Regia: Stephen Frears
Origine: UK, Francia
Anno: 2015
Durata: 103'
Anno: 2015
Durata: 103'
La trama (con parole mie): David Walsh, giornalista sportivo del Sunday Times che intervistò Armstrong ai tempi dei suoi esordi e si convinse del suo talento, nel corso del primo Tour vinto dal ciclista americano tornato alle corse dopo la battaglia vinta contro il cancro comincia a coltivare il sospetto che, dietro l'incredibile successo di quello che è destinato a diventare uno degli sportivi più famosi e rispettati al mondo in realtà si celi l'utilizzo di sostanze illecite.
Inizia così per Walsh una sorta di sotterranea battaglia con Armstrong fatta di supposizioni, articoli, sospetti e lotte legali, che pare definitivamente perduta nel momento in cui viene effettivamente riconosciuto il fatto che il vincitore di sette Tour non sia mai risultato positivo ad un controllo ed imposto un risarcimento da parte del Sunday Times ed il ritiro dello stesso Armstrong.
Al ritorno alle competizioni di quest'ultimo nel duemilanove, però, la partita si riapre.
Inizia così per Walsh una sorta di sotterranea battaglia con Armstrong fatta di supposizioni, articoli, sospetti e lotte legali, che pare definitivamente perduta nel momento in cui viene effettivamente riconosciuto il fatto che il vincitore di sette Tour non sia mai risultato positivo ad un controllo ed imposto un risarcimento da parte del Sunday Times ed il ritiro dello stesso Armstrong.
Al ritorno alle competizioni di quest'ultimo nel duemilanove, però, la partita si riapre.
Considerati lo stretto contatto del sottoscritto con il ciclismo - che assocerò per sempre alla figura di mio padre -, la visione del documentario The Armstrong lie e l'opinione comune, avevo davvero molta paura di affrontare in maniera equilibrata la visione di The program: il rischio, infatti, che fosse un film con un'unica direzione pronto a ritrarre il ciclista texano come una sorta di diavolo in Terra, considerato il fatto che è stato tratto dal libro inchiesta realizzato da uno dei primi e suoi più grandi detrattori - il David Walsh che è anche narratore della vicenda -, era piuttosto alto, così come probabile, in quel caso, sarebbe stata l'ipotesi delle bottigliate.
Stephen Frears, invece, pur non realizzando il film sportivo del secolo, porta sullo schermo un prodotto solido ed in grado di raccontare la vicenda che ha visto trionfare prima e dunque cadere rovinosamente uno degli sportivi più idolatrati ed idealizzati di sempre, Lance Armstrong, senza per questo indulgere nella faziosità da un lato o nella retorica dall'altro: il campione texano è riportato fedelmente per quello che è - un drogato di vittorie e di potere, a prescindere dall'assunzione di farmaci proibiti, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per difendere la sua posizione ed il suo status, ma anche un lottatore estremo, in grado di fronteggiare il cancro ed uno scadalo che avrebbe seppellito molti altri ed uscirne tutto sommato indenne -, interpretato benissimo dal sempre troppo sottovalutato Ben Foster pronto a capitanare un cast ben assortito ed in parte, dall'ottimo Guillame Canet nel ruolo del medico italiano Michele Ferrari, per anni preparatore di Armstrong e del suo team a Jesse Plemons, quasi irriconoscibile rispetto alla seconda stagione di Fargo nel ruolo della "nemesi" di Armstrong Floyd Landis, tra i responsabili, con le loro testimonianze, della revoca delle vittorie al Tour dell'ex iridato statunitense.
Di fatto, Frears e gli autori riescono nell'intento di mostrare senza perdere troppo l'equilibrio i lati umani - in senso sia positivo che negativo - del loro protagonista e degli uomini che attorno a lui hanno ruotato in quegli anni, sfruttando l'onda del suo successo o, in alternativa, la mano pesante di un certo suo dispotismo - ottima la scelta di riportare fedelmente il faccia a faccia in corsa tra Armstrong e Simeoni, concluso con la quasi inquietante espressione dello stesso Armstrong che a favore di camera fece il gesto di chiudersi la bocca con una cerniera -: con questo The program, pur se in misura minore rispetto al già citato The Armstrong lie, è interessante notare come, a prescindere dalle colpe dell'egotico Lance, in conclusione risulti essere più forte la critica ad un sistema - quello del ciclismo - da sempre probabilmente segnato dalla questione doping che, di fatto, fino a quando continuerà a funzionare basandosi sulla spettacolarizzazione sempre maggiore dei grandi giri ed alla durezza di alcune competizioni - come il Tour -, difficilmente riuscirà a cambiare davvero strada, Armstrong squalificato a vita oppure no.
Senza dubbio, comunque, quella dell'ex sette volte trionfatore degli Champs Elysees è una vicenda clamorosamente cinematografica e vissuta al massimo dal suo protagonista: da giovane promessa pronta a gettarsi nel doping pur di colmare il gap con gli avversari che già ne facevano uso a vittima di un cancro terminale sconfitto quasi a sorpresa, dal ritorno in bicicletta ai trionfi al Tour, che mai nessuno aveva dominato in quel modo netto e perentorio, dal ritiro al secondo ritorno, dettato dall'ingordigia e dalla voglia di primeggiare sempre e comunque, che gli costò tutto quello che aveva costruito, fino alla confessione in diretta tv da Ophra - curioso, in questo senso, che con il documentario Alex Gibney decise di aprire il film proprio con l'appena citato faccia a faccia, mentre Frears sceglie, al contrario, di chiudere il suo lavoro con lo stesso passaggio - .
Probabilmente molti, nel mondo dello sport - anzi, forse quasi tutti - potranno solo sognare, nel corso di un'intera carriera, una serie di vittorie così clamorose ed una sconfitta senza appelli e su tutta la linea, eclatante quanto l'insieme di tutti i trionfi: ma del resto, doping o no, i migliori, i sopra le righe, quelli destinati a lasciare un segno, finiscono per lasciarlo.
Sempre e comunque.
Stephen Frears, invece, pur non realizzando il film sportivo del secolo, porta sullo schermo un prodotto solido ed in grado di raccontare la vicenda che ha visto trionfare prima e dunque cadere rovinosamente uno degli sportivi più idolatrati ed idealizzati di sempre, Lance Armstrong, senza per questo indulgere nella faziosità da un lato o nella retorica dall'altro: il campione texano è riportato fedelmente per quello che è - un drogato di vittorie e di potere, a prescindere dall'assunzione di farmaci proibiti, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per difendere la sua posizione ed il suo status, ma anche un lottatore estremo, in grado di fronteggiare il cancro ed uno scadalo che avrebbe seppellito molti altri ed uscirne tutto sommato indenne -, interpretato benissimo dal sempre troppo sottovalutato Ben Foster pronto a capitanare un cast ben assortito ed in parte, dall'ottimo Guillame Canet nel ruolo del medico italiano Michele Ferrari, per anni preparatore di Armstrong e del suo team a Jesse Plemons, quasi irriconoscibile rispetto alla seconda stagione di Fargo nel ruolo della "nemesi" di Armstrong Floyd Landis, tra i responsabili, con le loro testimonianze, della revoca delle vittorie al Tour dell'ex iridato statunitense.
Di fatto, Frears e gli autori riescono nell'intento di mostrare senza perdere troppo l'equilibrio i lati umani - in senso sia positivo che negativo - del loro protagonista e degli uomini che attorno a lui hanno ruotato in quegli anni, sfruttando l'onda del suo successo o, in alternativa, la mano pesante di un certo suo dispotismo - ottima la scelta di riportare fedelmente il faccia a faccia in corsa tra Armstrong e Simeoni, concluso con la quasi inquietante espressione dello stesso Armstrong che a favore di camera fece il gesto di chiudersi la bocca con una cerniera -: con questo The program, pur se in misura minore rispetto al già citato The Armstrong lie, è interessante notare come, a prescindere dalle colpe dell'egotico Lance, in conclusione risulti essere più forte la critica ad un sistema - quello del ciclismo - da sempre probabilmente segnato dalla questione doping che, di fatto, fino a quando continuerà a funzionare basandosi sulla spettacolarizzazione sempre maggiore dei grandi giri ed alla durezza di alcune competizioni - come il Tour -, difficilmente riuscirà a cambiare davvero strada, Armstrong squalificato a vita oppure no.
Senza dubbio, comunque, quella dell'ex sette volte trionfatore degli Champs Elysees è una vicenda clamorosamente cinematografica e vissuta al massimo dal suo protagonista: da giovane promessa pronta a gettarsi nel doping pur di colmare il gap con gli avversari che già ne facevano uso a vittima di un cancro terminale sconfitto quasi a sorpresa, dal ritorno in bicicletta ai trionfi al Tour, che mai nessuno aveva dominato in quel modo netto e perentorio, dal ritiro al secondo ritorno, dettato dall'ingordigia e dalla voglia di primeggiare sempre e comunque, che gli costò tutto quello che aveva costruito, fino alla confessione in diretta tv da Ophra - curioso, in questo senso, che con il documentario Alex Gibney decise di aprire il film proprio con l'appena citato faccia a faccia, mentre Frears sceglie, al contrario, di chiudere il suo lavoro con lo stesso passaggio - .
Probabilmente molti, nel mondo dello sport - anzi, forse quasi tutti - potranno solo sognare, nel corso di un'intera carriera, una serie di vittorie così clamorose ed una sconfitta senza appelli e su tutta la linea, eclatante quanto l'insieme di tutti i trionfi: ma del resto, doping o no, i migliori, i sopra le righe, quelli destinati a lasciare un segno, finiscono per lasciarlo.
Sempre e comunque.
MrFord
"You are the one that's creeping,
you are the one that's cheating,
but if your heart is beating,
bring it on, bring it to me."
you are the one that's cheating,
but if your heart is beating,
bring it on, bring it to me."
John Newman - "Cheating" -
Mi pare più interessante il documentario, se dovessi scegliere tra uno dei due opterei per quello. ;)
RispondiEliminaPosso capire, anche se il film resta assolutamente valido.
EliminaMi dispiace solo che non sono riuscito a vederlo al cinema all'epoca. L'ho recuperato solo recentemente...
RispondiEliminaMi è molto piaciuto, peccato che ha qualche elemento di "già visto"...
Non sarà una pietra miliare, ma secondo me funziona eccome. Bravo Frears, e bravissimo Foster.
EliminaUn film clamorosamente decente, per uno schifo d'uomo e di (anti)sportivo del genere.
RispondiEliminaGiusto te puoi definirlo ancora un campione...
Per lasciare il segno come ha fatto lui, meglio non lasciarlo proprio.
Nel ciclismo il doping è così diffuso che, semplicemente, ha vinto il più forte tra i dopati.
EliminaNon giustifico Armstrong, ma le colpe sono più del sistema, che sue.
Ma tu, come al solito, hai le fettazze di prosciutto sugli occhi anche per lo sport! ;)