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venerdì 30 giugno 2017

Ray Donovan - Stagione 3 (Showtime, USA, 2015)




La Famiglia, si sa, può essere il più grande dei piaceri e la peggiore delle bestie.
Di certo, è una di quelle cose che nella vita non lascia indifferenti.
Personalmente, non ho avuto o vissuto - e sono contento così - traumi particolari, tra le mura domestiche, e anzi, ho sempre avuto rapporti dal civile all'ottimo con tutti i miei parenti, i miei genitori - per quanto diversi dai loro figli - ci hanno sempre sostenuti per quanto hanno potuto e mio fratello - nonostante approcci alcolici e non che partono da differenti filosofie - è una delle persone che sento più vicine.
Eppure, ho sempre avuto un debole, per le famiglie disfunzionali.
Sarà che tirano fuori il pane e salame, o rendono benissimo l'idea di "tenere i cavalli" che è uno dei miei capisaldi, ma da Little Miss Sunshine ai Gallagher, passando per Altman e, per l'appunto, Ray Donovan, adoro i drammi da famiglia instabile.
Curioso, invece, il fatto che la vicenda dello spigoloso problem solver di origine irlandese sia rimasta ai box per così tanto tempo - e si parla di anni - per poi esplodere scatenando curiosità nel sottoscritto, in Julez e nel Fordino, che ormai comincia ad essere più grandicello ed avvezzo a tutti i personaggi che passano sul piccolo schermo del Saloon, a prescindere da quali siano i suoi preferiti - Dr. House e Frank Gallagher, come ormai è noto -.
Con questa terza stagione, forse quella con le evoluzioni e sviluppi più drammatici fino ad ora, Ray Donovan conferma il suo valore e la consistenza di una proposta che affronta temi scomodi e profondi senza dimenticarsi passaggi o momenti grotteschi ed al limite dello spassoso, tematiche vicine a qualsiasi tipo di pubblico - a prescindere dal tipo di famiglia che avete - ed una qualità complessiva decisamente alta a partire dal lavoro attoriale, che vede Liev Schrieber in costante evoluzione e Jon Voight come sempre mattatore di una proposta che non sarà clamorosa per popolarità ma che, senza dubbio, rappresenta una delle certezze assolute quando si parla di risultato complessivo.
Ray Donovan, infatti, ha carattere da vendere, palle d'acciaio, coraggio ed una carica emotiva notevoli, quasi fosse uno specchio del suo solo apparentemente inavvicinabile, infallibile e tutto d'un pezzo protagonista, portato dai suoi autori al punto di rottura nel corso di queste dodici puntate come mai prima era capitato, alimentando la curiosità del sottoscritto e dei Ford tutti per la stagione quattro e confermando tutto il bene che pensavo di volergli fin dai giri di giostra precedenti.
Dalla drammatica lotta con la mafia armena - e qui occorre stare attenti, The Shield è un monito - ai conflitti interni con Bridget, passando per scomuniche, Donovan che partono e Donovan che arriveranno, non si vive un secondo di pausa e si continua a fare il tifo per Ray, Terry, Bunchy e Darryll, e perfino, ma solo a volte, per quel vecchio figlio di puttana di Mickey, l'unico padre a combattere al già citato Frank Gallagher lo scettro di peggior genitore del piccolo schermo e non solo.
Noi, che siamo senza dubbio in parte irlandesi nel cuore, tifiamo per tutti loro.
E non possiamo fare altro.




MrFord




giovedì 29 giugno 2017

Thursday's child






Temperature e temporali a parte, l'estate è arrivata come di consueto portando in sala ricicli, vecchie pellicole, cose di poco conto e via discorrendo, come se l'ultima, terribile primavera cinematografica non fosse stata abbastanza.
Quantomeno, a tenere un pò alto il morale della moscissima blogosfera, i due rivali ex rivali ultimamente più rivali, il qui presente Ford ed il purtroppo anch'egli qui presente Cannibal Kid.


"Vorresti far guidare il furgone a Ford!? Hai intenzione di lasciarci la pelle!?"



Codice criminale

"Sono dovuto venire qui in mezzo al nulla dove vive Ford, per avere un White Russian decente!"

Cannibal dice: Michael Fassbender in un film musicato dai Chemical Brothers?
Potrebbe essere una figata! Il condizionale è comunque d'obbligo, visto che alcuni degli ultimi film con Fassbender non è che mi abbiano fatto “fangirlare” come quel criminale di Ford quando vede una pellicola con Stallone tutto nudo e tutto unto.
Ford dice: Fassbender e i Chemical Brothers potrebbero promettere bene, ma si sa che spesso non è tutto oro quello che luccica. Guardate Pensieri Cannibali: a prima vista potrebbe sembrare un blog curato, aggiornato e documentato, ma poi si comincia a leggere, e ci pensa il suo autore a trasformarlo in una roba terrificante. Speriamo che in questo caso ci vada meglio.

Il tuo ultimo sguardo

"Ho riempito il frigo di birre. Dici che Ford sarà contento?"

Cannibal dice: Una storia d'amore tra i sex symbol Charlize Theron e Javier Bardem nei panni di una direttrice di una ONG e di un medico sullo sfondo della guerra civile in Liberia?
Potrebbe essere la pellicola buonista più banale dell'anno. Peccato che a dirigerla ci sia Sean Penn, il cui ultimo film era il bellissimo Into the Wild e che poi, per amore (già finito) della bella Charlize si dev'essere bevuto il cervello. Come Ford dopo troppi White Russian.
Ford dice: Sean Penn, come attore e come regista, mi ha regalato cose davvero notevoli ed altre clamorosamente sopravvalutate. Ho come l'impressione che questo apparentemente finto impegnato e buonista Il tuo ultimo sguardo faccia parte della seconda categoria. Su Cannibal, invece, non ho dubbi: è quasi più sopravvalutato di Malick.

2:22 – Il destino è già scritto

"Cannibal Kid? Ancora!? Me l'avevano detto che quello era un vero stalker!"

Cannibal dice: Un altro film in cui lo stesso giorno si ripete di continuo? Sembra di stare dentro una versione thriller di Ricomincio da capo. O dentro White Russian quando parla per la millesima volta di serie infinite come Grey's Anatomy e Criminal Minds.
Ford dice: ennesima roba inutile tra viaggi nel tempo e pseudo thriller. Potrebbe venire buona per una visione estiva senza impegno, ma non ci faccio troppo affidamento, almeno quanto sulle opinioni del mio ex quasi rivale tornato - forse - agli antichi fasti.

Le Ardenne – Oltre i confini dell'amore

"Tra cinque minuti inizia la proiezione del film consigliato da Cannibal." "Bene: ho già il cuscino pronto."

Cannibal dice: Il manifesto di questo film thriller-drammatico belga recita: “Tanto potente quanto Fargo, Trainspotting e i primi film di Quentin Tarantino”. Io non sono il primo pollo che passa e ci casca, come Ford, e lo so che sono le solite sparate di marketing esagerate per vendere una pellicola, però in questo caso con me l'hanno venduta bene e l'ho già messa in elenco tra le prossime visioni.
Ford dice: film belga del duemilaquindici arrivato non si sa come o perchè qui in Italia in ritardo clamoroso e spinto da una serie di critiche non proprio esaltanti. Personalmente, fino a settembre cercherò di tenermi lontano dalle scommesse pseudo radical e pseudo Cannibal.

Bedevil – Non installarla

"Sento la presenza di Marco Goi, qui in giro. Ho tanta paura."

Cannibal dice: Solita pellicola horror che cerca di demonizzare le nuove tecnologie. Ma mi sa che fa molta più paura vedere il poco smart Ford che tenta di installare una app su uno smart phone.
Detto questo, io un horrorino teen scemo come questo per una rinfrescante visione estiva non credo me lo farò mancare.
Ford dice: tipico horrorino buono per i pusillanimi che in estate è praticamente un appuntamento fisso. Dovessi avere un buco nella classifica del peggio di fine anno, lo recupererò.

L'infanzia di un capo

"Questi sono i libri usati per studiare da Ford quando aveva la tua età, il secolo scorso."

Cannibal dice: Film che un capo del cinema d'autore e radical-chic come me ovviamente ha già visto e pure recensito qui: http://www.pensiericannibali.com/2017/01/the-childhood-of-leader-crescere.html. Mica come Ford che si vede solo action e B-movies per decere... ehm, per persone poco intelligenti.
Ford dice: altra pellicola radical che non mi pare sospinta da critiche così esaltanti che prima dell'autunno non mi sognerò di certo di recuperare. E' estate, fuori i mojiti, i despaciti e tutto quello che non richiede impegno.

The Latin Dream

"E ora suoniamo Despacito tutta la notte!"

Cannibal dice: Un film sulle danze latinoamericane?
Ma questo è l'horror dell'anno insieme a Io, James Ford.
Ford dice: già faccio cagare a ballare, non mi sogno neppure di avvicinarmi ad una roba come questa. Anche se, da buon tamarro, con Despacito e Subeme la radio sto alimentando l'estate a volume alto.

Ninna nanna

"E' nato il primo figlio di Cannibal e Ford." "Ammazza, è proprio mostruoso!"

Cannibal dice: Pellicola italiana che speriamo faccia almeno onore al suo titolo e consenta una bella ronfata come si deve.
Ford dice: mi basta il titolo, senza neppure bisogno del film. E ho un bel coma di qualche ora pronto per rifocillarmi.

 

mercoledì 28 giugno 2017

T2 - Trainspotting (Danny Boyle, UK, 2017, 117')




Mi ci sono voluti dieci anni, ai tempi, per apprezzare davvero quello che è stato un cult generazionale per chi è stato adolescente nel corso dei nineties, Trainspotting.
Ai tempi dell'uscita in sala, infatti, stavo attraversando il mio periodo straight edge pseudo artistoide tutto stronzo contro il mondo, e l'idea di un film incentrato su un gruppo di amici tossici pseudo falliti non mi colpì per altro motivo se non la colonna sonora - assolutamente pazzesca - ed alcune trovate che ai tempi risultavano effettivamente fuori dagli schemi - la famosa scena del cesso, per dirne una, o quella delle lenzuola sporche -: non abbastanza, comunque, da pensare di preferirlo a cose come Pulp fiction, uscito nello stesso periodo ed adorato incondizionatamente dalla prima visione.
Con il tempo, la progressiva evoluzione personale, la crescita e la consapevolezza che bisogna spalare parecchia merda prima di poter pensare di uscire "a riveder le stelle" ho rivalutato e non poco quello stesso cult generazionale che probabilmente chi aveva esaltato solo per lo "sballo" aveva finito per perdersi per strada, considerandolo oggi come un importante manifesto ed uno dei film più riusciti mai realizzati sulla dipendenza dalle droghe.
A vent'anni di distanza, ammetto di aver nutrito lo stesso scetticismo di allora per il sequel, che pareva più una bieca operazione di amarcord commerciale che non il tentativo di raccontare una storia di cuore come quelle che vado inseguendo e cercando nel corso di questo duemiladiciassette, e sono felice, e più che felice, di riscontrare che ancora una volta avevo malriposto i dubbi rispetto a Danny Boyle ed alla sua allegra brigata.
Perchè certo, l'amarcord c'è e si sente, così come quel sapore di nostalgia legato a tutti i film - o libri, o dischi, o quello che volete - che hanno significato qualcosa di importante nel nostro passato e tornano a farsi sentire come vecchi amici che, una volta incontrati, paiono quei "migliori amici" alla Stand by me in grado di piegare il Tempo e ricominciare esattamente da dove si aveva smesso, non importa quando: eppure T2 è qualcosa in più, una riflessione sul Tempo - quello vero, che spazza via tutti senza guardare in faccia a nessuno - e sulle opportunità, sui rancori e i tradimenti, su quello che è stato e che occorre raccontare, prima che si perda tra le pieghe della memoria e non resti nulla da tramandare ai nostri figli, come un regalo - magari non richiesto - che farà da fondamenta per il futuro che costruiranno, si spera meglio di quanto possiamo avere fatto noi.
E' anche una colonna sonora nuovamente da urlo, lo stile pazzesco di un Danny Boyle che pare girare come un trentenne - e come dovrebbe fare l'ormai bollitissimo Malick -, un gruppo affiatato che tra George Best, le ruggini e la speranza che qualcuno di "troppo giovane" possa perdere la testa e ricominciare una vita al suo fianco trasmette tutta la genuinità di qualcosa che aveva davvero il bisogno di essere raccontato, vissuto, provato.
E' la testimonianza che "scegliere la vita" funziona, anche quando non è proprio come la si sarebbe sognata. E che non ci si deve dimenticare mai di spalare tanta merda.
Ed è una merda che funziona perchè a volte, anche se solo a volte, tira fuori qualcosa che neppure noi ci saremmo aspettati, e consegna agli annali uno Spud strepitoso, dai giochi di ombre neanche fosse Nosferatu di Murnau all'energia incanalata in una storia che sono tante storie, che sono la vita.
Scegli la vita, per l'appunto.
Io non ho amici stretti come questi, e la maggior parte di quelli con i quali sono cresciuto si sono persi, chissà dove.
Ma se ripenso ad alcuni di loro, a Max con il quale, che sia un giorno o qualche anno, quando ci si rivede è sempre come fosse passata un'ora, a Emiliano che sono convinto avrebbe amato questo film, a mio fratello, con il quale si continua a condividere anche a distanza, a Stefano che è arrivato dopo, ma è come se ci fosse stato anche prima, mi sento a casa, di fronte a storie come quella di Renton e soci.
Il Tempo ci ammazza tutti, cazzo. La vita, ci ammazza tutti.
Eppure è giusto, fottutamente giusto continuare a sceglierla.
Perchè altrimenti non potremmo mettere un disco, alzare il volume, e ricordarci di quanto è triste, intenso, fantastico, doloroso, terribile, liberatorio ballare.
E lasciarsi andare.




MrFord




 

martedì 27 giugno 2017

La mummia (Alex Kurtzman, USA, 2017, 110')




E' davvero curioso, quasi un contrappasso dantesco, il fatto che, una quindicina d'anni fa, avrei volentieri non solo evitato, ma massacrato gratuitamente qualsiasi pellicola destinata al mercato allargato dell'estate e degli spettatori occasionali, ed oggi, in due giorni consecutivi, mi trovo a difendere potenziali blockbuster andati malissimo al botteghino e massacrati dalla critica benchè molto migliori e più divertenti di tanta merda - e merda vera, intendo - che negli ultimi mesi ha infestato le sale.
Dopo Baywatch, infatti, è il turno del recentissimo La mummia di Alex Kurtzman - da queste parti tra l'altro apprezzato ai tempi per Una famiglia all'improvviso - di essere almeno in parte coccolato da questo vecchio cowboy, pronto ad apprezzare questo tentativo sicuramente di grana grossa ma comunque piacevole da vedere e divertente - come la stagione impone - di riproporre una sorta di "universo allargato" - nuova moda della parte di settima arte destinata ai mercati più vasti, dai supereroi ai mostri - che incrocia le mitiche creature targate Universal - da Jeckyll/Hyde a La mummia, dall'Uomo Lupo a Frankenstein, da Dracula all'Uomo invisibile - con un'atmosfera avventurosa/ironica sulla scia di cose come La lega degli uomini straordinari - che, va ammesso, come film faceva anche discretamente cagare -: senza dubbio l'operazione partiva avvantaggiata, avendo Tom Cruise come protagonista e Sophia Boutella nel ruolo dell'antagonista - che, per inciso, non vedo l'ora di vedere limonare duro con Charlize Theron nel prossimo Atomic Blonde -, ma questa è un'altra storia.
Il fatto è che La mummia è un filmaccio di quelli della peggior specie, con buchi di sceneggiatura grossi come case ed un riciclaggio di idee di fondo in grado di far dubitare della capacità degli attuali uomini dietro le macchine da scrivere di Hollywood di partorire plot e soggetti anche solo lontanamente originali, eppure tiene bene sul divano per tutta la sua durata, diverte, non si prende sul serio neppure per sbaglio e, a tratti, pare quasi più accostabile all'ironia di Indiana Jones e di un certo approccio d'avventura anni ottanta che non all'horror oscuro che un "Dark Universe" vorrebbe portare nel mondo, e non lo scrivo intendendolo come un male.
Dal rapporto tra Jack Johnson e Tom Cruise agli stessi "scontri" con Jeckyll/Hyde - un Russel Crowe più bolso del solito - e la stessa Ahmanet, che incarna alla grande la metafora non solo dello stalking per una volta femminile ma anche e soprattutto di una sorta di assatanata che succhiando la vita dalle sue vittime riprende forza e potere, emerge più che altro una volontà importante di intrattenere e divertire il pubblico, piuttosto che spaventarlo o pensare di farlo tornare a casa propria guardandosi le spalle per paura di essere seguito da qualche creatura misteriosa: in fondo, il mondo di oggi ha nervi scoperti per un tipo di terrore molto più folle di quello rappresentato dagli spauracchi, e dunque trovo che rendere gli spauracchi stessi più simili a personaggi da fumetto in bilico tra il romanticismo ed il divertimento renda decisamente meglio di quanto non accadrebbe di fronte ad una rappresentazione de La mummia seriosa e pesante.
Ancora una volta, dunque, sono lieto di dare il benvenuto all'estate, e con lei, a produzioni leggere e goduriose come questa.
Non saranno memorabili, ma restano dannatamente divertenti.
E va benissimo così.




MrFord



 

lunedì 26 giugno 2017

Baywatch (Seth Gordon, USA, 2017, 116')




Praticamente potrei dire di aver aspettato questo tamarro ed ignorantissimo reboot di Baywatch - storica serie che fu uno dei simboli delle generazioni che vissero gli anni novanta - quanto ogni anno, già dal pieno dell'inverno, aspetto l'estate per godermi il sole, il caldo, le canottiere, la luce fino a tardi e via discorrendo: del resto, quando mai sarebbe ricapitata una pellicola con lo stesso sapore di cose come Nonno scatenato o lo Starsky e Hutch con Stiller e Wilson di una decina d'anni fa con Dwayne "The Rock" Johnson come protagonista, spalleggiato da ragazze con tutti gli argomenti al loro posto come Alexandra Daddario e Kelly Rohrbach?
E devo ammettere che il pubblico e la critica americani e non solo ce l'hanno messa davvero tutta, per cercare di smontare l'hype alle stelle che coltivavo, stroncando il lavoro di Seth Gordon come la peggiore delle merde - e vi assicuro, nel duemiladiciassette ho visto cose decisamente più orribili di questa, artisticamente parlando - e soprattutto consegnando ad attori, produzione e regista un flop piuttosto pesante al botteghino, cosa davvero inspiegabile sempre considerato, al contrario, il successo di schifezze atomiche uscite nel corso degli anni.
Ma andiamo oltre.
Secondo me dietro a pareri così negativi il problema non è dato tanto dalla pellicola, quanto dall'approccio di chi la guarda, una specie di "fenomeno McDonald's" cinematografico: quando vado in un fast food, tendenzialmente lo faccio perchè voglio riempirmi come un porco di schifezze, e non pensare di ritrovarmi di fronte un piatto da ristorante stellato, un pò come quando, nel corso di un allenamento o nel pieno della stagione estiva della mente e del cuore più leggeri, preferisco ascoltarmi Despacito piuttosto che qualche pezzone strappacuore di Tom Waits o chi per lui.
E Baywatch è questo, puro e semplice.
E' il Despacito del Cinema, sopra le righe, sguaiato, tamarro all'inverosimile, ma anche guascone e simpatico, pronto a prendersi per il culo e ad uscire dal seminato sfruttando perfino qualche colpo da metacinema - dal riferimento ad High School Musical indirizzato a Zach Efron ai ralenti, passando per l'apparizione assolutamente geniale di David Hasselhoff, star della serie originale e personaggio cultissimo per almeno due o tre generazioni di spettatori del piccolo schermo -, pronto a soddisfare l'occhio del pubblico sia maschile che femminile, a scorrere senza danno e con leggerezza, a strappare qualche sana risata di pancia - ma non aspettatevi battute "alte" - e chiudere come si conviene ad un popcorn movie da estate piena e desiderio di un cocktail gelato, il rumore delle onde e qualche bella signorina a farvi compagnia.
Sinceramente, non potrei chiedere di più, ad una produzione che fa dell'ignoranza il suo punto forte, il suo vanto, l'arma perfetta per scardinare le difese dello spettatore nel momento in cui i suoi neuroni necessitano di una bella serata da libera uscita: dunque, ben vengano Baywatch, il suo sequel - che, considerati gli incassi, dubito verrà prodotto purtroppo -, le tamarrate, i muscoli tiratissimi del buon Dwayne e di Zac Efron e le tette in perenne movimento della Daddario e della Rohrbach, con il vento nei capelli e l'oceano ad incorniciare il tutto.
Questa è l'estate. E, con buona pace di tutti gli snob, anche questo è a suo modo Cinema.




MrFord




venerdì 23 giugno 2017

House of cards - Stagione 3 (Netflix, USA, 2015)





Esistono alcuni titoli che, in un modo o nell'altro, a prescindere dal fatto che possano oppure no essere vicini per interessi ed approccio alla vita a chi ne usufruisce, finiscono per catturare quasi avessero la capacità di ipnotizzare: uno di questi è senza dubbio House of cards, o "L'altro Frank" - con riferimento a Frank Gallagher - come lo ribattezza il Fordino.
Personalmente ho sempre detestato la politica, e tutto quello che ne consegue: certo, nel corso della vita ho mentito, tradito e combinato casini come molti dei rappresentanti di governo di tutto il mondo, eppure ho sempre pensato che un certo tipo di attività palesemente e fallibilmente umane fossero e dovessero rimanere personali, più che legate alla carriera di chiunque, sulla carta, dovrebbe dedicarsi al benessere della gente, nel senso più generale e sociale possibile.
Eppure, nonostante il mio disgusto verso un certo tipo di dinamiche in generale, non sono ancora riuscito a volere male a quel gran figlio di puttana di Frank Underwood.
Neppure e soprattutto quando, come in questo caso, passa un'intera stagione a giocare in difesa mostrando quanto sia difficile, una volta arrivati in cima, mantenere la posizione ed evitare che qualcuno predatorio quanto noi possa minacciare il posto, il prestigio il quello che volete guadagnato con il sudore della fronte ed una vagonata di ombre da fare invidia al peggiore dei villains dei fumetti.
Dai conflitti con il leader russo a quelli con l'inseparabile compagna e fautrice di successi Claire, passando per il duello con il Congresso e la candidata Dunbar, fino alla gestione degli uomini di fiducia come Remy e Doug, questo terzo giro di giostra si dimostra il più duro, per Underwood, passato dalla sua condizione ideale - quella dell'attacco - ad una decisamente più scomoda - la difesa forzata -: ma l'evoluzione è legata anche e soprattutto all'apprendimento, e la sopravvivenza ancora di più.
Dunque, assistiamo nel corso di questa terza stagione ad un'ulteriore evoluzione del Frank Underwood avido di potere che avevamo imparato al contempo a detestare ed amare nel corso delle prime due, e ad un trampolino di lancio per una quarta che si preannuncia da fuochi d'artificio, considerati gli eventi del season finale.
Quello che è certo, ad ogni modo, a prescindere da come si percepisca il main charachter, è che House of cards resta una delle proposte attualmente più avvincenti che il piccolo schermo possa offrire, dalle interpretazioni pazzesche di Spacey e della Wright alla tensione costante e continua: potrebbe essere definito un thriller, un political drama, un saggio critico sulle ombre dei corridoi del potere, una black comedy, e via discorrendo.
Ma il fatto è che House of cards è House of cards.
Ovvero una delle cose migliori che vi possano capitare per le mani parlando di piccolo schermo.
E se non volete ritrovarvi a fare i conti con "l'altro Frank", vi converrebbe davvero darmi ascolto.




MrFord




 

giovedì 22 giugno 2017

Thursday's child




L'estate è alle porte, e come di consueto, quando arriva la bella stagione, il Cinema finisce per prendersi una lunga vacanza. Alle spalle una settimana decisamente cannibalesca, a questo giro toccherà tenere duro facendo fronte ad una serie di pellicole certo non memorabili, fatta eccezione per un potenziale cult fordiano.
In attesa delle recensioni, godetevi nel frattempo gli illuminati pareri del sottoscritto e quelli decisamente più discutibili del mio rivale e co-conduttore Cannibal Kid, paladino dei pollici più brutti del mondo: e voi tutti sapete di quali pollici sto parlando.



"Te l'avevo detto, di non ascoltare i consigli di viaggio di Ford. Ma tu niente!"



Transformers – L'ultimo cavaliere

"Hey Ford, vieni fuori! Prometto che guarderemo un action, e non la solita porcata consigliata da Cannibal!"

Cannibal dice: Quella dei Transforders era una saga partita in maniera simpatica. Il primo tempo della prima pellicola se non altro non era malaccio. Da lì in poi il declino, con una serie di guerre robotiche senza senso che hanno toccato il loro punto più basso nel terzo inguardabile film, in cui a salvare la baracca, o meglio la baracconata non c'era più manco Megan Fox con i suoi bellissimi pollici. Il quarto capitolo segnava una piccola ripresa, anche perché peggio del terzo non si poteva fare, ma le premesse per questo quarto, in cui non si sa come o perché c'hanno infilato dentro pure la leggenda di Re Artù, sono catastrofiche. Potrebbe essere lo scult dell'anno su Pensieri Cannibali e di conseguenza il capolavorone trash 2017 su White Russian.
Ford dice: la saga cinematografica dei Transformers mi ha sempre fatto assolutamente cagare. Tutti film vuoti ed inutili, resi ancora più tremendi dai pollici di Megan Fox, e che neppure Marc Wahlberg è riuscito a salvare.
Eviterò quest'ennesimo capitolo come se l'avesse consigliato Cannibal.


Civiltà perduta

"Dannazione, sei più pusillanime del Cannibale!"

Cannibal dice: Se la scorsa settimana era stata spettacolarmente cannibale, questa si preannuncia orribilmente fordiana. Civiltà perduta è il classico film d'altri tempi arrivato fuori tempo massimo con un'ambientazione esotica (l'Amazzonia) e un regista (James Gray) che non mi ha mai esaltato. Prevedo tra i tre e i tre bicchieri e mezzo su White Russian (tra i voti massimi), e tra il 3/10 e il 3,5/10 su Pensieri Cannibali (tra i voti minimi).
Ford dice: James Gray è uno dei registi più autoriali del panorama americano, e fin dai suoi esordi l'ho amato moltissimo. Sono molto curioso di scoprire come se la caverà in un contesto che non pare il suo, e soprattutto quanto potrà infastidire Cannibal un film come questo.







Parliamo delle mie donne

"Ford dice di avere la nostra età!? Ma non farmi ridere!"

Cannibal dice: Eh, se dovessi parlare io delle mie donne, andrei avanti per minuti, ma che dico? Per secondi interi! Ford invece non lasciatelo nemmeno cominciare, che se no vi racconta qualche aneddoto strappalacrime su moglie e/o figlia. Claude Lelouch poi c'ha fatto un film di due ore che promette di essere troppo radical-chic persino per me.
Ford dice: Lelouch non è neanche male, ma l'idea di un film di questo genere potrebbe essere molto più adatta a Hank Moody, che non al Cinema francese. Piuttosto, dunque, andrò a rinfrescarmi Californication.

 


The Habit of Beauty

"Katniss Kid, mi dispiace: di colpo sei invecchiata neanche fossi Ford."

Cannibal dice: Francesca Neri vuò fa l'ammeregana-meregana? No, vuò fa l'inglesana-nglesana. The Habit of Beauty è una pellicola italo-britannica che potrebbe risultare una scommessa curiosa, ma su cui io preferisco non puntare i miei soldi. Così come non li punterei mai su Ford, a meno che non si tratti di un incontro di wrestling contro di me, e almeno in quel caso vincerebbe facile.
Ford dice: questo connubio italo britannico mi pare destinato al fallimento più di un tentativo di alleanza mio e di Peppa Kid, dunque credo che mi butterò su qualche recupero, piuttosto che tentare la strada di questa bellezza che, sinceramente, non vedo.

 

Girotondo

"Ford e Cannibal hanno distrutto il nostro film. Che facciamo?" "Niente: quei due sono troppo pericolosi."

Cannibal dice: Ho guardato il trailer di Codice criminale, il film con Michael Fassbender in uscita settimana prossima, che annunciava musiche originali composte dai Chemical Brothers, e subito dopo hanno dato quello di Girotondo, filmetto amatoriale recitato peggio delle soap che guarda Ford e accompagnato da una canzonaccia di Emma Marrone... indovinate quale dei due film mi è venuto voglia di guardare e quale no?
Ford dice: Emma Marrone sarà anche interessante per alcuni argomenti, ma certo non per altri. Questo film, invece, non è interessante neanche per sbaglio.

 

mercoledì 21 giugno 2017

Channel Zero - Stagione 1 (Syfy, USA, 2016)




Di norma, nonostante la blogosfera non stia vivendo certo il suo periodo migliore o più fulgido, cerco sempre, leggendo i vari blog, di stare attento alle segnalazioni di tutti i "colleghi" a proposito di titoli che potrebbero, noti oppure no, rivelarsi come delle vere e proprie sorprese e regalare qualche spunto per il futuro.
Tempo fa, grazie alla sempre bravissima Lucia, recuperai la prima stagione di Channel Zero, produzione dal sapore anni settanta - nonostante debba le sue "origini" sullo schermo a vicende ambientate nella decade successiva - dall'atmosfera inquietante e molto interessante, non perfetta ma senza dubbio una delle cose migliori che il piccolo schermo abbia conosciuto in tempi recenti rispetto al genere: ambientata su due piani temporali in una piccola comunità della provincia americana - il presente e l'ottantotto -, la serie propone in questa prima stagione le vicende di Candle Cove, sconvolta dall'uccisione di cinque bambini per l'appunto sul finire degli eighties, l'interruzione degli stessi omicidi ed il ritorno del male accanto ad uno dei bambini scampati ai tempi dei delitti, divenuto uno psicologo infantile.
L'incedere, che mi ha ricordato veri e propri cult come Lo spirito dell'alveare e l'evoluzione della trama risultano credibili e regalano momenti decisamente inquietanti - anche se, onestamente, non mi sono mai sentito turbato neppure in quelle che sono state le sequenze più creepy -, la cura di alcuni personaggi ed il loro charachter design è ottimo - il piccolo "dentista" è da antologia -, eppure, forse anche per le aspettative, attendevo perfino di più.
Questo perchè, a parte alcune scelte di cast non perfette - a partire dallo stesso main charachter, piuttosto scialbo e "normale", nel senso non positivo del termine -, il ritmo non è certo serrato, ed in alcuni punti pare che il fatto che lo stesso sia dilatato sconfini quasi nella noia, rendendo i quaranta minuti di ogni episodio più simili ad un'ora abbondante che non scorrevoli come ci si aspetterebbe da una serie dalla durata "standard".
Niente per cui scoraggiarsi, comunque, considerato che le produzioni horror - specie seriali - di norma risultano porcate galattiche, ed un buon segnale per questo duemiladiciassette che oltre a Channel Zero mi ha già regalato soddisfazioni con The Exorcist e American Horror Story: più che altro, immergetevi nella storia di Candle Cove e dei suoi bambini come se voleste rivivere in modo più sotterraneo l'orrore di It, che come una piaga si insinua tra le pieghe del tempo pronto a tornare a galla quando meno ce lo si aspetterebbe, e che per essere superato e messo a tacere richiede sacrifici che, compiuti in nome dell'amore o della necessità di liberarsi, sono destinati comunque a segnare per sempre i protagonisti della storia.
E, senza dubbio, anche chi li ha seguiti dall'altra parte dello schermo.




MrFord




 

martedì 20 giugno 2017

Grey's Anatomy - Stagione 13 (ABC, USA, 2016)





Fin dai primi tempi della convivenza con Julez, nonostante sulla carta non fosse certo materia da vecchio cowboy, Grey's Anatomy è divenuto uno dei guilty pleasures da piccolo schermo più goduriosi di casa Ford, una sorta di simbolo dell'estate incombente - l'abbiamo sempre visto "in differita" rispetto alla programmazione americana e di Sky qui da noi - che, a prescindere dalla qualità o dalle stagioni più o meno riuscite, viene divorato a colpi di quattro o cinque episodi al giorno.
Certo, la creatura principe di Shonda Rhimes è poco plausibile, eccessiva ed eccessivamente sentimentale, eppure qui al Saloon non si riesce davvero a non volerle bene, anche quando, come nel caso di questa season numero tredici, le cose non vanno affatto come si sarebbe sperato: troppa carne al fuoco per essere gestita bene dagli sceneggiatori - le due storylines principali, quella che vede protagonista il mio favorito Karev ed i suoi guai professionali e giudiziari dopo aver aggredito lo specializzando DeLuca e quella della "ristrutturazione aziendale" passata attraverso l'inserimento della Minnick, uno dei personaggi più insopportabili che ricordi, si mangiano moltissimo spazio per poi essere risolte come bolle di sapone, e le secondarie appaiono tutte inconsistenti, da quella legata alla pessima coppia Hunt/Sheperd all'episodio conclusivo, sprecato considerato il passato di drama di questo titolo -, tensione sentimentale a zero - ma questa è una lamentela principalmente della signora Ford, che adora il mitico "struggio" -, charachters non all'altezza e poche certezze a portare avanti quello che è ormai uno dei titoli storici della grande stagione del rilancio delle serie televisive che fece seguito all'esplosione del fenomeno di Lost ormai tredici anni fa.
Un vero peccato, perchè l'impressione con quest'annata è decisamente quella dell'occasione sprecata sia per consolidare situazioni e personaggi cardine della serie, sia per inserire o valorizzarne di nuovi - uno scempio, a livello di scrittura, quello che è stato fatto con DeLuca, o l'idea di buttare nel calderone idee e situazioni poi accantonate strada facendo, soprattutto riguardo agli specializzandi che dovrebbero rappresentare la "nuova generazione" del titolo -, e più in generale dare una scossa ad un serial che, senza dubbio, può contare su un consolidato zoccolo duro di fan della prima ora, ma che a distanza di così tanti anni, privo dell'attrattiva che forniva il personaggio di Derek Sheperd e della sua storia con Meredith, di molti dei protagonisti che avevano reso questa serie quello che è diventata e sempre sul filo per quanto riguarda lo spingere sull'acceleratore con morti, ritorni, catastrofi e simili rischia di diventare uno di quelli che si guardano per affezione, ma quasi stancamente.
Qui in casa Ford non siamo ovviamente ancora giunti a quel punto, ed ogni anno il ritorno al Grey Sloane Memorial è un vero piacere, ma onestamente vorrei che si potesse ingranare una marcia in grado se non altro di ricordare annate magiche come la seconda o la quinta, che nel genere non dovevano davvero temere rivali.
Anche perchè da questi medici così sopra le righe, io mi aspetto sempre l'intervento miracoloso.
E non la visita di routine da certificato e due o tre giorni di riposo.



MrFord