -, indagini tese - gli omicidi di Atlanta - ed un lavoro ottimo sulla costruzione dei protagonisti, talmente buono da oscurare quello che, sulla carta, dovrebbe essere il main charachter in favore delle sue "spalle".
A questo si uniscono una regia che rispecchia in pieno lo stile di uno dei suoi "deus ex machina" David Fincher ed un'inquietudine diffusa ma mai gridata, più che altro suggerita e serpeggiante, quasi come quando tornando a casa in una notte tempestosa si ha il timore di essere seguiti.
Mindhunter è quel timore che diventa realtà.




IT - CAPITOLO DUE (Andy Muschietti, Canada/USA, 2019, 169')

It - Capitolo due Poster


It è stato - a prescindere dalla comunque dubbia qualità del film tv - uno dei supercult dell'infanzia di questo vecchio cowboy, grazie ad una storia di amicizia in pieno stile Goonies o Stand by me e all'interpretazione pazzesca di Tim Curry nel ruolo di Pennywise, charachter strepitoso creato da Stephen King che rappresentava e rappresenterà, fondamentalmente, la paura che il mondo può esercitare su ognuno di noi, con tutto il suo potere di celare mostri anche dietro il più innocuo degli angoli. Il primo capitolo di questa nuova versione firmata Muschietti mi aveva colpito molto favorevolmente, il lavoro di Bill Skarsgard era stato strepitoso e l'atmosfera in stile Stranger Things aveva rispolverato lo spirito di "quei tempi".
Con Julez abbiamo approfittato di una delle serate da "libera uscita di coppia" regalate dalla sempre preziosa suocera Ford per chiudere i conti con il Clown Danzante, portandoci a casa spunti notevoli e qualche dubbio: il prodotto è solido e ben realizzato, Skarsgard spacca ancora e in modo ancora diverso - la capacità del ragazzo di passare da patetico a inquietante spostando solo le sopracciglia è degna dei migliori trasformisti -, il "mostro" dietro Pennywise, chiaramente legato al bullismo e ai suoi surrogati, è ben portato sullo schermo, il vecchio Bowers - interpretato da Teach Grant - è perfetto, così come l'utilizzo di Stan non come esempio di vigliaccheria ma di coraggio e collante per i suoi amici.
Di contro, senza dubbio è mancato il coinvolgimento emotivo - del resto, anche io, come i Perdenti, sono invecchiato parecchio dal mio primo incontro con It -, alcuni passaggi non convincono pienamente e l'impressione è che Derry non sia stata calcolata a dovere - in alcuni momenti pare quasi che il gruppo di amici sia solo in tutta la città -, senza contare che, a proposito di giochi con il finale - mitica la comparsata di King, tanto per rimarcare le cose -, mi è mancato quello della tanto vituperata miniserie televisiva con Bill e Audra.
La visione, comunque, rende, e tra gli entusiasti e i criticoni mi metto nel mezzo, apprezzando un lavoro che, probabilmente, sarà sempre troppo stretto al materiale portato sulla pagina dal Re del brivido.





WHEN THEY SEE US (Netflix, USA, 2019)

When They See Us Poster


Proprio quando Chernobyl pareva già avere la strada spianata per conquistare il titolo di serie dell'anno del Saloon, ecco giungere su questi schermi When they see us, miniserie targata Netflix dedicata all'eclatante caso dei 5 di Central Park, accusati ingiustamente sul finire degli anni ottanta per questioni prevalentemente razziali di stupro e costretti a subire riformatorio e carcere per buona parte della loro giovinezza.
Ammetto che, per la durezza e la rabbia, al termine del primo episodio ho avuto il dubbio se proseguire nella visione, considerato che lavori come questo - o come Diaz, o Sulla mia pelle, o qualsiasi altro che tocchi il tasto dell'ingiustizia - finiscono per solleticare il mio lato ribelle, "da bombarolo", come canterebbe De Andrè e mi ricorderebbe Julez come monito: fortunatamente, ho proseguito.
E ho avuto la fortuna di incrociare il cammino con uno dei titoli più sentiti, potenti e vivi degli ultimi anni, che dovrebbe toccare chi è genitore, perchè un calvario del genere è inconcepibile da provare dall'altra parte, per chi è vivo, perchè farsi privare della giovinezza non è nulla rispetto a qualsiasi risarcimento, perchè questa è una ferita aperta nel cuore degli USA almeno quanto l'Undici Settembre, a prescindere dal numero delle vittime. E perchè gente come Trump, più che occupare posizioni di potere che influenzano il mondo, dovrebbe giusto scaldarsi il culo sulla poltrona del salotto senza rischiare di compromettere cose decisamente più grandi della loro limitata visione del mondo.
Per quanto mi riguarda, i 5 di Central Park, o di Harlem, o come li vogliamo chiamare, potrebbero essere Presidenti. Ma non credo gli interesserebbe.
Perchè, per quello che hanno dovuto subire e per quello che vogliono costruire, credo vogliano per prima cosa occuparsi davvero degli altri.
E che i loro figli possano non passare quello che hanno passato loro.





LE IENE (Quentin Tarantino, USA, 1992, 99')

Le iene Poster


Spinto dalla curiosità per l'ultimo Tarantino, sono andato a rispolverare il primo.
E a distanza di ventisette anni - quasi non ci credo sia passato così tanto tempo -, Le iene sa ancora essere una bomba atomica pronta a prendere a calci in culo una marea di pellicole uscite dopo di lei, ed altre che ancora devono vedere la sala.
Il primo film del buon Quentin è un dramma shakespeariano che pare una versione hard boiled di Americani, un concentrato di dialoghi pazzeschi e tensione continua, interpretazioni e scene cult ed un vero e proprio manuale per lo sceneggiatore: dall'apertura da antologia nella caffetteria alle prove da infiltrato, passando per il taglio dell'orecchio ed il finale senza speranza, Tarantino mescola i Cani arrabbiati al Bardo, il classicismo con sangue e merda, le risate al dramma profondo.
E lo fa con uno stile impeccabile, unico, indimenticabile.
Le iene, come altri titoli firmati dal regista di Knoxville, va visto, rivisto, vissuto, più che recensito o spiegato. E' il colpo di genio, la rottura, quel qualcosa che qualsiasi fan aspetta, e prega di vivere sulla pelle nel momento in cui esplode.





ARMADA (Ernest Cline, USA, 2015)


Tornato agli standard di lettura di quasi cinque anni fa, subito dopo Winslow ed in attesa di Nesbo ho deciso di buttarmi su un altro fordiano acquisito, Ernest Cline, che qualche anno fa mi conquistò con Ready Player One. Purtroppo, però, questo Armada risulta patire la sindrome del "sequel" - anche se di sequel non si tratta -, rimanendo lontano anni luce - per usare un termine che piacerebbe all'autore - dal romanzo che lo portò alla ribalta: i riferimenti sono divertenti, si fa leggere, per chiunque sia nato o cresciuto negli anni ottanta regala senza dubbio qualche chicca, eppure pare la versione fan - e Hollywood - service del già citato lavoro portato sugli schermi - a mio parere senza successo - da Spielberg.
I tempi di narrazione lasciano più di un dubbio, alcuni passaggi vengono giustificati in poche righe, l'atmosfera vintage pare più nerd che non sincera, vissuta e amata, quasi come Armada fosse la versione da sfigato rancoroso di quello che era stata la "rivincita dei nerd" di Player One.
Un peccato, perchè finisce per far dubitare di un autore che prometteva davvero un gran bene, anche se, dall'altra parte, ha avuto il merito di alleggerire come un cuscinetto il passaggio tra due mostri come Winslow e Nesbo.


mercoledì 18 settembre 2019

Wednesday's child Special Edition - Quentin is back

Quentin Tarantino Picture

Avevamo promesso che saremmo tornati, ed infatti ecco il qui presente vecchio cowboy ed il suo acerrimo rivale Cannibal Kid pronti a presentare una speciale carrellata dedicata alla filmografia di Quentin Tarantino, pronto a fare capolino nelle sale con la sua nuova fatica, nonché uno dei pochissimi registi in grado di mettere d'accordo - più o meno - perfino i due nemici più nemici della blogosfera.
Pronti per un bel tuffo nei ricordi legati al ragazzaccio di Knoxville?


MrFord



Le iene (1992)

Le iene Poster

Cannibal Kid: Dirò un parere impopolare, giusto per iniziare bene, ma a me Le iene un pochino aveva deluso. Il fatto è che arrivavo dalla visione sconvolgente di Pulp Fiction, un film che mi aveva fatto saltare per aria la testa. Intendo in senso positivo, non come le opinioni di Ford che mi provocano solo un gran mal di testa. Dopo che Pulp Fiction era diventato il mio film preferito, titolo che ancora oggi si gioca, se non altro a pari merito con pochi altri titoli, sono andato a recuperarmi l'esordio di Quentin e mi era sembrato ancora un pochino acerbo. Una pellicola con dialoghi strepitosi, su tutti quello su Like a Virgin, e scene pazzesche, per carità. A livello emotivo e personale non mi aveva però sconvolto allo stesso modo di Pulp Fiction. Se avessi guardato prima Le iene e poi Pulp Fiction le cose sarebbero potute andare diversamente. Solo che all'epoca ero giovanissimo, avevo appena 10 anni, mica come Ford che faceva già domanda per la pensione, e allora guardavo Holly & Benji. Che comunque un certo tiro epico tarantiniano lo possedeva.
(voto 8/10)
Ford: anche io all'epoca vidi prima Pulp Fiction e qualcosa come il giorno successivo Le iene, ma trovo che l'esordio di Tarantino sia uno dei più strepitosi della Storia recente del Cinema. Dialoghi pazzeschi, personaggi e scene cult, risate e lacrime, battute e stronzate a raffica alternate a momenti di incredibile violenza, un finale degno di una tragedia shakespeariana ed un cast praticamente perfetto. Certo, non è Pulp Fiction, ma è il suo trampolino. Ancora oggi, rompe il culo a un sacco di roba che pensa di essere tosta.
(voto 9/10)


Pulp Fiction (1994)

Pulp Fiction Poster

Cannibal Kid: Il Capolavoro supremo. Di Tarantino, e del Cinema tutto. Quando l'ho visto per la prima volta in VHS avevo 13/14 anni e non ero ancora un patito cinematografico. Pulp Fiction mi ha (john) travolto in pieno, come probabilmente Ford la prima volta che ha visto Sylvester Stallone. È stato il film giusto al momento giusto. Senza Pulp Fiction, oggi forse non me ne fregherebbe un granché del cinema e forse nemmeno della scrittura e forse Pensieri Cannibali non esisterebbe proprio. Al termine della visione non ho potuto fare a meno di dire per tipo un'ora: “cazzo che botta!, che botta cazzo! Cazzo che botta!”.
(voto 10/10)
Ford: per una volta il Cucciolo Eroico sfodera un'opinione sensata - un vero miracolo, statisticamente parlando -. Pulp Fiction ha cambiato la sua e la mia vita di spettatore cinematografico, era qualcosa di mai visto prima e, in un certo senso, lo è ancora oggi. Un film esagerato, cultissimo dall'inizio alla fine, immenso pur essendo fatto, più che "della materia di cui sono fatti i sogni", di "sangue e merda".
Quello che si può scrivere e pensare a proposito di dialoghi, interpretazioni e situazioni da un estremo all'altro de Le iene qui è portato ad un livello ancora più alto, e rappresenta senza dubbio una visione che, la prima volta, ha il potere di sconvolgerti la vita: non a caso fu riconosciuto e premiato a Cannes con la Palma d'oro da una giuria presieduta da un Maestro che, probabilmente, ci vide ben più lungo di tanti altri. Un certo Clint Eastwood.
(voto 10/10)


Jackie Brown (1997)

Jackie Brown Poster

Cannibal Kid: Dopo il clamore suscitato da Pulp Fiction, era inevitabile che Jackie Brown venisse accolto in maniera più tiepida. A lungo è però stato troppo ingiustamente sottovalutato. L'effetto che fa non è lo stesso del suo lavoro precedente, okay, eppure non delude. Mette in mostra un Tarantino più maturo, più consapevole dei suoi mezzi, e che comunque per fortuna rimane sempre un cazzone totale. Jackie Brown è un film stilosissimo, ma anche profondo e per la prima volta Quentin lascia intravedere di avere un animo un minimo sentimentale. Il mio consiglio è: riguardatelo e rivalutatelo.
(voto 9/10)
Ford: e per la seconda volta in poche righe Cannibal tira fuori un'opinione sensata. Un vero miracolo. Jackie Brown, all'epoca dell'uscita bersagliato da chi si aspettava un Pulp Fiction 2, è un film stiloso, profondo e drammatico, probabilmente il più sottovalutato di Tarantino.
Senza dubbio è il suo lavoro meno cazzone e più "serio", quello più intenso da gestire - non dev'essere un caso che si tratta del suo film che ho rivisto meno volte -, ma anche in questo caso parliamo di un'opera che fa mangiare la polvere a molte, molte altre venute prima e dopo e spacciate per chissà cosa.
(voto 8,5/10)


Kill Bill: Volume 1 (2003) + Kill Bill: Volume 2 (2004)

Kill Bill - Volume 1 Poster

Kill Bill - Volume 2 Poster


Cannibal Kid: La doppia visione dei due capitoli di Kill Bill uno dopo l'altro – per altro era la prima volta che mi gustavo il cinema di Tarantino al cinema – è stata una nuova esperienza mistica. Ai livelli di Pulp Fiction, o quasi. Dentro questi 10 capitoli c'ho trovato un sacco di inventiva, come se fossero 10 film differenti. Per carità, molte idee il buon Quentin le prende da altre pellicole, però come copia e ricicla il materiale altrui e lo fa suo lui, nessuno mai.
Non date quindi retta a quello che vi dirà Ford. Kill Bill è il (doppio) film action più figo ed esaltante che potrete mai vedere in vista vostra. Altroché le merde secche con Van Damme o Schwarzenegger che tanto piacciono a lui.
(voto 10/10)
Ford: anche per me la doppia visione di Kill Bill fu la prima in sala di Tarantino, che fino a quel tempo avevo assaporato esclusivamente in vhs. Senza dubbio ci troviamo di fronte ad un lavoro tecnicamente perfetto, stilosissimo e vario, con una colonna sonora pazzesca, un fumettone che porta sullo schermo tutta la passione del vecchio Quentin per Cinema, fumetti, sottocultura pop, arti marziali e un po' di nerditudine. Probabilmente è il suo film più divertente, e paradossalmente quello con Pulp Fiction che rivedo più volentieri, ma in un certo senso per me è stato come vedere Cristiano Ronaldo giocare in porta. Fare i cazzoni e divertirsi è fondamentale, e più invecchio più me ne accorgo, ma con un talento come il suo, solo questo non mi basta. Nonostante il charachter assolutamente fordiano del fratello di Bill.
(voto 7,5/10)


Grindhouse - A prova di morte (2007)

Grindhouse - A prova di morte Poster


Cannibal Kid: Il film più sottovalutato nella carriera di Tarantino, pure da lui stesso. Prima della svolta “storica” dei suoi progetti successivi, qui Quentin si è concesso un autentico divertissement. Una pellicola che non si prende sul serio, che gioca con lo spettatore in maniera fenomenale, e in cui il regista mostra tutta la sua passione per il cinema, anche e soprattutto per i B-movies, per le donne e in particolare per i piedi femminili. A pubblico e critica non è piaciuto un granché, io invece lo adoro incondizionatamente!
(voto 9/10)
Ford: l'unica vera delusione che Tarantino mi ha riservato negli anni. Dopo il divertissement che fu Kill Bill mi aspettavo un ritorno del Tarantino "vero", e invece il Quentin di noi tutti concede al suo cervello una vacanza e, pur portando sullo schermo un Kurt Russell mitico ed uno stile sempre unico, finisce per non dare assolutamente nulla al pubblico. Ricordo che, così come con Pulp Fiction uscii sconvolto dalla prima visione, al termine di A prova di morte non mi rimase nulla se non la voglia di farmi stampare una maglietta con il logo - bellissimo - della macchina del già citato Russell.
Ancora una volta, troppo poco per Quentin.
(Voto 6/10)


Bastardi senza gloria (2009)

Bastardi senza gloria Poster

Cannibal Kid: Per alcuni è il Capolavoro di Tarantino. Forse per lui stesso, come lascia intuire la frase pronunciata verso la fine da Brad Pitt. Per me no. Intendiamoci: anche in questo caso Quentin è riuscito a mettere la zampata geniale. Ha letteralmente riscritto la Storia a suo piacimento. Tanto di cappello. Solo perché qui parla di nazismo e Seconda Guerra Mondiale, mentre i suoi altri film trattano in genere temi più leggeri e da cazzone, non significa comunque in automatico che sia il meglio che ha fatto. È il suo lavoro più impegnato e ambizioso, ma a mio avviso non il suo più riuscito. A tratti è un po' lento e macchinoso, volutamente, per far crescere la tensione con calma, però rispetto ad altre tarantinate ha fatto più fatica a conquistarmi. Cosa che comunque è riuscito a fare pure questa volta, grazie all'infuocata parte finale.
(voto 8/10)
Ford: Bastardi senza gloria, per quanto mi riguarda, è stato un bentornato al Tarantino che avevo amato alla follia fino a Jackie Brown. Con ironia e spietata cattiveria, il ragazzaccio di Knoxville riscrive la storia in modo beffardo e geniale, forse non realizzando "il suo Capolavoro", ma consegnando al pubblico una gemma che, almeno per quanto mi riguarda, lo ha riportato al posto che gli compete nella Storia del Cinema, americano e non solo.
Anche in questo caso, non si contano le scene cult, e Christoph Waltz dovrà ringraziare a vita per la parte che gli ha consegnato la gloria, la fama e la carriera.

Finale a parte, la sequenza delle carte nel pub resta una delle più potenti che Quentin abbia portato sullo schermo dai tempi de Le iene. Una bomba.
(Voto 9/10)


Django Unchained (2012)

Django Unchained Poster


Cannibal Kid: Temevo molto l'incursione di Tarantino nel western, un genere amato giusto da lui, da Mr. James Ford e da persone con più di 100 anni d'età. Eppure, anche questa volta m'ha fregato. Tarantino, intendo, mica Ford. Pur non rientrando tra i miei preferiti in assoluto, Django Unchained mi ha divertito, gasato, intrattenuto come nessun altro western prima. E credo mai più in futuro. Quando un regista riesce a farti adorare persino un'opera (almeno apparentemente) così lontana dai tuoi gusti, capisci che è davvero un fuoriclasse. Il tuo fuoriclasse.
(voto 8,5/10)
Ford: Tarantino e Western, direi che per me di meglio poteva esserci solo Clint Eastwood e Western. Django, che ricorderò per sempre perchè visto la sera precedente la nascita del Fordino, rivisita non solo la Frontiera, ma anche la Storia americana ed il conflitto razziale in pieno stile quentiniano. Anche in questo caso, un lavoro potente, sporco, cattivo, con un protagonista che attraversa il film come una spada ed un antagonista da antologia, per quella che, a mio parere, doveva essere la parte che avrebbe consegnato a Di Caprio l'Oscar.
Il tutto senza contare stile, omaggi, cult a profusione e la convinzione che, con Django, Tarantino sia stato più "black" di Spike Lee.
(Voto 9/10)


The Hateful Eight (2015)

The Hateful Eight Poster


Cannibal Kid: Prima o poi doveva succedere e – ahimé – alla fine è successo. C'è un film di Tarantino che non mi ha convinto. O se non altro che mi ha convinto solamente in piccola parte. The Hateful Eight per me è il suo titolo peggiore. Ok, all'interno della filmografia di registi tanto celebrati da Ford come James Cameron o Clint Eastwood figurerebbe ancora tra i migliori, ma in quella di Quentin appare come un'opera minore. Scritta, girata, interpretata e musicata alla grande, per carità, solo che mi ha fatto l'impressione di un esecizio di stile. E inoltre va bene una volta il western, caro Quentin, però poi basta! Un suggerimento di cui pure Ford dovrebbe far tesoro.
(voto 7-/10)
Ford: ancora Western, ancora Tarantino. Che porta nel vecchio West - e qui la Frontiera c'è tutta - in una dimensione teatrale simile a quella che lo aveva portato alla ribalta con Le iene. al contrario di quanto possa affermare il mio rivale, ho trovato assolutamente profondo un film che, a prescindere dalla violenza e dai fiumi di parole, analizza una volta ancora tutto il sangue versato nel nome di quello che dovrebbe essere il posto più libero, mitico e sognato al mondo, quel calderone incasinatissimo che sono gli USA.
Trovo che insegni più la Storia delle stelle e strisce un'opera come questa di mille Lincoln impolverati ed accademici.
(voto 9/10)


C'era una volta a... Hollywood (2019)

C'era una volta a... Hollywood Poster


Cannibal Kid: Aspettative alle stelle per un film con un cast stellare, ambientato a Hollywood e per di più negli anni '60. Un periodo che, a sentire le colonne sonore dei suoi precedenti lavori, credo stia particolarmente a cuore a Tarantino. Le premesse perché questo film possa rientrare nella mia Top 3 tarantiniana di tutti i tempi sembrano quindi esserci tutte. L'unico problema sembra essere quello di cui parlavo all'inizio: le aspettative alle stelle, talmente alle stelle che potrebbero portare a una delusione, totale o anche solo parziale. Ma spero non sia così. Nonostante il mezzo passo falso compiuto con The Hateful Eight, di Quentin mi fido ancora. Di Ford invece no. D'altra parte quella è una cosa non ho mai fatto.
Ford: aspettative alle stelle anche da queste parti, senza dubbio perchè Quentin negli ultimi anni pare tornato alla forma migliore, dunque per cast, musica, setting, voglia di raccontare una storia che affonda nel Cinema e sfocia nella follia - sono più che curioso di scoprire la versione tarantiniana di Manson e della sua famiglia -: le premesse per diventare l'ennesimo cult ci sono tutte, gli ingredienti anche. Speriamo solo che si tratti di una di quelle pellicole in grado di compiere il miracolo di mettere d'accordo perfino me e la mia controfigura Peppa Kid, piuttosto che una delusione anche solo per uno dei due.

lunedì 16 settembre 2019

White Russian's Bulletin



Era dai bei tempi della blogosfera affollata, ribollente e super commentata che non mi capitava di scrivere in anticipo i post da pubblicare sul Saloon, i tempi in cui ogni giorno passava una recensione - e a volte di più - ed ero comunque in anticipo di oltre un mese: grazie alle vacanze e ad un rinnovato fervore rispetto a visioni e letture, mi ritrovo a vivere quella sensazione anche oggi, nonostante i tempi siano cambiati. Ecco dunque una carrellata di recuperi, titoli da grande e piccolo schermo e da pagina che hanno accompagnato il Saloon al rientro nella quotidianità in attesa dell'autunno.


MrFord



BRONX (Robert De Niro, USA, 1993, 121')

Bronx Poster


A distanza di più di dieci anni, è tornato grazie ad un'amica di Julez su questi schermi Bronx, uno dei titoli di culto delle estati in cui mio fratello ed Emiliano si ammazzavano di visioni nella vecchia casa Ford: scritto dal protagonista Chazz Palminteri e diretto da Robert De Niro, Bronx è la tipica storia di formazione solida e ben costruita perfetta per tutti gli amanti della settima arte cresciuti a pane e Scorsese ma anche per il pubblico occasionale, un titolo appartenente alla categoria dei vari Forrest Gump, Le ali della libertà o il più recente Green Book. 
Visto a così tanto tempo dall'ultima volta, oltre a portare alla luce molte similitudini con uno dei miei preferiti indie degli ultimi anni, Guida per riconoscere i tuoi santi, Bronx mi ha ricordato il passato, la crescita, e con gli occhi di oggi ha portato a galla, ovviamente, il ruolo che un padre ha nella vita dei figli: una pellicola forse senza grandi picchi, ma cui non si può non voler bene, come se fosse il quartiere in cui si è cresciuti.




BIG LITTLE LIES - STAGIONE 2 (HBO, USA, 2019)

Big Little Lies - Piccole grandi bugie Poster


Giunta in ritardo rispetto al resto della blogosfera sugli schermi di casa Ford e anticipata da una serie di opinioni non troppo entusiastiche - specie rispetto alla prima stagione -, Big Little Lies si è riuscita, contro ogni probabilità, a ritagliare uno spazio che, al termine dei primi due/tre episodi, non avrei mai pensato si sarebbe riuscita a ritagliare: la vicenda delle madri ricche o quasi di questo piccolo centro della California che tanto aveva avvinto due anni fa era partito con il freno a mano tirato, troppa isteria e analisi, quasi come se autori e regista non sapessero dove andare a parare.
E invece, passo dopo passo, grazie a performance convincenti - ho sempre detestato la Streep, ma ha reso il suo personaggio uno dei più sottilmente odiosi che ricordi degli ultimi anni, grande o piccolo schermo che sia - e ad un ultimo episodio finalmente potente dal punto di vista emotivo, ha finito per convincere, pur rimanendo un gradino più in basso rispetto al primo ciclo.
Un prodotto probabilmente troppo a metà strada, ovvero in grado in qualche modo di scontentare gli intenditori più esigenti ed apparire troppo pesante per il pubblico occasionale, ma che comunque mantiene tutto il fascino di una donna, sfumature difficili comprese.




IL CONFINE (Don Winslow, USA, 2019)


Se da un lato devo ringraziare la crescita dei Fordini, che ora giocano ed interagiscono spesso e volentieri tra loro lasciando più tempo ai vecchi di casa, dall'altro non posso che togliermi il cappello per Don Winslow, che ha risvegliato il sacro fuoco della lettura nel sottoscritto dopo anni di sonnecchiamenti e romanzi portati avanti stancamente per mesi: del resto, dalla chiusura della storia dell'agende della DEA Art Keller dopo i Capolavori Il potere del cane e Il cartello non si poteva attendere di meno.
Novecento e oltre pagine che scorrono come acqua fresca, analizzano - con la consueta profondità, competenza e stile - la situazione del mercato della droga tra Stati Uniti e Messico - anticipando anche situazioni vissute nella cronaca italiana di recente, come l'utilizzo del fentanyl -, rimandano alla politica - chi non riconoscerà nel ruolo di Dennison l'attuale Presidente Trump, probabilmente, è vissuto su un'isola deserta negli ultimi anni - e scrivono una nuova, grandissima pagina per il crime letterario, del quale Winslow è probabilmente il più alto rappresentante statunitense e non solo.
Storie che si sfiorano, incrociano e collidono, personaggi del presente e del passato di questo affresco che a volte appare così grande da chiedersi se, forse, non sarebbe stato necessario un doppio volume, un passaggio dall'altra parte che ricorda quanto importante sia, in questo conflitto, anche il lato "buono", quello ricco, che acquista e sovvenziona il mercato non solo delle sostanze stupefacenti, ma anche della violenza che le circonda.
Winslow, attraverso Keller, lancia un monito rivoluzionario e profondamente democratico, che probabilmente, purtroppo, resterà più fiction della sua fiction ispirata alla realtà.
Forse manca l'intensità emotiva dei due capitoli precedenti, ma del resto io sono un uomo della strada, e quando mi avventuro nei corridoi del potere, sento i brividi di un freddo che rifuggo come il peggiore degli inverni.




CRAWL - INTRAPPOLATI (Alexandre Aja, Francia/Serbia/USA, 2019, 87')

Crawl - Intrappolati Poster


Il mio rapporto con Aja è sempre stato conflittuale: l'ho seguito fin dai suoi esordi con Alta tensione - visto in sala con mio fratello ai tempi dell'uscita -, me lo sono goduto con il remake de Le colline hanno gli occhi e Piranha 3D, l'ho detestato con Riflessi di paura.
Il regista francese, a mio parere, ha un'ottima cultura cinematografica ed un gusto interessante per la fisicità dell'horror senza per questo rinunciare alla tensione, eppure, a distanza di più di dieci anni dalla sua ribalta, non mi pare abbia ancora fatto il vero e proprio salto di qualità, anche nel suo piccolo: Crawl, in un certo senso, mi ha ricordato Alta tensione, con i coccodrilli al posto del killer psicopatico ed un finale che fa perdere molti punti al lavoro nel suo complesso.
L'idea del survival e del setting da tornado - molto attuale -, l'utilizzo di Barry Pepper - che ho sempre trovato solido - ed il confronto tra l'Uomo ed il coccodrillo, di fatto due dei predatori più letali e pericolosi della Terra, sono tutte cose interessanti, eppure pare sempre che la leggerezza, alla fine, la spunti, quasi come se il buon Alexandre fosse troppo pigro per osare quel tanto di più.
Peccato, perchè a prescindere dalla visione estiva senza pensieri, della visione di Crawl resta davvero poco o nulla già dal giorno dopo.


lunedì 9 settembre 2019

White Russian's Bulletin



Alle spalle - e di molto - le vacanze estive e la consueta esperienza legata a Notte Horror, torna il Bulletin raccontando quelle che sono state le prime visioni al ritorno dal mare, l'accoglienza che Cinema e Televisione hanno preparato per i Ford sperando in un autunno pronto a risvegliare un duemiladiciannove senza dubbio poco memorabile, a prescindere dalla scarsa frequentazione delle sale di questo vecchio cowboy: ci sarà da confidare nel meglio?


MrFord



FAST&FURIOUS - HOBBS&SHAW (David Leitch, USA, 2019, 137')

Fast & Furious - Hobbs & Shaw Poster


Non è un mistero che, per quanto mi riguarda, la saga di Fast & Furious abbia inserito un'altra marcia con l'innesto di The Rock nel cast, alimentando la parte fracassona e tamarra nel pieno spirito degli anni ottanta del franchise: alle spalle anche l'ingresso di Jason Statham, questo spin off rappresenta tutto quello che si potrebbe immaginare di eighties al momento.
Un action ignorante, dozzinale, per nulla plausibile, senza filtri, eppure divertente alla follia, con una coppia che funziona alla grandissima tra bromanticismo, battute e botte - incredibile, tra l'altro, quanto la stazza del buon Dwayne Johnson faccia apparire Statham, non proprio quello che si potrebbe pensare uno sfigatino, come un liceale ancora non al pieno dello sviluppo - e un ritmo che fa apparire le più di due ore di visione praticamente una scampagnata di una mezzoretta scarsa.
Tutto, nel suo genere, funziona, dalla coppia di protagonisti alla loro spalla femminile - davvero notevole Vanessa Kirby -, dai cazzotti alle improbabili evoluzioni alla guida: il guilty pleasure dell'estate, senza se e senza ma.




UNA FAMIGLIA AL TAPPETO (Stephen Merchant, UK/USA, 2019, 108')

Una famiglia al tappeto Poster


Da un The Rock protagonista ad un altro sfruttato per lanciare un film che, probabilmente, nessuno al di fuori del giro degli appassionati di wrestling si sarebbe cagato se non per l'intercessione del People's Champion: conoscevo, ovviamente, la storia di Paige, una delle wrestlers responsabili del passaggio dal periodo delle "divas" alle lottatrici che oggi rubano spesso e volentieri la scena anche in incontri decisamente impegnativi e qualitativamente elevati ai loro colleghi uomini purtroppo costretta ad un ritiro molto prematuro a causa di un bruttissimo infortunio al collo.
La pellicola dedicata alla sua vita ed alla sua ascesa nel mondo del wrestling funziona molto bene nel mostrare la fatica di un mondo spesso considerato finto - "it's fixed, not fake", sentenzia la fidanzata del fratello di Paige - ma in realtà legato ad un lavoro massacrante, così come una famiglia borderline risollevatasi proprio grazie al ring, meno nel raccontare l'evoluzione della carriera della protagonista, accelerata bruscamente, almeno per chi come me ne ha seguito il percorso, nella fase finale, che compromette la resa dell'intera pellicola.
Resta un buon esperimento, che spero possa portare nuovi - e nuove - fan allo sport entertainment.




THE RIDER - IL SOGNO DI UN COWBOY (Chloé Zhao, USA, 2017, 104')

The Rider - Il sogno di un cowboy Poster


Con ogni probabilità, questo è uno dei titoli più fordiani mai usciti in sala.
Una storia vera, il rodeo, la provincia profonda americana, quella in cui non c'è davvero altro che il nulla o l'addio, la filosofia del cowboy portata all'estremo.
Senza dubbio, è un film potente, realizzato alla grande, sincero nel portare sullo schermo una storia vera, e che mette di fronte chiunque abbia mai avuto dei sogni e chiunque, come me, ama vivere, ad un interrogativo importante: quanto vale l'istante?
Otto secondi valgono una vita all'opposto di quella che vorremmo? 
Oltre alla filosofia, dietro questo The Rider c'è anche una profonda riflessione sul sacrificio, sulla Famiglia, sull'amicizia, sugli spazi sconfinati che diventano prigioni, se non si sanno, possono o riescono a gestire: forse troppo autoriale per diventare davvero uno dei miei supercult, ma senza dubbio un titolo che colpisce e conquista, e che regala alla settima arte uno spazio ed alcune sequenze che è importante non dimenticare, prima fra tutte quella che chiude la pellicola.
The Rider corre, sente e si fa sentire, vive.
Perchè racconta un pezzo di vita.




GLOW - STAGIONE 3 (Netflix, USA, 2019)

GLOW Poster


Le ragazze di Glow tornano sul ring e lo fanno con la stagione paradossalmente più lontana dal ring stesso da quando esiste la serie: non per questo, però, non si parla e non si racconta il wrestling. Perchè lo sport entertainment è anche e soprattutto la vita extra-ring, l'organizzazione degli eventi, i rapporti tra gli atleti e la loro vita on the road: in questo senso, a prescindere dal fatto che cose come la versione de "Il canto di Natale" siano riuscite benissimo, la stagione ha una sua dimensione fondamentale proprio in questo, legata alle relazioni che, in questo spettacolo, tendono a costruirsi all'esterno del quadrato.
Si passa dai momenti grotteschi a quelli surreali, dal dramma alla commedia, e la caratterizzazione delle ragazze ed un finale che non lascia presagire niente di buono pongono già basi interessanti per il giro di giostra - o di corde - numero quattro: senza dubbio, pur non eccellendo, Glow mette in scena uno spettacolo solido e convincente, in grado di soddisfare chi sta da una parte o dall'altra delle corde.




JOHN WICK 3 - PARABELLUM (Chad Stahelski, USA, 2019, 131')

John Wick 3 - Parabellum Poster


John Wick è stato una grande illusione.
Approcciato nel suo primo capitolo senza alcuna aspettativa e rivelatosi come una sorpresa in grado di rinverdire, con altre, i fasti dell'action anni ottanta, e dunque divenuto, a causa delle scellerate scelte dei suoi autori, un prodotto serioso e pretenzioso nel secondo capitolo, al terzo era di fatto al banco di prova: purtroppo, nonostante alcune sequenze interessanti specialmente per i creativi metodi di uccisione ideati dal protagonista, il risultato finisce per essere ancora una volta ben lontano da quanto potessi aspettarmi, appesantito da un continuo reiterarsi delle dinamiche di base della vicenda - che Wick abbia scavalcato le regole è ben presente a tutti e non è necessario ribadirlo ogni cinque minuti - e da una durata che, invece che essere consacrata sull'altare delle botte - e ce ne sono - e della tamarraggine finisce per fare da spalla ad un'inutile ragnatela di intrighi, voltafaccia e cambi di gioco che non servono ad altro se non ad allungare il brodo.
Forse io sono troppo legato all'action ignorante e senza pretese, ma mi pare che questo John Wick e la sua combriccola vogliano alzare il tiro un pò troppo per quella che è la loro reale portata.


martedì 3 settembre 2019

Notte Horror 2019 Edition - La casa del diavolo



E' strano, mettersi a scrivere questo post. Per un sacco di motivi.
Senza dubbio, perchè non ricordo neppure quando è stata l'ultima volta in cui mi sono messo al servizio del blog in questo modo.
Poi perchè questo è un film che ho sempre adorato, ma che appartiene ad un'altra mia epoca, al periodo wild in cui tredici anni fa lo vidi per la prima volta. Cazzo, se sono tanti, tredici anni.
Non da ultimo il fatto che allora pensavo che Rob Zombie avrebbe avuto le carte in regola per raccogliere il testimone di Tarantino e Rodriguez, mentre ora lo considero solo un pallone gonfiato ed un regista terribile.
La casa del diavolo è cazzuto, violento e tosto come lo ricordavo.
E in grado di sfidare il pubblico. Di ribaltare le parti perchè è proprio vero che è così.
Nel corso della nostra vita, a prescindere dalle estremizzazioni cinematografiche - che poi non vanno tanto lontano dagli orrori di situazioni reali -, tutti siamo stati vittime e carnefici, abbiamo fatto soffrire e sofferto, siamo stati quelli da consolare o gli stronzi da insultare.
Il bello de La casa del diavolo, oltre al lavoro eccezionale sul concetto di Famiglia e sull'ironia che si nasconde dietro l'assurdità degli estremismi, è proprio questo.
In Natura, del resto, ogni creatura è predatore e preda, in una qualche misura: dunque nel momento in cui, per istinto, piacere o appetito, ti cibi di una creatura, è giusto in qualche modo che la memoria suoni un campanello d'allarme rispetto al fatto che potrebbe essercene un'altra, in giro, pronta a cercare proprio te.
E in un mondo costruito sulle sfumature, non esistono Bene o Male assoluti, e chi si professa portatore di uno o dell'altro, in realtà, finisce per dispensare la stessa amara medicina.
In un certo senso, rispetto ai tempi, mi sono sentito piuttosto distante, colonna sonora a parte, dal film, quasi come se avessi deciso di ascoltare un disco dei Nirvana, dei Pearl Jam, dei R.E.M. o dei Radiohead, o incontrato per caso una vecchia cotta dei tempi del liceo: un'epoca che potrebbe essere magica, mitica o qualsiasi altro aggettivo esaltante, ma ormai alle spalle.
Eppure, il lavoro di Rob Zombie è carnoso e carnale, e anche se ora non mi coinvolge più emotivamente come in quell'ottobre del duemilasei in cui lo vidi per la prima volta, nel pieno del mio periodo senza controllo, riconosco il tentativo che il regista fece, portando ad un livello decisamente superiore il precedente La casa dei mille corpi: quel finale che rievoca grandi coppie come Thelma e Louise o Butch Cassidy e Sundance Kid, poi, è ancora da pelle d'oca, legato a chiunque abbia ancora qualche sogno selvaggio e segreto che coltiva nel cassetto.
Certo, tutto questo è strano, se riferito ad un titolo che dovrebbe passare in una rassegna dedicata all'horror e ai ricordi che le carrellate estive ha sempre suscitato lo stesso, e che al massimo dovrebbe preoccuparsi di spaventi, tensione, sangue e tutto il circo che ne consegue: ma è un pò come aspettarsi divertimento assicurato da un clown.
I clown possono essere tristi, soli, inquietanti, spaventosi.
Fermarsi all'etichetta non conviene mai.
Un pò come pensare che il mondo sia tutto Bianco o Nero, Bene o Male.
Meglio essere un Free Bird, e lottare per trovare almeno una parvenza di equilibrio tra le sfumature.


MrFord


La casa del diavolo Poster