Regia: Valerie Donzelli
Origine: Francia
Anno: 2011
Durata: 100'
La trama (con parole mie): Romeo e Juliette sono due giovani aspiranti attori che si conoscono ad una festa. Tra loro, a partire dai nomi "da destino tragico", nasce da subito un legame che si concretizza in una storia d'amore e nella nascita del piccolo Adam.
I genitori della ragazza aiutano la coppia ad acquistare un appartamento, e tutto pare risolversi nel migliore e più normale dei modi, con la costruzione progressiva di una famiglia: ma il piccolo presenta numerosi problemi e pare non avere una crescita normale, tanto da allarmare i due giovani alle prese con episodi sempre più allarmanti.
Purtroppo, al bambino viene riscontrato un tumore al cervello molto raro ed aggressivo: Romeo e Juliette dovranno farsi forza l'un l'altra ed iniziare la battaglia per riuscire a sopportare il dolore di un evento di questo tipo e rimanere saldi accanto al figlio, qualunque cosa accada.
Fin dall'apertura di questo saloon cinematografico, il momento delle bottigliate è sempre stato uno dei miei preferiti: prendere un film colpevole di aver tradito le mie aspettative della vigilia e bastonarlo selvaggiamente in modo da sottolineare il disappunto da "cult mancato" riesce a soddisfarmi quasi a livello fisico, neanche stessi scazzottando felice il mio bravo sacco da boxe.
A volte, però, può capitare che anche bottigliare questo o quel titolo possa dispiacere, principalmente perchè le idee, i temi ed il modo di proporli risultano coinvolgenti ed interessanti, seppur viziati da un'inconcludenza di fondo: così è per La guerra è dichiarata, film della regista ed attrice Valerie Donzelli che tanto bene ha fatto parlare di se nelle ultime settimane, dentro e fuori dalla blogosfera.
Cosa ha funzionato, dunque, e cosa al contrario ha stuzzicato le corde più violente della mia parte critica?
Sicuramente occorre riconoscere, tra le note positive, all'autrice una delicatezza di fondo che testimonia la lezione appresa da mostri sacri come Truffaut - la storia d'amore che sboccia tra Romeo e Juliette pare uscita da Jules e Jim - ed una partecipazione assoluta sia dietro che di fronte alla macchina da presa, un realismo quasi dardenniano ed un tocco decisamente più soave tipico del Cinema transalpino, in grado di rendere la pellicola molto più fruibile di quanto non possa apparire sulla carta, considerato il tema trattato.
Ma nonostante la buona volontà ed alcune soluzioni azzeccate, l'autrice viene progressivamente risucchiata dalla voglia di stupire ed apparire già pronta per i palcoscenici radical chic e festivalieri più importanti, rischiando in più di un'occasione lo scatenarsi della rabbia del sottoscritto: dalla greve colonna sonora - che appesantisce inutilmente il film anche nei momenti in cui è chiaro che l'intento della Donzelli è quello, al contrario, di alleggerirlo - all'inutile ricorso alla voce narrante off - nello specifico, in grado di rovinare una delle sequenze migliori della pellicola, il montaggio parallelo tra gli allenamenti di corsa e le visite al piccolo Adam in ospedale della coppia corredando le immagini con l'inutile spiegazione della metafora legata alla fatica e alla resistenza dei giovani genitori al cospetto della malattia del bambino come se il pubblico fosse stato vittima di una lobotomia di massa -, passando attraverso alcune scene da pulsazioni incontrollabili della vena alla tempia come il momento della scoperta del tumore del bambino ed il conseguente viaggio di ritorno a Parigi da Marsiglia o la festa in cui si passa dal "bacio libero" in pieno stile finto alternativo anni settanta alla canzoncina chitarra e voce da "noi che siamo tanto fighi perchè siamo alternativi e Carla Bruni è venuta a trovarci a casa" con tanto di pianto liberatorio - o ricattatorio? - finale.
E a proposito di finali, con la conclusione la Donzelli incappa nello scivolone forse più evidente del suo lavoro: che le cose possano essere andate bene si intuisce fin dall'apertura, quando assistiamo ad un controllo di Adam già in età scolare, ma tutti i tentativi della regista di confrontarsi con un tema scomodo come la malattia in uno stile sotto le righe ma sicuramente associabile a quello mostrato da 50/50 attraverso intuizioni al limite della genialità - il bambino che, durante il consulto con il medico che lo operò, seduto tra i genitori che hanno lottato per lui e con lui a costo di sacrificare tutto quello che avevano o credevano di avere, chiede ripetutamente alla madre se può giocare con il Nintendo DS - vengono inesorabilmente sbriciolati dal ralenti che contraddistingue tutta l'ultima sequenza, che pare la versione autoriale e snob della zuccherosità di alcune immagini di pellicole mainstream dalla lacrima indotta come War Horse.
In questo senso, piuttosto che recitare la parte degli spocchiosi e dei superiori rispetto alle proposte di grana grossa da invasione di centinaia di sale, avrebbe più senso riconoscere anche i limiti del Cinema d'essai, specialmente quando cela dietro un buon montaggio o la ricerca di un'estetica più "alta" le stesse, popolari emozioni - con cadute di stile annesse - dei fenomeni di massa.
MrFord
"Oggi dentro me vedo un cielo che illumina a festa
e poi mi sento che son leggero da perdere la testa
se passi di qua alzerai sabbia rabbia e chissà
dimmi non ti va di spostare i confini più in là
perché in me io so che pace c'è."
Gianluca Grignani - "Buongiorno guerra" -
Sicuramente occorre riconoscere, tra le note positive, all'autrice una delicatezza di fondo che testimonia la lezione appresa da mostri sacri come Truffaut - la storia d'amore che sboccia tra Romeo e Juliette pare uscita da Jules e Jim - ed una partecipazione assoluta sia dietro che di fronte alla macchina da presa, un realismo quasi dardenniano ed un tocco decisamente più soave tipico del Cinema transalpino, in grado di rendere la pellicola molto più fruibile di quanto non possa apparire sulla carta, considerato il tema trattato.
Ma nonostante la buona volontà ed alcune soluzioni azzeccate, l'autrice viene progressivamente risucchiata dalla voglia di stupire ed apparire già pronta per i palcoscenici radical chic e festivalieri più importanti, rischiando in più di un'occasione lo scatenarsi della rabbia del sottoscritto: dalla greve colonna sonora - che appesantisce inutilmente il film anche nei momenti in cui è chiaro che l'intento della Donzelli è quello, al contrario, di alleggerirlo - all'inutile ricorso alla voce narrante off - nello specifico, in grado di rovinare una delle sequenze migliori della pellicola, il montaggio parallelo tra gli allenamenti di corsa e le visite al piccolo Adam in ospedale della coppia corredando le immagini con l'inutile spiegazione della metafora legata alla fatica e alla resistenza dei giovani genitori al cospetto della malattia del bambino come se il pubblico fosse stato vittima di una lobotomia di massa -, passando attraverso alcune scene da pulsazioni incontrollabili della vena alla tempia come il momento della scoperta del tumore del bambino ed il conseguente viaggio di ritorno a Parigi da Marsiglia o la festa in cui si passa dal "bacio libero" in pieno stile finto alternativo anni settanta alla canzoncina chitarra e voce da "noi che siamo tanto fighi perchè siamo alternativi e Carla Bruni è venuta a trovarci a casa" con tanto di pianto liberatorio - o ricattatorio? - finale.
E a proposito di finali, con la conclusione la Donzelli incappa nello scivolone forse più evidente del suo lavoro: che le cose possano essere andate bene si intuisce fin dall'apertura, quando assistiamo ad un controllo di Adam già in età scolare, ma tutti i tentativi della regista di confrontarsi con un tema scomodo come la malattia in uno stile sotto le righe ma sicuramente associabile a quello mostrato da 50/50 attraverso intuizioni al limite della genialità - il bambino che, durante il consulto con il medico che lo operò, seduto tra i genitori che hanno lottato per lui e con lui a costo di sacrificare tutto quello che avevano o credevano di avere, chiede ripetutamente alla madre se può giocare con il Nintendo DS - vengono inesorabilmente sbriciolati dal ralenti che contraddistingue tutta l'ultima sequenza, che pare la versione autoriale e snob della zuccherosità di alcune immagini di pellicole mainstream dalla lacrima indotta come War Horse.
In questo senso, piuttosto che recitare la parte degli spocchiosi e dei superiori rispetto alle proposte di grana grossa da invasione di centinaia di sale, avrebbe più senso riconoscere anche i limiti del Cinema d'essai, specialmente quando cela dietro un buon montaggio o la ricerca di un'estetica più "alta" le stesse, popolari emozioni - con cadute di stile annesse - dei fenomeni di massa.
MrFord
"Oggi dentro me vedo un cielo che illumina a festa
e poi mi sento che son leggero da perdere la testa
se passi di qua alzerai sabbia rabbia e chissà
dimmi non ti va di spostare i confini più in là
perché in me io so che pace c'è."
Gianluca Grignani - "Buongiorno guerra" -
Ammazza come ti stanno partendo bottigliate ultimamente...credevo che ti sarebbe piaciuto..ma sarà invece che non la volevi dare vinta al Cannibale, ah ah ah !
RispondiEliminaBradipo, in realtà mi sono messo di buzzo buono perchè mi piacesse, ma l'ho trovato troppo immaturo, per certi versi.
EliminaPeccato, perchè per una volta sarei anche stato d'accordo con il Cannibale. ;)
Io ti capisco. Mi sono avvicinata a questa pellicola sperando di vedere un buon film. Eh bien, siamo ben lungi dalla ciofeca ma effettivamente, come hai perfettamente fotografato tu, la Donzelli si lascia andate a derive radical di cui i francesi sono maestri.
RispondiEliminaPeccato, una occasione sprecata.
Sorella, ci siamo capiti al volo. Davvero un'occasione sprecata: e peccato doppio, perchè le idee buone c'erano tutte.
EliminaUhm niente niente che scopriamo davvero fi essere fratelli, noi due? !!!
EliminaChiedo ai miei e ti faccio sapere! ;)
EliminaAh Ah Ah
EliminaHo letto tempo fa la recensione di questo film su una rivista. Questi film drammatici con i bambini ammalati non fanno per me. Non dopo l'effetto straziante che mi ha fatto "L'amore e altri luoghi impossibili".
RispondiEliminaMagari qualche anno fa l'avrei anche visto. Ora no. Ho la lacrima troppo facile.
Ciao Mister Ford!
Coffee, in realtà non è un film da lacrime strappate, anzi, è molto misurato: i suoi difetti, purtroppo, sono ben altri.
EliminaComunque posso capire il tuo tenertene lontana.
prevedibilissimo.
RispondiEliminaun film di quelli davvero troppo belli per poter essere apprezzati da un finto duro come te, che ti sciogli evidentemente solo con le emozioni preconfezionate della disney. :D
il finale poi, essendo tratto dalla loro vera vicenda personale, non poteva che essere così.
e tutti i difetti che evidenzi, per me sono invece enormi pregi che elevano il film tra i (pochi) capolavori dell'annata.
una pellicola splendida, solo peggio per chi non lo capisce...
Quindi mi stai dicendo che essendo tratto dalla loro storia vera il finale non poteva che essere un tramonto dopo un ralenti infinito!?!? Ma non farmi ridere! ;)
EliminaDetto questo, mi diverte notare che io critico un film, e tu chi lo vede. Evidentemente i tuoi registucoli continuano ad accrescere quel problemino dell'ego! Ahahahahahahah!
Per questo giro, mi schiero dalla parte di Ford:D non mi ha entusiasmato più di tanto....
EliminaAffari, allora sarai anche tu vittima dell'ego del Cannibale! Ahahahah!
EliminaAh ecco! Le bottigliate le conservavi per film come questo! Ahahahah
RispondiEliminaEbbene sì!
EliminaMa ti preannuncio che anche la settimana prossima è in arrivo un bel film con tanto di bottigliate! ;)
a me è piaciuto, non ho gridato al capolavoro, però ho apprezzato molte delle scelte della donzelli e persino quelle più radical non mi hanno infastidito più di tanto... certo siamo molto lontani da confession e menate simili :D
RispondiEliminaFrank, anche io ho trovato alcuni passaggi davvero interessanti: peccato che, nel complesso, l'ho trovato un pò immaturo, e anche, a tratti, decisamente troppo radical chic.
EliminaComunque tieniti forte, perchè a breve arriva The raid - Redemption.
E quello sì che è pane per i nostri denti.
Aridaje!!Confesso, è uno di quei film che voglio vedere da un pochino, ma la tematica mi frena. Ho letto pareri entusiasti, e pensavo che la Donzelli, da madre, riuscisse a raccontare la sua storia senza cadere nel radicalismo facile
RispondiEliminaAdesso sono diventata ancora più curiosa. Come per Detachment spero di riuscire a vederli prima di partire per le ferie.
Newmoon, in realtà questo film ha delle buone potenzialità, e la visione non è stata irritante come quella di Detachment.
EliminaDiciamo che l'ho percepito come un'occasione sprecata.