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domenica 31 maggio 2015

La trattativa

Regia: Sabina Guzzanti
Origine: Italia
Anno:
2014
Durata: 108'





La trama (con parole mie): attraverso una ricostruzione mostrata dal dietro le quinte di un teatro di posa, un gruppo di "lavoratori dello spettacolo" mette in scena il racconto delle vicende che pare siano dietro alla supposta trattativa tra Stato e Mafia volta a chiudere una volta per tutte l'epoca delle stragi che non solo costò la vita ai giudici Falcone e Borsellino ed alle loro scorte, ma anche ad una serie di vittime colpite solo perchè nel posto sbagliato al momento sbagliato o coraggiose abbastanza da affrontare la Mafia.
Un viaggio attraverso episodi fondamentali della Storia recente del Nostro Paese, dalle stragi di Capaci e Via D'Amelio all'ascesa di Forza Italia e Silvio Berlusconi, dai collaboratori di giustizia ai membri del governo, della chiesa, della massoneria e della criminalità pronti a costruire uno stato parallelo allo Stato.








Credo ci siano pochi avvenimenti che, nella Storia recente del Nostro Paese, siano stati in grado di segnare coscienze, società, animi e cultura più delle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: due Uomini, due eroi, due personalità che dovremmo tutti prendere a modello, e che dovrebbero essere riconosciute alla stregua dei più grandi non solo entro i nostri confini.
La loro lotta alla Mafia e la loro drammatica fine è senza dubbio da considerarsi come uno dei capitoli più oscuri della politica e del crimine in Italia, nonchè la punta dell'iceberg di un'epoca di uccisioni, attentati, massacri che ancora oggi, spesso e volentieri, purtroppo non trovano spiegazioni e colpevoli: Sabina Guzzanti, una vita nella satira, torna sul grande schermo di fatto presentandosi come una sorta di Michael Moore italiano, sfruttando il metacinema - ottima idea, tra l'altro - per raccontare, pur se a grandi linee, il percorso che condusse Cosa Nostra dall'epoca delle stragi a quella della "conciliazione", da Totò Riina a Provenzano, dalla classe politica precedente a Tangentopoli all'era di Silvio Berlusconi.
Posizioni politiche a parte, l'effetto che documenti e racconti legati ad episodi come quelli delle uccisioni di Falcone e Borsellino - che sono due simboli, ma che rappresentano decine e decine di altri martiri della lotta alla Mafia - è sempre in bilico, per il sottoscritto, tra l'indignazione e la costernazione: pensare di essere nato in un Paese - come, peraltro, si afferma nello splendido documentario In un altro paese, che consiglio vivamente - in cui una classe politica intera lotta più per insabbiare morti di persone che quello stesso Paese dovrebbero governare grazie al loro rigore morale è davvero triste, così come il fatto che la società - e dunque noi tutti - finiamo troppo spesso per essere spettatori passivi - o ancora peggio, attivi, come nel caso delle ripetute elezioni del già citato Berlusconi - di quello che è accaduto, accade e speriamo sempre meno possa accadere in futuro davanti ai nostri occhi.
La cronaca degli eventi, resa attraverso un'acuta messa in scena - davvero efficaci i siparietti a proposito dei flashback -, porta a galla anche le vicende di collaboratori di giustizia, ufficiali delle forze dell'ordine, politici e magistrati da una parte e dall'altra della barricata mai salite davvero alla ribalta delle cronache, e dal rapporto tra l'infiltrato ed il Carabiniere e l'assassino di Cosa Nostra che, nello splendido epilogo e con chissà quanti cadaveri sulla coscienza, afferma di non essersi mai ripreso dall'omicidio di Don Puglisi - raccontato anche sul grande schermo dal buon Alla luce del sole -, che, ormai moribondo ai suoi piedi, continuava a sorridere di fronte alla fine.
In questo senso lo spirito della pellicola, che mescola fiction e documenti, satira e profondo dramma sociale, è proprio quello di portare a galla il marcio ma soprattutto dare il giusto risalto, l'importanza dovuta al coraggio che è stato, è e sarà sempre il fulcro della lotta a tutti i movimenti più oscuri della nostra società, senza dubbio ben peggiori dei singoli e semplici crimini di strada, o degli errori che ogni uomo o donna può fare nel corso della sua esistenza.
Complimenti dunque alla Guzzanti, che pur non resistendo a dover inserire almeno un paio di momenti dedicati alla sua - pur divertente - imitazione e parodia di Berlusconi confeziona un prodotto sentito ed importante, che avrebbe meritato una distribuzione ed una divulgazione più massive, ed insieme al lavoro di Pif La mafia uccide solo d'estate rappresenta un altro tentativo di mostrare una delle più grandi tragedie d'Italia attraverso un piglio narrativo didattico e sentito ma non retorico o eccessivo.
Abbiamo bisogno di questi esempi.
Abbiamo bisogno dei sorrisi di Don Puglisi.
Di Falcone e Borsellino.
Di alzare la testa, e dimostrare che è un certo tempo è passato.
E che il futuro è nostro.




MrFord




"Basta alla guerra fra famiglie
fomentata dalle voglie
di una moglie colle doglie
che oggi dà la vita ai figli
e domani gliela toglie
rami spogli dalle foglie
che lei taglia come paglia
e nessuno se la piglia:
è la vigilia
di una rivoluzione
alla voce del Padrino
ma don Vito Corleone
oggi è molto più vicino:
sta seduto in Parlamento."
Frankie HI-NRG MC - "Fight da faida" - 




sabato 30 maggio 2015

Lo chiamavano Trinità

Regia: E. B. Clutcher (Enzo Barboni)
Origine: Italia
Anno: 1970
Durata: 113'





La trama (con parole mie): Trinità, un vagabondo dall'indole pigra nonchè pistolero infallibile soprannominato "La mano destra del Diavolo", dopo aver sistemato un paio di cacciatori di taglie senza scrupoli e preso con sè il loro prigioniero, finisce nella città di frontiera in cui suo fratello, Bambino, burbero e forzuto, altrettanto abile con la sei colpi e detto "La mano sinistra del Diavolo", esercita la professione di Sceriffo.
In realtà proprio Bambino ha usurpato il ruolo dell'ufficiale nominato in modo da poter organizzare un colpo ai danni di un signorotto del posto, padrone di una mandria di cavalli smisurata momentaneamente ferma oltre il confine messicano e non marchiata.
Con l'arrivo di Trinità e le vessazioni che gli uomini del suddetto Maggiore operano ai danni di una comunità di mormoni stabilitasi in una valle ricca di risorse naturali appena fuori dalla città, tutti i piani saltano: i due fratelli, loro malgrado, dovranno dunque fare fronte comune per raddrizzare i torti e ripristinare l'ordine.










Frugando tra i miei primi ricordi di spettatore di film, una delle immagini ricorrenti che tornano a galla è quella di Bud Spencer e Terence Hill, mitici interpreti del filone grottesco che rese noto in tutto il mondo il Cinema "basso" all'italiana a partire dagli anni settanta e li vide protagonisti di pellicole che ancora oggi non solo guardo con affetto, ma mi godo senza pietà ad ogni passaggio in televisione o desiderio di rispolverare qualche dvd da troppo tempo a riposo nella libreria.
Certo, dovessi scegliere tra i due continuerò sempre a parteggiare per il burbero e mitico nelle scazzottate Bud, anche se l'atteggiamento del sottoscritto è certamente più simile a quello dello strafottente e più easy Terence: Lo chiamavano Trinità, in questo senso, non solo è la sintesi perfetta di quella che è stata la loro formula vincente, ma anche uno dei più grandi capisaldi della filosofia Spaghetti-Western, a metà tra il trash e l'artigianale, il Mito e le risate sopra le righe.
Ancora oggi, a distanza di poco meno di trent'anni dalla prima visione, in più di una sequenza mi sono ritrovato incapace di resistere di fronte alle gesta dei due curiosi eroi - una sorta di antesignani degli Hap e Leonard targati Lansdale -, ed anche nel pieno di una impegnativa sessione di gioco con il Fordino mi sono sentito trasportato di nuovo sul divano a casa di mio nonno, ridendo allo stesso modo di allora della strafottenza di Trinità e dei colpi alla base del collo di Bambino.
Se, a questo, si aggiungono l'ambientazione Western - anche se di stelle e strisce c'è davvero ben poco -, una colonna sonora assolutamente mitica ed una serie di confronti più che cult - il primo faccia a faccia con i banditi di Mezcal, nome geniale, è leggenda - il gioco è fatto: non sarà per tutti, molti radical storceranno il naso, altri si accorgeranno che, di fatto, il tempo per questo tipo di prodotti è inesorabilmente, indubbiamente e purtroppo passato, e se fossero riproposti ai giorni nostri risulterebbero quantomeno ridicoli, eppure il lavoro di Clutcher/Barboni funziona alla grande, e nei quasi cinquant'anni trascorsi dalla sua uscita in sala ha finito per influenzare decine e decine di titoli, Western e non, concepiti qui nella Terra dei cachi o ai quattro angoli del globo.
In casi come questo, in effetti, non dovrebbero essere post da normali recensioni a parlare, bensì ogni cazzotto rifilato dai due eroi di questa come di altre decine di avventure, pronti a raddrizzare i torti con il sorriso sulle labbra ed un appetito smodato - proprio da qui nacquero le celebri mangiate e scorpacciate di fagioli della premiata ditta Spencer&Hill -, ad apprezzare una bevuta, belle donne e sprezzo del pericolo almeno quanto il punzecchiarsi tipico del buddy movies: in effetti, se fosse possibile mettere in parole il suono di quei colpi, o la tranquillità quasi lebowskiana trasmessa dalla lettiga trascinata dal cavallo di Trinità, tutte queste parole, benchè omaggio ad un'epoca d'oro alla quale vorrò sempre bene, non servirebbero.
Resterebbe soltanto una dimensione d'amore per il Cinema, ed il piacere di ricordare i momenti in cui questo viaggio di Frontiera che continuo ad avere la fortuna, il piacere e l'onore di intraprendere ogni giorno è iniziato.
E sarà pure un piatto di fagioli da poco, ma esiste poco altro di così godurioso e nutriente.




MrFord




"He's the guy who's the talk of the town
with the restless gun.
Don't shoot broad out to fool him around
keeps the varmints on the run, boy-
keeps the varmints on the run.
You may think he's a sleepy tired guy
always takes his time."
Franco Micalizzi - "Lo chiamavano Trinità" -





venerdì 29 maggio 2015

A girl walks home alone at night

Regia: Ana Lily Amirpour
Origine: USA, Iran
Anno:
2014
Durata:
101'






La trama (con parole mie): per le strade desolate e certo non sicure di Bad City, in Iran, una comunità di disadattati, criminali, senzatetto, dipendenti dalle droghe e vagabondi cerca, giorno dopo giorno, di trovare la propria dimensione e sfidare la sopravvivenza.
Quando una ragazza decide di scoprire quali saranno i suoi passi proprio in quei luoghi, si troverà ad affrontare ed incrociare le vicende degli abitanti, senza che gli stessi sappiano, se non troppo tardi, della sua natura vampirica: ed in bilico tra la morte, il castigo, la libertà, l'amore e la scoperta - di se stessi e degli altri - tutto finirà per cambiare ad ogni incontro.
Dove porterà, dunque, il suo peregrinare?
Cosa nascondono le ombre della ricerca, del desiderio di trovare la persona in grado di cambiare il percorso del viaggio?
Neppure il sangue e la notte pare possano conoscere la verità.










Dai tempi in cui il Saloon ha aperto i battenti, spesso e volentieri è capitato che alcuni titoli, purtroppo non distribuiti in Italia, assurgessero a cult a seguito del tam tam che proprio la rete garantiva, un blog dopo l'altro, ed una recensione dopo l'altra: da Enter the void a Dogtooth, passando per Mud, spesso e volentieri mi sono trovato a sperimentare sulla pelle il fascino di titoli che, se non avessi avuto un blog o una finestra sul mondo del Cinema filtrato dalla realtà che qui costruiamo ogni giorno, non avrei mai potuto apprezzare e vivere.
Uno degli ultimi in ordine di tempo è stato questo interessante A girl walks home alone at night, prodotto dal sapore molto americano - pur se alternativo - per quanto realizzato da una regista espressione della nuova gioventù mediorientale in fermento, che con il suo carattere forte e le influenze mostra i lati positivi e negativi che una volontà ed un desiderio come questi portano in dote.
Perchè questo affascinante film, che mostra pregi come inventiva, una fotografia mozzafiato, una colonna sonora da urlo, il farsi sfruttato non come una lingua antica, bensì come una parte del mosaico moderno della condivisione culturale, risulta anche estremamente derivativo - fin troppo -: da Tarantino a Sergio Leone e lo Spaghetti Western - bellissimi i titoli di testa, a tal proposito -, passando per riferimenti a The Addiction di Abel Ferrara, Point Break, il Cinema espressionista, tutto pare frutto del lavoro di una studentessa brillante ancora incapace, però, di trovare una propria personalità all'interno dell'oceano di ispirazioni ed informazioni che rappresenta la settima arte.
Come se non bastasse, e nonostante gli spunti notevoli, le sequenze memorabili ed il setting senza dubbio ipnotico, A girl walks home alone at night mi è parso difettare notevolmente in termini di ritmo, portando a tratti sullo schermo quella pesantezza tipica dei prodotti autoriali privi di spessore che finiscono per risultare indigesti e decisamente sopravvalutati - un esempio su tutti, il terribile Under the skin -, finendo, in termini di pellicole ad ispirazione vampirica, per essere associato più al mediocre Solo gli amanti sopravvivono che non al già citato - e notevole - The addiction.
Eppure, a differenza di molti lavori che nel corso degli anni mi è capitato di bottigliare in questa sede, quello di Ana Lily Amirpour risulta animato dallo spirito e dalla passione di una regista che dimostra di avere gusto, carattere ed idee, oltre ad una visione ben precisa ed assolutamente critica di quello che accade nella sua terra d'origine, sfruttando l'insieme di questi fattori per confezionare un racconto profondamente di genere in grado, comunque, di portare a galla critiche sociali importanti ed attuali.
Senza dubbio non si tratta di un prodotto in grado di giungere ad ogni tipo di pubblico, o di superare la barriera a volte limitante del Cinema d'essai, eppure ho avuto l'impressione - o forse, più l'idea di una scommessa - che sentiremo ancora parlare di questa ragazzaccia che, con ogni probabilità, si vede come una nomade per le strade del mondo e della settima arte almeno quanto la sua vampira, e che, potrebbe essere, una volta o l'altra potrà davvero trovare quello che cerca.
Sempre come la protagonista.
Quello che possiamo sperare, come spettatori e "critici", o meglio ancora come viaggiatori che ogni giorno possono incrociare il cammino di un gatto o di una succhiasangue, di vite invisibili o buttate ed altre profondamente godute, è sperare che tutto vada per il meglio, e che Ana Lily non si perda per le strade di un mondo che ha appena iniziato ad esplorare oltre una realtà che, senza dubbio, le stava troppo stretta.




MrFord




"Don't wanna wait 'til you know me better
let's just be glad for the time together
life's such a treat and it's time you taste it
there ain't a reason on earth to waste it
it ain't a crime to be good to yourself."
Kiss - "Lick it up" - 





giovedì 28 maggio 2015

Thursday's child

La trama (con parole mie): alle spalle una settimana con poche uscite - dunque meno probabilità di rimanere in qualche modo scottati dalle delusioni o dalle castronerie del mio rivale Cannibal Kid, torniamo a pieno regime con un weekend che si preannuncia ricco di uscite per tutti i gusti, dal filo autoriale al tamarro senza pietà.
Ricco di uscite, però, non significa necessariamente ricco in termini di qualità.
Quantomeno, speriamo di divertirci.


"Che giornata infame: mi tocca perfino andare a salvare quel pusillanime di Peppa Kid!"

Pitch Perfect 2

"Andiamo a trovare la nostra reginetta: Katniss Kid."
Cannibal dice: Il primo Pitch Perfect, uscito in Italia con il titolo Voices, era una commedia adolescenzial-musicale super gradevolissima. Pur non essendosi trasformato in un mio cult assoluto e pur non sopportando la pratica dei sequel, mi sa che questo Pitch Perfect 2 rientrerà tra le mie future visioni. Quanto al vecchio Ford, avrà saputo dell'esistenza di questo film giusto scoprendo che al botteghino americano Pitch Perfect 2 ha fatto un culo tanto al suo amato Mad Max: Fury Road.
Ford dice: il primo Pitch Perfect, uscito qualche anno fa, riuscì ad intrattenermi e sorprendermi in positivo generando, tra l'altro, in casa Ford, il tormentone della cup song che vide Julez esercitarsi di continuo per realizzarne una versione più perfetta possibile.
Ovviamente sempre Julez non vede l'ora di affrontare il sequel, e penso che quattro risate riuscirà a strapparle anche al sottoscritto, nonostante non si possa certo parlare del film dell'anno.



San Andreas

"Eccolo laggiù, quel pusillanime. Ora scendo, e prima di salvarlo gli sparo due cartoni."
Cannibal dice: Un film catastrofico con protagonista The Rock? Ma cos'è 'sta merdata? Più che un film sembra un sogno ad occhi aperti di Ford.
Come dite?
Nel cast c'è anche la splendida Alexandra Daddario?
Ma allora corro subito a prenotare il biglietto del cinema!
Ford dice: onestamente, non ho mai amato particolarmente questo tipo di film catastrofici, preferendo sempre e comunque l'action pura. Devo ammettere, però, che con l'avvicinarsi dell'estate il bisogno di mandare in vacanza i neuroni cresce, dunque penso che darò volentieri una chance sia a The Rock che alla bravissima - e sottolineo bravissima - Alexandra Daddario.
Tutto questo nella speranza che un terremoto di proporzioni bibliche colpisca in breve tempo la cameretta di Peppa Kid.



Il fascino indiscreto dell'amore

"Questa posa è così radical chic che Ford starà già preparando le bottiglie."
Cannibal dice: Pellicola francese che si preannuncia super radical-chic ispirata a un romanzo di Amélie Nothomb, autrice di cui colpevolmente ammetto di non aver mai letto nulla, ma che mi ha sempre attratto parecchio. Questo film potrebbe finalmente spalancarmi le porte del suo mondo e potrebbe anche essere il mio film della settimana, del mese, forse della vita. Sperando non si riveli invece una delusione pazzesca.
Ford dice: radicalchiccata francese alla massima potenza. Inutile dire che, con la marea di recuperi che ho in ballo, non rientri nella lista del sottoscritto neanche per sbaglio.
Mi accontenterò di leggere le sbrodolate del mio rivale quando lo recensirà.



The Tribe

"E dopo questa, Ford starà preparando almeno il doppio delle bottiglie."
Cannibal dice: Uh, bene! Questo film ucraino rischia di essere uno di quei film estremi, provocatori e trasgressivi che tanto scandalizzano quel moralista benpensante repubblicano di Mr. Ford. Sento puzza di incrocio tra von Trier e Haneke, anche se potrebbe essere solo l'odore del mio blogger rivale che se l'è appena fatta addosso a dover affrontare una visione del genere.
Ford dice: secondo titolo sulla carta molto radical della settimana, che potrei recuperare giusto per l'incertezza che genera rispetto alla possibilità di sorprendermi in positivo o prendersi una valanga di bottigliate.
Per quanto riguarda Cannibal, invece, le speranze sono ormai morte e sepolte.



Louisiana (The Other Side)

Tipico momento di relax tamarro tipicamente fordiano.
Cannibal dice: Il quarto film italiano in concorso a Cannes, sebbene nella sezione “minore”, pardon “parallela” Un Certain Regard, rischia di essere piuttosto interessante. Sebbene la sua natura documentaristica lo porti più in territori fordiani e quindi lontani anni luce da me. Per vederlo rischierò il salto nell'other side?
Ford dice: ho letto discretamente bene del film "minore" in concorso a Cannes giunto dal Bel Paese, e devo ammettere che, a partire dal titolo e dall'ambientazione, l'idea mi ispira parecchio.
Certo, potrebbe sempre rivelarsi una cosa da Festival ed incorrere nelle mie ire, ma cercherò di sfogarmi con il Cucciolo Eroico in modo da non essere troppo carico il fatidico giorno della visione.



Il libro della vita

"E così quello è il famigerato Cannibal Kid: è ancora più mostruoso di quanto si dice in giro."
Cannibal dice: Pellicola di animazione prodotta da Guillermo Del Toro, un nome che per me di solito è sinonimo di fuffa sopravvalutata. Passo quindi volentieri questa bambinata/forsenontroppobambinata a quel bambinone/forsetroppobambinone di Ford.
Ford dice: è curioso come l'aumento delle proposte settimanali in sala abbassi - per non dire abbatta - la voglia di passare una serata in sala. Così come il fatto di passare da dietro la macchina da presa al cartellone - specie con la dicitura "Prodotto da" - finisce per non portare bene a nessun regista. Spero solo che Del Toro questo lo sappia.
Che il Cannibale, invece, non capisca nulla di Cinema, quella ormai è una cosa assodata.



Lo straordinario viaggio di T.S. Pivet

Perfino i genitori di Peppa, stanchi delle sue bislacche opinioni cinematografiche, hanno deciso di sbatterlo in mezzo alla strada.
Cannibal dice: Altra bambinata della settimana, per di più diretta da Jean-Pierre Jeunet, già autore di uno dei film più sopravvalutati di tutti i tempi: Il favoloso mondo dell'insopportabile Amélie.
E dicendo questo mi sa che ho attirato l'odio di un bel po' di lettori, ma tanto ormai le mie quotazioni sono più in ribasso di quelle di Mr. Ford, quindi pazienza.
Ford dice: il buon Jeunet, che conobbe la sua stagione d'oro all'inizio degli Anni Zero grazie al fenomeno Amelie - film carino, ma enormemente sopravvalutato - e che in seguito proseguì la carriera con alti e bassi, torna sul grande schermo con un titolo che mi ispira poco e niente come tutto quello che non sia sguaiato in questo periodo dell'anno.
Per il momento passo, un po' come quando mi tocca leggere certe opinioni del mio antagonista.



Pitza e datteri

"Stanno arrivando Ford e Cannibal!" "Corro a nascondermi, allora. Quei due mi fanno paura."
Cannibal dice: Pellicola multietnica nostrana da cui non so bene cosa attendermi. Considerando però il buono stato di salute di cui gode il cinema italiano attuale, checché ne dica quel pirla di Ford e quei pirloni dei Coen, mi sa che questa Pitza e datteri potrebbe anche non avere un gusto troppo malvagio.
Ford dice: la mia personale crociata di diffidenza rispetto al Cinema italiano non è certo finita con i mancati riconoscimenti a Moretti, Garrone e Sorrentino a Cannes, o la scelta di ignorare, di fatto, quasi tutte le proposte "alternative" prodotte nella Terra dei cachi e malamente distribuite in sala. Dunque questo titolo pseudo alternativo finirà con tutti i suoi colleghi nel dimenticatoio, dove probabilmente verrà scaricato senza neppure avere la chance di una copertura di sale recenti.



Hybris

"Ma che razza di film abbiamo girato!?"
Cannibal dice: Vedendo il trailer di questo thriller soprannaturale amatoriale italiano con un attorone come Guglielmo “Willwoosh” Scilla mi viene subito voglia di rimangiarmi quanto detto qui sopra sul cinema nostrano. Ma non lo farò, giusto per il gusto di non darla vinta al Ford.
Ford dice: come scrivevo sopra rispetto al "Cinema" italiano. Passiamo oltre.



Soundtrack - Oltre ogni ragionevole desiderio

E per la prima volta nella storia di questa rubrica, non è stato possibile reperire alcuna immagine riferita al film in questione. Neanche fosse lo sfuggente Peppa Kid.
Cannibal dice: Thriller italiano di cui non sono riuscito a trovare alcun trailer o immagine, ma che MYmovies indica in uscita questa settimana. Siamo sicuri?
E soprattutto, a qualcuno frega?
Il film comunque è in corsa per un premio: quello di peggior titolo dell'anno.
Ford dice: Passiamo oltre. Davvero e una volta per tutte.


mercoledì 27 maggio 2015

Generazione 1000 euro

Regia: Massimo Venier
Origine: Italia
Anno: 2009
Durata:
101'




La trama (con parole mie): Matteo, matematico riciclatosi nel marketing, e Francesco, proiezionista appassionato di Cinema e playstation, sono due trentenni prede dell'attuale situazione italiana, da sempre precari e costretti ad un compromesso dietro l'altro per arrivare a fine mese.
Quando il loro coinquilino abbandona la stanza facendosi sostituire dalla cugina Beatrice, che attende di diventare una supplente, e Matteo rompe con la storica fidanzata, gli affari si complicano: a rendere la formula ancora più instabile tocca poi ad Angelica, capo dello stesso Matteo e possibile svolta della vita lavorativa di quest'ultimo.
Cosa accadrà quando si tratterà di scegliere quale strada prendere?
Vinceranno il lavoro e l'affermazione o i sentimenti?







Esistono pellicole che, siano esse novità o ancor più recuperi, immagino sia davvero difficile immaginare sugli schermi del Saloon: una di queste è senza dubbio Generazione mille euro, commedia agrodolce di qualche anno fa che ai tempi dell'uscita in sala non mi sarei sognato di vedere neppure sotto tortura caduta nel dimenticatoio dove pensavo sarebbe rimasta.
Quando, però, il buon Davidone - uno dei piccoli aiutanti di Babbo Natale che qualche mese fa abbiamo avuto come sostegno al lavoro -, venuto a conoscenza dell'esistenza del blog ed insistito affinchè recuperassi questo ed un altro titolo che per ora non svelerò - ma che, di fatto, potrebbe risultare ancora più improbabile - si è presentato un giorno con il dvd alla mano, non ho potuto resistere, con l'idea in testa che, in un periodo di volume di lavoro decisamente importante, non mi sarebbe dispiaciuto massacrare un filmetto tanto per passare una serata: e nonostante il voto e la coscienza che si tratti, di fatto, di un filmetto derivativo ed in parte quasi amatoriale, devo ammettere che la visione non è stata certamente il massacro che mi sarei aspettato, finendo per strappare qualche risata e per ricordare i ben più interessanti Santa Maradona e L'appartamento spagnolo, titoli ai quali Venier pare essersi ispirato e non poco nel corso della realizzazione di questo film.
L'ambientazione milanese ed il cast - che ha riportato sugli schermi di casa Ford il mai dimenticato Seppietta di Boris ed è riuscito nell'intento di far risultare sopportabile anche Mandelli, così come di confermare la netta vittoria di Valentina Lodovini su Carolina Crescentini, colpevole anche di mostrare mani meno brutte soltanto di quelle di Megan Fox - hanno di fatto alleggerito una serata schiacciata dalla stanchezza come pochi altri titoli di quel periodo, convincendo anche Julez e riproponendo il vecchio tema dell'amicizia virile - più in versione studentesca che altro, ma va bene anche così - e quello dei dilemmi esistenziali/sentimentali che spesso e volentieri colpiscono nei momenti in cui non si sa quale direzione potrebbe prendere la propria vita.
Per quanto, inoltre, siano passati cinque anni buoni dall'uscita di questo film, la situazione che lo stesso critica a proposito della condizione dei giovani qui nel Bel Paese non pare proprio essere cambiata, come testimoniano prodotti più recenti ma associabili a Generazione mille euro come Smetto quando voglio: la situazione, per i ragazzi appena usciti dalle superiori o dall'università, così come per i trentenni che almeno sulla carta dovrebbero già essere "avviati" è decisamente allarmante, come testimonia l'altissimo numero di precari o disoccupati in attesa di un'occasione che potrebbe non arrivare mai, o di un riscatto che, a volte, pare possibile soltanto lontano dall'Italia.
Proprio legato a questi dilemmi è il protagonista Matteo, tipico outsider con il fascino del Goonie che finisce per cedere soltanto nel finale - così come il film - alle concessioni che la commedia sentimentale fornisce al grande pubblico, riuscendo a rovinare le cose migliori che Venier e soci erano riusciti a costruire nel corso dell'ora e mezza precedente all'epilogo: un peccato, perchè la sorpresa sarebbe stata sicuramente maggiore se si fosse manifestato il coraggio di portare sullo schermo un prodotto che andasse fuori dagli schemi, e che regalasse una chiusura magari proprio in una delle città che qui al Saloon amiamo di più, Barcellona.
Ma a prescindere dalle critiche, già il fatto che la visione non si sia trasformata in un massacro rende Generazione mille euro un piccolo successo - a modo suo, sia chiaro -, finendo per accontentare il buon Davidone - che si ritroverà ad accettare un voto comunque basso - così come il sottoscritto, che nel deserto rappresentato dal Cinema italiano attuale ogni tanto è contento di ritrovarsi, seppur a malincuore, felice di essere nato e cresciuto qui.




MrFord




"Un viaggio ha senso solo senza ritorno
se non in volo
senza fermate nè confini
solo orizzonti neanche troppo lontani
io mi prenderò il mio posto
e tu seduta lì al mio fianco
mi dirai destinazione paradiso
paradiso città."
Gianluca Grignani - "Destinazione paradiso" - 




martedì 26 maggio 2015

Cake

Regia: Daniel Barnz
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 102'






La trama (con parole mie): Claire Bennett, straziata nel corpo e nello spirito da anni a seguito di un incidente stradale che l'ha privata del figlio, si rifugia in un'esistenza costruita attorno agli antidepressivi e sulle spalle della salda Silvana, sua confidente, domestica e coscienza.
Quando la giovane Nina Collins, sua compagna in un gruppo di terapia, si suicida lasciando marito e figlio, per Claire inizia un percorso che la vede rapportarsi non solo con gli stessi Collins, ma anche e soprattutto con un mondo esterno contro il quale è stata in guerra dal giorno in cui tutto, nella sua realtà quotidiana, è apparentemente finito.
Riuscila donna a venire a patti con il passato e se stessa, le medicine e la rabbia, il dolore ed il futuro, in modo da poter ricominciare a guardare il mondo faccia a faccia, piuttosto che rintanata su un sedile reclinato?






  



Il tempismo, che si parli di Cinema, Musica, Arte in generale o della Vita, è sicuramente un fattore importante non solo per la riuscita di un progetto o di un'impresa, ma anche per la percezione dello stesso.
A volte capita, come per un appuntamento che non funziona, di uscire con una persona interessante, carina, piacevole, magari anche intensa, e di non trovare alcun motivo per rivederla.
Con la visione di Cake è andata proprio in questo modo: probabilmente, se Daniel Barnz avesse portato sugli schermi un prodotto di questo tipo una decina d'anni fa, quando ancora titoli legati al superamento del dolore non apparivano inflazionati come oggi, la vicenda di Claire Bennett sarebbe risultata molto più potente ed innovativa di quanto non appaia oggi, a pochi mesi di distanza dall'uscita di un film associabile a questo e decisamente più incisivo come Still Alice.
In realtà, però, non vorrei calcare troppo la mano su Cake, che ha come unica colpa il fatto di non incidere quanto avrebbe potuto pur raccontando una storia onesta ed emozionante, azzeccando un personaggio che da solo regge l'intera pellicola - la domestica Silvana, interpretata da un'ottima Adriana Barraza - e regalando un paio di sequenze decisamente interessanti - il viaggio in Messico alla ricerca degli antidepressivi su tutte -: di fatto, il problema è che, una volta terminata la visione, resta poco impresso nella memoria soprattutto emotiva, quasi come se non riuscisse a travolgere come vorrebbe neppure nei momenti in cui la commozione e l'empatia con i protagonisti prendono il sopravvento.
Eppure la vicenda di Claire ed il suo progressivo ritorno ad affacciarsi alla vita a seguito di un dramma tra i più difficili da affrontare per una persona - genitori o no che si sia - è raccontata con onestà e la pancia che servono, ed osservare l'inevitabile percorso compiuto per passare dall'apnea al respiro profondo, dal sedile reclinato completamente allo sguardo sulla strada - e sulla vita, e sul mondo -, dalla propria famiglia perduta a quelle della confidente in proiezione Nina e dell'uomo responsabile della sua perdita - il sempre apprezzato William Macy, presente giusto in una scena e probabilmente legato alla partecipazione della compagna Felicity Huffman - è interessante e coinvolgente.
Peccato che, a conti fatti, tutto torni alla situazione iniziale dell'appuntamento che va liscio come l'olio destinato ugualmente ad essere l'unico e l'ultimo con chi abbiamo di fronte: tutto funziona, ma solo uno sbiadito ricordo resta.
Una visione, comunque, che non mi sento di sconsigliare, che resta in grado di emozionare e perfino a convincere nelle sue componenti più deboli - Sam Worthington, spesso e volentieri massacrato dagli snob, mi è parso anche convincente, probabilmente aiutato da un charachter molto profondo -, scritto discretamente e decisamente più onesto rispetto sia a pellicole da radical Sundance che a sbrodolate retoriche da blockbuster con lacrima facile.
Nel frattempo, io spero di non avere mai modo di percorrere la strada in salita di Claire Bennett - una convincente ma non così miracolosa Jennifer Aniston, che mostra forse più di non avere il talento di altre sue colleghe, piuttosto che paghi il fatto di imbruttirsi per portare a casa premi certi - e che Barnz, in futuro, sappia essere più che un bell'appuntamento pronto per essere dimenticato.
In fondo, le potenzialità per fare un passo oltre le ha tutte.




MrFord




"I only wanted to be sure
that what it was was really pure.
I put my face down in the cake.
My feet were flailing in a lake."
Cake - "Up so close" - 




lunedì 25 maggio 2015

Cannes 2015

La trama (con parole mie): si è concluso ieri sera il sessantottesimo Festival di Cannes, forse l'appuntamento più prestigioso tra i grandi rendez vous di ogni stagione cinematografica.
La Giuria presieduta dai Fratelli Coen si è trovata di fronte una selezione di autori e titoli sulla carta decisamente interessante, che vedeva tra le sue fila ben tre cineasti italiani, i celebrati Nanni Moretti, Paolo Sorrentino e Matteo Garrone.
Come si sarà dunque conclusa la kermesse? Sarà riuscita la compagine italiota a portare a casa almeno uno dei premi?
Senza dubbio, e qualunque sia stata la decisione finale della Giuria, ci sarà, come sempre, da discutere.







E così, i giochi sono fatti anche quest'anno, per quel che riguarda la Palma d'oro.
I quotidiani italiani, online e non, portano già in prima pagina lo "scandalo" di una sconfitta del nostrano trio delle meraviglie composto da Moretti, Sorrentino e Garrone, lasciati completamente a secco di riconoscimenti - a meno che non si sfrutti come salvagente il premio della giuria ecumenica a Moretti -, come se la loro presenza bastasse a giustificare una vittoria, o quasi.
Non essendo ancora riuscito a confrontarmi con nessuno dei lavori portati dai nostri in concorso - personalmente, in ordine di preferenza, spero di confrontarmi al più presto con Youth, Mia madre e dunque Il racconto dei racconti - o tantomeno con gli altri - vincitori e non - scrivo sull'onda dell'impressione e dell'emozione, e non posso che essere soddisfatto - nonostante il campanilismo che in questi casi desta sempre qualche sospetto, quasi l'organizzazione faccia comunque pressioni sulla Giuria - della vittoria di Audiard, un regista con grandi palle che nel corso della sua carriera è andato in crescendo, che ricordo ai tempi in cui scoprii grazie a Sulle sue labbra così come allo strepitoso Il profeta ed al passionale Un sapore di ruggine e ossa.


Un brindisi se lo guadagna anche il premio in ex aequo per l'interpretazione femminile, giunto a valorizzare il nuovo lavoro della regista Maiwenn, che non vedo l'ora di affrontare considerato l'ottimo Polisse di qualche anno fa, e nonostante la mia antipatia anche a Lanthimos, che pare essere riuscito a colpire con il suo The Lobster così come fece con Kynodontas.


Il premio alla regia di Hou Hsiao Hsien può essere una strizzata d'occhio agli spettatori più radical - anche se il mio ricordo di Millennium Mambo è ancora oggi ottimo -, mentre il riconoscimento a Vincent Lindon - che onestamente conosco poco e niente -, quello a Franco per la sceneggiatura ed il Gran Premio a Nemes mi lasciano tutto sommato indifferente.


Un Festival che accontenterà alcuni e lascerà l'amaro in bocca a molti, come del resto accade sempre in queste occasioni: per quanto mi riguarda, sono più che felice di avere, almeno sulla carta, ottimo materiale di visione per il resto di un'annata che, fino ad ora, ha riservato più delusioni che altro.




Ed ecco la lista dei vincitori:

Palma d’oro Dheepan, Jacques Audiard
Grand prix Saul fia (Il figlio di Saul), László Nemes
Premio della giuria The lobster, Yorgos Lanthimos
Miglior regia Nie Yinniang, Hou Hsiao-Hsien
Miglior attore Vincent Lindon, La loi du marché
Miglior attrice (premio ex aequo) Rooney Mara, Carol, e Emanuelle Bercot, Mon roi
Miglior sceneggiatura Chronic, Michel Franco
Miglior cortometraggio Wave 98, Ely Dagher



MrFord



 

domenica 24 maggio 2015

Terminator 2 - Il giorno del giudizio

Regia: James Cameron
Origine: USA, Francia
Anno: 1991
Durata:
137'






La trama (con parole mie): dieci anni dopo i drammatici eventi che videro Sarah Connor sopravvivere a stento all'attacco del primo Terminator inviato per ucciderla, incinta del suo salvatore Kyle Reeves, morto nel tentativo di fermare proprio l'automa killer, la donna è considerata una psicopatica e sconta una pena in un istituto psichiatrico correzionale a Los Angeles, mentre il giovanissimo John, sbruffone e delinquente in erba, passa da una famiglia affidataria all'altra.
Dal futuro, una volta ancora, giungono due emissari: uno di Skynet, intelligenza artificiale a capo dei robots, ed uno inviato dalla Resistenza umana.
Il primo è il nuovo, terrificante modello di Terminator, il T-1000, realizzato interamente in metallo liquido. Il secondo è il vecchio e solido T-800, che dieci anni prima, con lo stesso volto, venne inviato nel passato allo scopo di uccidere Sarah.
Questa volta, però, l'assassino di un tempo potrebbe diventare non solo un salvatore, ma addirittura un compagno per affrontare un'Apocalisse che pare imminente.








Il primo ricordo che ho di Terminator 2 è uno tra i più belli che potrei conservare nella mia carriera di spettatore: spinti dalla curiosità del sequel di un film che aveva appassionato in egual misura me, mio padre e mio fratello - che, effettivamente, forse fosse stato oggi sarebbe stato considerato troppo piccolo per una visione di questo tipo -, entrammo in una sala stipata - figlia dei tempi in cui non esistevano posti numerati, e si finiva anche a stare spesso e volentieri seduti lungo i corridoi o in piedi oltre le ultime file - per tuffarci in una delle esperienze da grande schermo più intense della mia infanzia, della quale parlammo per tutto il tragitto di ritorno in metropolitana verso casa, in una di quelle domeniche che parevano magiche e infinite e che, nel corso della vita, finiscono per ripetersi soltanto una volta diventati padri.
Amarcord ed affetti a parte, però, il fatto è che Terminator 2 - Il giorno del giudizio resta uno dei capisaldi del genere nonchè dei più grandi cult anni novanta, perfetto nell'equilibrio tra azione serrata e tensione, visioni da sci-fi pura ed adrenalina tipica dell'action, tecnica perfetta ed un elemento emozionale che ha nel finale uno dei climax più toccanti che il mio io fanciullesco ricordi - quel pollice alzato nella fonderia ancora oggi mi procura brividi lungo la schiena -.
Per chi, come il sottoscritto, lo vide praticamente alla stessa età del John Connor protagonista - un giovanissimo Edward Furlong, poi perdutosi sulla via del successo -, Terminator 2 rappresenta tutto quello che un pre-adolescente potrebbe in qualche modo sognare: faccia tosta, un computer in grado di decrittare i codici degli sportelli bancomat, un robot potenzialmente killer proveniente dal futuro pronto ad obbedire agli ordini e dare tutto, ed anche di più, come se fosse una sorta di distorto padre - in questo senso, è da brividi la riflessione della disillusa e combattiva Sarah in proposito - e la possibilità di cambiare non solo il proprio destino, ma anche quello del mondo attraverso un'avventura rischiosa, tesissima ed oltre ogni più sfrenata fantasia.
A prescindere, comunque, dai coinvolgimenti personali, questo Judgement Day rappresenta una delle vette del Cinema di fantascienza action degli ultimi trent'anni, impreziosito da effetti clamorosi per l'epoca - il T-1000 è ancora una meraviglia - e da una serie di sequenze indimenticabili una dopo l'altra, dall'inseguimento tra moto e camion alla fuga di Sarah dall'ospedale psichiatrico, passando poi per l'incredibile confronto tra il Terminator assassino e quello "guardiano" a partire dalla Cyberdyne per giungere alla fonderia teatro dello scontro finale: James Cameron, che diverrà decisamente più noto in seguito per Titanic e Avatar - entrambi, nel loro clamoroso successo ed essere incarnazioni del concetto di blockbuster, assolutamente perfetti -, confeziona un prodotto di fattura tecnica pazzesca, ma non per questo freddo come l'antagonista che propone o fin troppo tutto d'un pezzo come il protagonista - i siparietti tra John e il Terminator e la progressiva umanizzazione del secondo ripercorrono la strada compiuta da tutto il Cinema d'avventura adolescenziale degli anni ottanta -, in grado di colpire a più livelli ed ancora oggi, a quasi venticinque anni dall'uscita, assolutamente strepitoso.
Ed è curioso come ora, lontani gli spauracchi dei tempi delle guerre atomiche e delle intelligenze artificiali - in fondo, siamo più vicini al duemilaventinove dei Terminator che non al millenovecentonovantuno di questo film -, mi tocchi nel profondo il fatto che la fantasia di Sarah Connor, che vede come compagno in un mondo pazzo il T-800 in quanto unico che non picchierebbe, sgriderebbe, andrebbe contro i desideri del piccolo John, e non si fermerebbe davanti a nulla pur di proteggerlo, perchè sono le stesse cose che penso e sento e vivo rispetto al Fordino: merito di un titolo che, pur scavando nella fantascienza e nei viaggi nel tempo, nell'azione e negli effetti da rimanere a bocca aperta, nel Cinema della meraviglia, resta figlio di un'umanità profonda e sentita.
La stessa che conduce Sarah e John a costruirsi da soli il proprio destino.
Il domani.
La stessa che porta il Terminator a comprendere le lacrime.
E ad alzare quel pollice.




MrFord




"We walk toward desire,
hand and hand
through fields of fire
with only love to light the way
on the road to Judgement Day."
Whitesnake - "Judgement day" -






sabato 23 maggio 2015

Terminator

Regia: James Cameron
Origine: USA, UK
Anno: 1984
Durata: 107'






La trama (con parole mie): siamo nel pieno della primavera dell'ottantaquattro a Los Angeles quando dal distopico futuro del duemilaventinove, dominato dalle macchine e tenuto in vita da un gruppo di umani ribelli guidati da John Connor, giungono due guerrieri con missioni diametralmente opposte. Da un lato c'è un Terminator, organismo cibernetico rivestito di tessuto vivente, inviato dal computer Skynet per uccidere la trentacinquenne Sarah Connor, futura madre del rivale delle macchine John, e dall'altro il soldato profondamente umano Kyle Reeves, che ha il compito, assegnatogli proprio dal leader della resistenza umana nonchè suo migliore amico, di proteggerne la madre.
Cosa accadrà quando Sarah si troverà di fronte ad un destino futuro che non sa ancora di dover affrontare? E la battaglia tra i due visitatori che conseguenze avrà sul presente?








Ai tempi in cui vidi per la prima volta Terminator ero praticamente ancora un bambino, e non avevo assolutamente idea di quanto importante sarebbe stato il ruolo del Cinema nella mia vita - benchè, con mio fratello, già ci si stordisse a furia di videocassette consumate una dietro l'altra negli anni d'oro del noleggio -: ricordo, però, che rimasi impressionato da quel robot dagli occhi rossi che appariva praticamente invincibile, così determinato nella fredda esecuzione della sua missione da non dare alcuna speranza che le cose per i due protagonisti potessero in qualche modo mettersi bene.
Senza contare che quello stesso organismo cibernetico portava il volto e l'espressione granitica di Arnold Schwarzenegger, che ai tempi avevo conosciuto e già mitizzato per i due Conan, e che dunque appariva ai miei occhi come una sorta di supereroe positivo, più che un automa assassino.
Gli anni sono passati, e le visioni di quelli che ancora oggi considero come i due unici e veri Terminator si sono susseguite lasciando spazio anche all'opinione "critica" dell'appassionato, che ha finito per stimolare una due giorni dedicata alle gesta di Sarah e John Connor e dei loro alleati e nemici provenienti dal futuro da proporre qui al Saloon.
Dovendo scegliere un favorito, ho sempre preferito il sequel a questo primo lavoro di James Cameron dedicato ai Terminator, eppure, nonostante il passare degli anni e l'ovvio effetto vintage di tutto il comparto tecnico, trovo che questo numero uno sia assolutamente invecchiato alla grande, oltre ad aver, di fatto, settato uno standard in grado di mescolare l'esperienza di un survival horror al gusto unico delle grandi produzioni sci-fi, inserendo nel cocktail anche una dose più che robusta di thrilling ed azione ed un'attenzione notevole al sempre affascinante mondo dei viaggi nel tempo.
L'incrocio tra le esistenze di Kyle Reeves - il cui volto attoriale, Michael Biehn, sarà uno dei protagonisti anche di un altro grande successo di James Cameron, Aliens: Scontro finale - e di Sarah Connor, orchestrato dal futuro dal figlio di quest'ultima John, leader della resistenza umana, richiama le grandi saghe della Letteratura di fantascienza ed ha finito senza dubbio per essere di ispirazione per molte opere successive, e l'alchimia di questo elemento "complesso" con l'aggressiva e terrificante avanzata del Terminator produce un effetto che ancora oggi rende questo film assolutamente senza pause, graziato da un ritmo che neppure il suo pure più riuscito sequel non è stato in grado di eguagliare.
Perfino i passaggi più artigianali e fisici in qualche modo segnati dagli oltre trent'anni trascorsi dalla realizzazione - come le due strepitose sequenze dell'occhio e della prima apparizione del Terminator "nudo" tra le fiamme - riescono ad affascinare come se fossimo nel pieno di quegli anni ottanta fatti di pettinature improbabili ed accostamenti tra oscurità urbana e colori saturi e strade bagnate per le riprese notturne, e in un qualche Cinema, lontani dalle future realtà di internet e delle nuove tecnologie, staremmo con il fiato sospeso osservando Sarah e Kyle lottare non solo per le loro vite, ma per quella futura di un figlio che ha accettato, compreso e voluto l'incontro dei suoi genitori.
Quest'idea, che in un certo senso ribalta il concetto di concepimento e traccia una via per il destino al contrario, è una delle più interessanti, coinvolgenti e geniali di questo supercult, che dietro l'avanzata apparentemente inarrestabile del suo "cattivo" cela una trama ricca di spunti e riflessioni, forse in una certa misura figlia del suo tempo - il terrore di un prossimo futuro dominato dalle macchine a seguito di un olocausto nucleare tipico degli anni della Guerra fredda - eppure profondamente attuale anche oggi, con le dovute proporzioni del caso.
Considerato che si parla di viaggi nel Tempo, direi che anche Terminator, nel suo essere film, è stato fedele ai protagonisti di cui narra le gesta.




MrFord




"We’re scanning the scene in the city tonight
we’re looking for you to start up a fight
there’s an evil feeling in our brains
but it’s nothing new, you know it drives us insane."

Metallica - "Seek and destroy" -