martedì 31 maggio 2016

X-Men: Apocalisse

Regia: Bryan Singer
Origine: USA
Anno: 2016
Durata:
144'







La trama (con parole mie): sono passati dieci anni dalle vicende che videro Charles Xavier ed i suoi X-Men affrontare la minaccia della crisi cubana, e molte cose sono cambiate, per gli umani quanto per i mutanti. Xavier, dedicatosi a tempo pieno alla sua scuola, ignora qualsiasi avvisaglia di minaccia per il mondo, Magneto si è ritirato in Polonia tentando di rifondare una famiglia e ricominciare senza sfruttare i suoi poteri una vita normale, Bestia si è dedicato a studi che possano tenere pronte eventuali contromisure in caso di conflitto e Mystica ha mantenuto un basso profilo aiutando mutanti in difficoltà in tutto il mondo.
Quando En Sabah Nuhr, primo mutante testimoniato della Storia, individuo dai poteri quasi divini, torna alla vita dopo millenni di sonno, le cose cambiano: ribattezzato Apocalisse, infatti, il riemerso superumano ha intenzione di epurare la Terra non solo dai non mutanti, ma da tutto quello che non rientra nel suo ordine costituito.
Riusciranno Xavier ed i suoi ragazzi, affiancati da Mystica, a fermare la minaccia di Apocalisse e dei suoi quattro cavalieri?










Se non altro, Bryan Singer è dotato di una certa ironia.
Quando i giovani Jean Grey, Ciclope, Nigtcrawler e Jubilee escono dalla sala dove è stato appena proiettato Il ritorno dello Jedi affermando che "il terzo è sempre il peggiore", non solo ammette le proprie colpe rispetto all'abbandono temporaneo della barca mutante ed all'osceno X-Men - Conflitto finale che chiudeva la prima trilogia, ma considera che il tanto atteso X-Men - Apocalisse possa rappresentare l'anello debole della nuova e decisamente migliore seconda tripletta di film dedicata ai mutanti di casa Marvel, che, considerato il passaggio post-titoli di coda, potrebbe diventare un poker.
Senza dubbio, ed oggettivamente, è così: X-Men - Apocalisse perde nettamente il confronto con L'inizio e Giorni di un futuro passato principalmente per quanto riguarda l'approccio e la sceneggiatura, debole in più punti e tanto più se considerata in relazione con i capitoli precedenti, dando una priorità perfino eccessiva alle parti più action e spettacolari del prodotto.
Allo stesso modo, però, tolti i sassolini dalle scarpe rispetto alle incongruenze - che riguardano specialmente Nightcrawler e Angelo -, occorre ammettere che il lavoro di Singer è molto meno peggio di quanto dipinto dalle numerose recensioni ostili pubblicate nei primi giorni seguiti all'uscita in sala, dimostrazione che, pur non raggiungendo livelli eccelsi, l'intrattenimento supereroistico intelligente ha ancora qualcosa da dire e comunicare, dai passaggi unicamente volti all'esaltazione - il confronto finale con Apocalisse, con tanto di furia wolverinesca, esibizione epica di Magneto, ritorno della Fenice di Jean - alla riflessione, che in questo caso aggiunge ai punti di vista di Xavier e Magneto quello di Apocalisse, sorta di messia mutante tra i più tosti avversari degli Uomini X anche sulla pagina stampata.
Un bel calderone di idee che, seppur non perfettamente amalgamato, porta a casa la pagnotta ed avvince quanto basta per superare in qualità molti presunti blockbuster usciti nel passato recente, facendo leva su charachters perfettamente riusciti come Pietro Maximoff - alias Quicksilver, graziato da un'altra sequenza pazzesca sulle note di Sweet Dreams - ed una giovane Tempesta, all'apparizione di Wolverine con tanto di riferimento al futuro legame con Jean Grey ed alla speranza che, con l'introduzione di Nathaniel Essex, noto ai fan come Sinistro, il quarto capitolo possa cambiare marcia: Bryan Singer resta comunque lontano dai suoi tempi migliori e da I soliti sospetti, ma alza l'asticella rispetto al pessimo Superman Returns limitando il difficile confronto con il precedente e già citato Giorni di un futuro passato, ad oggi la miglior pellicola dedicata a Xavier e soci.
Personalmente, dunque, non mi sento tradito da questo nuovo terzo capitolo dedicato alle gesta degli Uomini X, o da Apocalisse - forse un pò troppo ingessato, ma in linea con un charachter da sempre un gradino sopra gli altri da tutti i punti di vista -, o particolarmente deluso: non mi aspettavo un Capolavoro, ed un Capolavoro non è arrivato.
D'altro canto, però, è stato davvero impossibile non divertirsi godendosi le gesta degli outsiders numero uno della Marvel, che per natura ed approccio continuerò a preferire ai più vincenti e splendidi splendenti Avengers: tutto nella speranza che anche per il mondo mutante possa essere messo in piedi un progetto ottimamente strutturato come quello del Cinematic Universe.




 
MrFord





"Sweet dreams are made of this
who am I to disagree
I travel the world and the seven seas
everybody's looking for something."
Eurythmics - "Sweet dreams (are made of this)" -






lunedì 30 maggio 2016

Le ali della libertà

Regia: Frank Darabont
Origine: USA
Anno: 1994
Durata:
142'








La trama (con parole mie): siamo alla fine degli anni quaranta quando Andy Dufresne, vicedirettore di banca, è condannato ad un doppio ergastolo per l'omicidio della moglie e del suo amante.
Incarcerato nella struttura di Shawshank, governata con pugno di ferro dal Direttore Norton e dal capo delle guardie Hadley, stringe immediatamente amicizia con Ellis "Red" Redding, che di norma si occupa del contrabbando tra i condannati: tra i due uomini si sviluppa un legame destinato a durare decenni, che vede detenuti essere rilasciati per finire fagocitati dal Sistema, altri barbaramente uccisi e le speranze alimentate un giorno dopo l'altro, in attesa del momento in cui la libertà possa cambiare le loro vite.
Quando Dufresne, divenuto prezioso per gli affari sporchi di Norton, diverrà una minaccia per il Direttore stesso, l'uomo deciderà di cambiare le carte in tavola rivelando un piano portato avanti per quasi due decenni.











Dovevano essere quasi vent'anni, dall'ultima volta in cui vidi, nell'allora casa Ford, probabilmente con mio fratello, Le ali della libertà, film tra i più cult degli anni novanta e del genere carcerario che lanciò Frank Darabont e consacrò per l'ennesima volta Stephen King come ispiratore del Cinema - i due torneranno a collaborare negli Anni Zero con il più che discreto The Mist -.
Onestamente, temevo molto il confronto con questo titolo: l'esaltazione di molti critici e di una buona fetta di pubblico verso questo titolo è sempre stata alta - a mio parere, fin troppo, considerato il debito che la stessa ha soprattutto con Fuga da Alcatraz -, il Tempo spesso e volentieri non è tenero con i cult che non siano veri Capolavori e la mia percezione, sotto molti punti di vista, è cambiata, eppure la curiosità c'era, e parecchia.
Dunque, come prima cosa devo ammettere che Le ali della libertà - pessimo adattamento dell'originale The Shawshank redemption - è riuscito a tenere testa alle difficoltà alla grande, confermandosi assolutamente un cult di genere ed un grande film, con un cast assolutamente in parte ed un'escalation di quelle in grado di coinvolgere perfino i più freddi tra gli appassionati dediti al solo Cinema d'autore.
Allo stesso tempo, il lavoro di Darabont si conferma anche tra quelli più sopravvalutati - pur bonariamente - del Cinema degli anni novanta e recente, fenomeno che coinvolse titoli di quello stesso periodo come Forrest Gump, Il miglio verde o Strange Days: pellicole che ai tempi dell'uscita in sala apparvero strepitose e che, oggi, hanno il sapore del mito senza, di fatto, averne lo spessore.
Non che sia un male, considerato un tipo pane e salame come il sottoscritto, che li possiede orgogliosamente tutti nella propria videoteca - e non parlo di hard disk, in questo caso - pronto, all'occorrenza, a godersi ogni istante della visione dal primo all'ultimo minuto.
Proprio in questo senso, ripercorrere la vicenda di Andy Dufresne dal processo e dalla condanna al confronto con l'amico di una vita Red che chiude la pellicola vent'anni dopo è stato un vero piacere, dai volti perfetti dei caratteristi che compongono un cast che ogni appassionato si troverà a conoscere quasi a menadito ad un incedere rapido e serrato che spesso e volentieri non ci si aspetta da un film che viaggia spedito verso le due ore e venti, numerose soluzioni tecniche ottime - come la ripresa aerea del carcere all'arrivo del protagonista, davvero strepitosa considerati i tempi in cui i droni sfruttati come appoggio erano fondamentalmente considerati fantascienza - ed un'intensità da grande storia, passando dalla vicenda di Brooks - una delle più toccanti e meglio riuscite del film - alla determinazione quasi glaciale del solo apparentemente fragile Andy, uomo come gli altri detenuti "incastrato dall'avvocato" pronto a fare fronte alle violenze, alle privazioni ed alla propria condizione con acume ed intelletto, quasi fosse un Ulisse dell'evasione.
E nonostante l'elevata importanza dell'aspetto emotivo e partecipativo rispetto alla storia del protagonista, Le ali della libertà diviene un elogio della perseveranza e della pazienza, della capacità di godere delle proprie piccole vittorie - specie da detenuti privati della libertà - in attesa del momento in cui le carte in tavola possano rivelarsi in grado di cambiare le sorti della partita con la vita: come in una partita a scacchi, Dufresne dispone i suoi pezzi con una cura che ad individui istintivi come il sottoscritto, "istituzionalizzati" come Brooks, o rassegnati come Red è sconosciuta, riuscendo ugualmente ad emozionare come un pezzo di Mozart pronto a rapire la mente di uomini che a stento sanno leggere ma con facilità riescono a prendere una vita.
Del resto la Libertà - intesa come concetto, prima ancora che come condizione o fuga - e la Redenzione - che, come spesso cantava Johnny Cash, non avviene certo dietro le sbarre, ma dentro se stessi - passano da momenti di meraviglia come quello.
Momenti che, con tutti i suoi limiti, Le ali della libertà riesce a tradurre in immagini ancora oggi.





MrFord





"Hold on to me
don't let me go
who cares what they see?
Who cares what they know?
Your first name is Free
last name is Dom
cause you still believe in where we're from
man's red flower
it's in every living thing
mind use your power
spirit use your wings."
Pharrell Williams - "Freedom" - 





domenica 29 maggio 2016

Money monster - L'altra faccia del denaro

Regia: Jodie Foster
Origine: USA
Anno:
2016
Durata:
95'






La trama (con parole mie): Lee Gates, spigliato e senza scrupoli presentatore di uno show televisivo dedicato alla finanza, di settimana in settimana intrattiene e suggerisce al suo pubblico il modo migliore per fare soldi.
Quando Kyle Budwell, che seguendo il consiglio di Gates ha investito i suoi risparmi in un potenziale affare perdendo tutto, in diretta televisiva prende in ostaggio programma ed anchorman giurando vendetta ad un sistema che l'ha privato di ogni cosa, le regole del gioco cambiano, e Gates si ritrova costretto a lottare per la propria sopravvivenza nella speranza che la producer Patty Fenn possa riuscire ad essere determinante come sempre dietro le quinte.
Ma quale verità si nasconde dietro Money monster ed il desiderio di vendetta di Budwell?










Per quanto non lo si voglia mai ammettere apertamente, o non regali la felicità, o la vita eterna, il denaro influenza gran parte della nostra società, costringendoci a fare i conti con i conti, le preoccupazioni, le aspettative, gli status symbol e la voglia di apparire: se non esistesse, o non ne fossimo in una certa misura dipendenti, potremmo essere liberi dai condizionamenti, dalle costrizioni del lavoro, da molte delle regole che, da secoli, sono alla base della civiltà, giuste o sbagliate che siano.
Jodie Foster, attrice dotatissima ma regista non particolarmente brillante, con il suo quarto lungometraggio realizza forse il suo lavoro più interessante, appoggiandosi proprio sull'analisi di questo nodo fondamentale facendo leva da un lato ai riferimenti alla crisi economica che ha attraversato il mondo negli ultimi anni e dall'altro sul ritmo e la leggerezza di un thriller d'azione, o una commedia nera, sfruttando un George Clooney cui pare sia stato chiesto espressamente di restare il più sopra le righe possibile in modo, con ogni probabilità, da rappresentare al meglio il lato predatorio di questo oceano che continuerà a portare il flusso di denaro lungo le stesse correnti mentre i pesci piccoli fanno la fame con gli scarti.
Il confronto tra il presentatore televisivo interpretato dal succitato Clooney ed il ragazzone arrabbiato Kyle Budwell, cui presta volto Jack O'Connell, promettente attore anglosassone già protagonista di prodotti ottimi come '71 e Starred Up, è di fatto quello che ognuno di noi - a meno che chi legge non sia dall'altra parte della barricata - vive sulla pelle ogni giorno, dalle notizie al telegiornale ai conti di fine mese, dagli standard imposti dalla società "social" - agghiaccianti le sequenze in strada con tanto di riprese fatte con gli smartphones ed i conseguenti video da milioni di visualizzazioni su Youtube - alle false speranze date non solo ai giovani, ma anche a tutti coloro i quali desiderano solamente fare tesoro dei propri risparmi e trasformarli in qualcosa che sia più di una promessa per il futuro.
In questo senso, le accuse di Kyle rivolte ai "veri criminali" pongono l'accento allo stesso modo di altri titoli - comunque più validi - come il recente La grande scommessa o in precedenza Margin Call, Wall Street o Americani sul conflitto sotterraneo che probabilmente sempre esisterà tra chi possiede ed amministra il denaro e chi lavora per ottenere una parte irrisoria dello stesso, finendo spesso fagocitato con i propri averi dalle creature dei burattinai di banche, società d'investimento e televisioni: una condizione, quella di Kyle, fuori dalla Legge e sbagliata ma paradossalmente comprensibile, con la quale si finisce per empatizzare nonostante l'innegabile carisma di Clooney e del suo Lee Gates, gigione e oltre misura.
Il film nel complesso, probabilmente, non resterà nella memoria a differenza di cult come quelli già citati, ma ha il pregio di scorrere rapido come un thriller, e di far riflettere lo spettatore da un nuovo punto di vista nonostante la problematica del rapporto tra società e denaro sia più vecchia del Cinema stesso.
E quando la polvere si è depositata, e l'unica domanda che resta è "Cosa dovremo inventarci lunedì prossimo?", l'inquietudine aumenta: quale prezzo la società e noi che ne costituiamo le fondamenta dovremo pagare affinchè il grande spettacolo possa proseguire?
E soprattutto, fino a quando saremo disposti a pagarlo?





MrFord





"Money, get away
get a good job with more pay and you're O.K.
money, it's a gas
grab that cash with both hands and make a stash
new car, caviar, four star daydream,
think I'll buy me a football team."
Pink Floyd - "Money" -







sabato 28 maggio 2016

Tombstone

Regia: George P. Cosmatos
Origine: USA
Anno: 1993
Durata:
130'







La trama (con parole mie): Wyatt Earp, ex sceriffo noto in tutto il West per la sua inflessibilità, ritiratosi come Uomo di Legge, decide con i suoi fratelli Virgil e Morgan di trasferirsi nella città di frontiera di Tombstone e mettersi in affari iniziando una nuova fase della sua vita.
Inizialmente tutto pare andare per il verso giusto, con il nuovo ruolo da uomini d'affari che funziona, l'amico ritrovato Doc Holliday, le famiglie presenti accanto a loro, ma per gli Earp i guai sono sempre in agguato: una banda di criminali da tempo insediata in quei territori, infatti, minaccia la sicurezza non solo di Tombstone, ma dei cari di Wyatt.
Quando il sangue comincerà ad essere versato, dunque, l'ex sceriffo sarà costretto a vestire di nuovo i panni dello spauracchio dei criminali e mescolare proiettili, vendetta e coraggio per ripulire le strade di Tombstone una volta per tutte.








Se avessi raccontato a me stesso davanti allo specchio neanche fossi il Travis di Taxi driver che mi sarei trovato, nel giro di pochi mesi, a scoprire di dover recuperare la visione di non uno, ma due Western che non avevo mai visto al contrario di Julez, mi sarei trovato decisamente più vicino alla Fantascienza classica che non alla Frontiera.
E invece, è proprio quello che è accaduto.
Archiviato - e con discreto successo - il simpatico Maverick, è stata la volta di Tombstone, solida grande produzione firmata dal vecchio mestierante George Cosmatos con un cast assolutamente all star - e con la signora Ford grande mattatrice nel riconoscere anche un Billy Bob Thornton giovane e di una trentina di chili sovrappeso rispetto a quello ora noto a tutti - pronto a rivisitare e rinverdire il mito del West di Wyatt Earp, una delle figure più leggendarie che l'epoca e la Storia americana conobbero, già portato sullo schermo in numerose occasioni - con risultati ovviamente differenti -, su tutte l'indimenticabile classico di John Ford Sfida infernale, nel quale a vestire i panni del mitico sceriffo fu l'altrettanto mitico Henry Fonda.
Ovviamente, a partire da Kurt Russell - che nel ruolo di Earp sfodera palle d'acciaio tali da far apparire anche altri storici personaggi interpretati nel corso della carriera dei pusillanimi neanche fossero il Cannibale - tutto in questo film mi ha convinto: il respiro classico e la cornice da grande epopea, un setting che ho sempre adorato e che rappresenta una delle colonne della mia formazione cinematografica e culturale, l'importanza dei concetti di amicizia e famiglia - con tutti gli alti e bassi del caso -, l'alcool e la voglia di sfidare la vita fino all'ultimo istante - fantastico il personaggio di Doc Holliday, segnato dalla malattia eppure sempre pronto a battersi forse per esorcizzare e, chissà, per cercare la morte "con gli stivali addosso" invece che in un letto d'ospedale - che non potrò mai non sentire come miei.
A prescindere, dunque, dal divertentissimo - e ricchissimo - gioco dell'identificazione dei futuri volti noti di piccolo e grande schermo - o ripescaggi come quello di Jason Priestley, all'epoca della realizzazione del film star di Beverly Hills 90210 -, un prodotto tosto e convincente, in grado di unire l'atmosfera da grande blockbuster hollywoodiano alla filosofia di un genere considerato quasi per natura "old school", la biografia e la leggenda, il quotidiano e le grandi imprese in grado di andare oltre ogni confine pur essendo scaturite dal caso, da un'ispirazione folle del momento o semplicemente dal fatto che chi le ha realizzate non aveva intenzione di mollare, che si trattasse di un nemico sul campo, o della vita in genere.
Del resto, il West non era certo il posto migliore per nutrire aspettative particolarmente alte, che si parli di sogni o di mera sopravvivenza, e la convivenza tra tutori dell'ordine e criminali, predatori e prede era così fragile ed incerta da condurre spesso e volentieri a scontri feroci e senza ritorno, o "senza perdono", come direbbe Clint: del resto, le vicende così simili e così diverse di Wyatt Earp e Doc Holliday rendono bene l'idea di quello che doveva essere lottare per la propria pelle a quei tempi ed in quei luoghi, pistola in pugno o palle d'acciaio che fossero.
E rende bene l'idea anche questo Tombstone, in grado di trasmettere il fascino e la crudeltà del West pur essendo, a conti fatti, una grande produzione e non un titolo d'autore come Dead Man o, in parte, lo stesso Gli spietati: lungo quella Frontiera si è dovuto lottare, amare, combattere e morire in modo da costruire qualcosa che sarebbe nato soltanto una volta che la polvere si fosse depositata una volta per tutte, le fondamenta di una società che i Wyatt Earp hanno potuto solo sognare, o quasi.
Non credo, infatti, che tra una pallottola, una sbronza ed una malattia, avessero il tempo di fare troppe altre cose se non sopravvivere.





MrFord





"And the whirlwind is in the thorn tree.
The virgins are all trimming their wicks.
The whirlwind is in the thorn tree.
It's hard for thee to kick against the pricks.
In measured hundredweight and penny pound.
When the man comes around.
And I heard a voice in the midst of the four beasts,
and I looked and behold: a pale horse.
And his name, that sat on him, was Death.
And Hell followed with him."
Johnny Cash - "The man comes around" - 






venerdì 27 maggio 2016

Le cinque leggende

Regia: Peter Ramsey
Origine: USA
Anno:
2012
Durata: 97'









La trama (con parole mie): Jack Frost, legato a poteri nati dal freddo e dalla Luna, dopo secoli e secoli di solitudine ed incapacità di comunicare con il mondo mortale, viene convocato da Babbo Natale al Polo Nord perchè selezionato come nuovo Guardiano del mondo e delle speranze dei bambini a fronte di un'iniziativa dell'Uomo Nero volta a minare qualsiasi speranza dei giovani terrestri rispetto ai miti ed alle leggende del pianeta.
Inizialmente scettico, lo spirito troverà proprio grazie al sostegno dei suoi riluttanti "colleghi" e di un gruppo di bambini pronti ad aggrapparsi proprio alla sua presenza la forza di reagire e far scattare la scintilla necessaria per debellare il Male ed iniziare un nuovo percorso di speranza e magia legato ai sogni, alle passioni ed alla capacità di non vergognarsi di ciò in cui si crede.
Basterà questo, a fermare l'Uomo Nero?














Considerato il tipo che sono e mi dipingo pare assurdo, Fordino a parte, che possa concedere una possibilità anche remota ad un recupero come questo, legato a doppio filo al mondo delle favole ed al concetto di non mollare, a prescindere dalla condizione in cui ci si trovi.
Eppure, lo ammetto, erano anni che lo meditavo.
Prima di tutto perchè, per questioni lavorative, mi sono ritrovato, ai tempi dell'edizione in bluray di questo titolo, a dover ritrattare l'opinione maturata a scatola chiusa legata all'uscita del lavoro firmato da Peter Ramsey a seguito di una serie reiterata di visioni pronte a riconoscere, quantomeno, lo sforzo contenutistico e produttivo dei suoi autori, e dunque spinto, attualmente, dalla curiosità del Fordino a proposito di un film in cui figuravano Babbo Natale, il Coniglio di Pasqua - anche se, da queste parti, più che un rito cristiano appare come una sorta di festività del cioccolato - ed altre figure mitiche ad essi associate pronte a "dare le botte" all'Uomo Nero, famigerata nemesi nota praticamente a tutti i bambini del mondo.
La visione complessiva de Le cinque leggende, dunque, lo posso confermare a scapito della mia eventuale reputazione, è stata decisamente positiva, nonchè distante, in termini di qualità, messaggio trasmesso e perizia, anni luce da molti titoli dello stesso genere spinti anche oltre misura nel corso delle ultime stagioni cinematografiche: grande merito di questo pur non clamoroso successo è legata alla resa grafica dei main charachters, dalla versione tatuata di Babbo Natale a quella australiana del già citato Coniglio, senza contare l'impatto notevole delle evoluzioni del ghiaccio di Jack Frost, delle ombre dell'Uomo Nero e della sabbia di Sandman, per la prima volta proposto sul grande schermo in una versione in grado di dare un'alternativa all'immagine dello stesso personaggio legata ai fumetti firmati negli anni novanta da Neil Gaiman.
Per il resto, la vicenda ed il suo svolgimento non inventano certo nulla di nuovo, ma portano sullo schermo una storia piacevole e coinvolgente, che si lascia guardare più che volentieri a qualsiasi età, rimbalzando, nel mio caso, dalle domande a raffica del Fordino - che nel corso di qualsiasi visione, ormai, vuole sapere i perchè di tutto e di più - al piacevole intrattenimento per i vecchi della casa, pronti a tornare bambini per un'ora e mezza immaginando quale tra i Guardiani sarebbe stato, ai tempi, il preferito.
Come sempre in questi casi, si è inoltre optato per un finale che chiude la vicenda ma non le porte ad un eventuale sequel che, al momento, non mi pare sia stato progettato o annunciato, ma che non vedrei affatto male se realizzato con lo stesso piglio di questo primo capitolo: e se Jack Frost con la sua aura da outsider destinato a diventare un riferimento per gli altri Guardiani pare un mix dei vecchi cartoni giapponesi e dei nuovi idoli delle teenager - divertenti, in questo senso, i siparietti con le fatine dei denti pronte ad andare in brodo di giuggiole neanche fosse una specie di Justin Bieber -, personalmente le potenzialità ancora da esprimere dimorano tutte nel muto Sandman, che tra l'altro sarebbe ora fosse conosciuto di più anche qui in Italia, dove la tradizione legata ai sogni ha sempre snobbato quello che, nei paesi anglosassoni, è considerato il loro signore.
Ad ogni modo, dovesse capitarvi, in televisione o in una qualche sezione di offerte per l'home video online o in un negozio, date una possibilità a Peter Ramsey ed al suo lavoro: in fondo, basta poco per cominciare - o ricominciare - a credere, e la magia tornerà a farsi sentire.





MrFord




"The story ends, as stories do
reality steps into view
no longer living life in paradise - of fairy tales - uh
no, uh - huh - mmm - mmm."
Anita Baker - "Fairy tales" -









giovedì 26 maggio 2016

Thursday's child

La trama (con parole mie): nuova settimana di uscite e nuova puntata della rubrica tenuta dal sottoscritto e dal suo acerrimo nemico Cannibal Kid. Come di consueto, troverete film potenzialmente interessanti, altri sicuramente terribili, ed altri pronti a sorprendere, in positivo o in negativo.
Troverete anche, sempre come di consueto, i commenti solidi e rassicuranti del sottoscritto e quelli scombinati e pericolosi del mio rivale: quale delle due posizioni rappresenti un bene, però, non è dato saperlo.



"Cannibal, non vedi che il Cappellaio sta male!? E' stata colpa dei commenti acidi che avete fatto tu e quel bruto di Ford."



Alice attraverso lo specchio

"Cannibal, mi hai beccato: mi sono introdotto in casa tua per rubare il tuo autoritratto!"

Cannibal dice: Prima di vedere il terribile Alice in Wonderland, avrei atteso questo film come Ford attende una nuova pellicola con Sylvester Stallone. O come sua moglie Julez attende la morte di Sylvester Stallone in modo da avere finalmente suo marito tutto per sé.
Dopo aver visto Alice in Wonderland, temo invece questo film come Ford teme il bel cinema. E considerando che a questo giro alla regia non c'è manco Tim Burton, bensì tale James Bobin, ho davvero una paura fottuta!
Ford dice: Alice in Wonderland è stata una delle esperienze cinematografiche più terrificanti degli ultimi anni.
Dubito che questo inutile sequel diretto da un inutile regista possa cambiare le cose. Anzi, potrebbe perfino peggiorarle.




Julieta

"Cannibal Kid dice di intendersene di Cinema!? Ma che si è bevuto, tutti i White Russian di Ford!?"
Cannibal dice: Non sono un fan assoluto di Almodovar. Tanti suoi film ancora mancano alle mie visioni, però ce n'è uno che ho adorato: Tutto su mia madre. Questo Julieta fin dal trailer me l'ha ricordato parecchio, quindi sono parecchio curioso e fiducioso nei suoi confronti. Certo, se poi Ford dovesse considerarlo un capolavoro, le mia aspettative si ammoscierebbero come il mio pistolino alla vista di un film tutto macho e zero figa stile Expendables.
A meno che non vogliate considerare figa Ronda Rousey e allora state male.
Ford dice: Almodovar mi è sempre stato molto simpatico, ed i suoi film, soprattutto nei primi anni della sua carriera, hanno sempre trovato grande sostegno da queste parti.

Con il successo e la vecchiaia ha finito per ammosciarsi, un po' come il Cannibale, dunque qualche riserva mi resta. Speriamo bene.





Colonia

"Mi sto invecchiando, a furia di aspettare una chiamata da Ford: ma quello è come Rocky, urla dalla finestra. Un telefono non sa neppure cos'è."

Cannibal dice: Colonia non è il film dedicato al profumo di Mister Ford, anche perché secondo lui l'uomo vero ha da puzzà e quindi non ne usa alcuno. Colonia è invece un film ambientato durante il golpe cileno del 1973 e quindi_ “CHE NOIA!”, però ha come protagonista femminile Emma Watson e quindi: “OH YEAH, VISIONE OBBLIGATORIA!”.
Anche se la splendida Emma Watson a livello recitativo è ancora tutta da verificare...

Ford dice: i film legati al golpe cileno ed al dramma susseguente esercitano sempre un fascino particolare, sul sottoscritto. Purtroppo, il sospetto che questo sia solo una versione patinata dei titoli più interessanti girati sull'argomento è importante, un po' come la certezza che il Cannibal sia una versione patinata del fordismo pane e salame.




Somnia

"Qualunque cosa abbia detto Cannibal, è una balla: sono io il più giovane della settimana!"

Cannibal dice: Somnia è un film talmente low-budget che hanno persino dovuto tagliare due lettere dal titolo per diminuire i costi.
Il regista di questo lavoro comunque è Mike Flanagan, già autore del sopravvalutatissimo Oculus e presto dietro la macchina da presa di uno dei sequel meno necessari di sempre, Ouija 2. Sono curioso di sapere se su di lui cambierò idea con questo Somnia, oppure se rimarrò fermo sulle mie posizioni. Come nei confronti di Ford, che un tempo trovavo repellente e oggi pure.
Ford dice: Oculus è uno dei film più sopravvalutati del passato recente dell'horror e non solo, capace perfino di mettere d'accordo me e Peppa, impresa più unica che rara.
Non mi aspetto, dunque, niente di buono: che sia segno di una delusione evitata e di una visione sorprendentemente almeno decente?




Pelé

"E così a Cannibal non piacciono i giocatori brasiliani? Adesso gli sparo una mina in piena faccia, e poi vediamo."
Cannibal dice: Non sono mai stato un fan di Pelé, così come dei calciatori brasileiri in generale. Ho sempre preferito quelli più freddi e glaciali dalla vecchia Europa. Considerando poi che questo film sui suoi anni della gioventù è prodotto dallo stesso goleador, mi sembra un'autocelebrazione di cui posso anche fare a meno, almeno quanto i post in cui Ford si autocelebra come il miglior papà dell'intero pianeta.

Ford dice: i biopic sponsorizzati dai loro protagonisti mi hanno sempre insospettito in misura anche maggiore di quello scarpone di Cannibal Kid, ma in clima europei di calcio - che senza dubbio verranno seguiti dal Saloon come gli ultimi Mondiali - potrei anche sbilanciarmi in una visione.




Tangerines – Mandarini

"Mi dispiace dirtelo, ma non sono per nulla più vecchio di Ford."

Cannibal dice: Candidato nel 2015 agli Oscar e ai Golden Globe come miglior film straniero, questo probabile mattonazzo estone-georgiano sarà anche bellissimo, ma ho voglia di vederlo quanto di ricevere un calcio rotante da James Ford. Sempre che alla sua età riesca ancora a farli senza finire paralizzato.
Ford dice: come dicevo al mio fratellino Dembo qualche sera fa, in questo periodo pre-estivo e con gli impegni lavorativi e da padre che incombono, la mia voglia di spararmi film autoriali da tre ore è di molto sotto lo zero. Recupererò in futuro, magari quando i Fordini saranno preda delle visioni radical dell'adolescenza.



Stella cadente

"Eccoti sistemato: così acconciato ricorderai a Ford quand'era giovane."
Cannibal dice: Film storico spagnolo su un capostipite dei Savoia. Questa palla allucinante mi sa che non interessa manco a Mr. Ford, ma giusto a Emanuele Filiberto.
Ford dice: Stella cadente, la biografia del tracollo di Pensieri Cannibali e del suo egotico host.



Fräulein - Una fiaba d'inverno

"Eddai, non ricordarmi che sei più brava di me a recitare!"
Cannibal Kid dice: Una fiaba d'inverno... e questi la fanno uscire il 26 maggio. Evidentemente nella distribuzione italiana lavora della gente con meno sale in zucca di Ford. Pensavo fosse impossibile.
E comunque i film con Christian De Sica non dovrebbero uscire proprio, né d'inverno né d'estate.
Ford dice: Christian De Sica non mi è mai stato antipatico come il suo ex socio Massimo Boldi, ma questa roba proprio non dovrebbe essere distribuita. A meno di non provocare fastidio a Cannibal costringendolo alla visione neanche fosse un action con Stallone.



Una nobile causa

"Sto raccogliendo fondi per espellere Cannibal dalla rete e spedirlo in Siberia." "Questa sì, che è una nobile causa!"
Cannibal dice: Come nobile causa io già concedo l'onore a Ford di essere ospite su Pensieri Cannibali in questa rubrica sulle uscite nei cinema del weekend, voi se volete fare della beneficenza andate a vedervi 'sta roba che se incassa più di 10 mila delle vecchie lire è un miracolo.
Ford dice: una nobile causa è quella che da anni sto perseguendo tenendo occupato e cercando di riabilitare il Cannibale dal suo disagio mentale. Andare anche a vedere questa roba mi parrebbe troppo. Non voglio certo che mi facciano santo.



Il traduttore

"Prova a dire ancora una volta che Peppa Kid capisce di Cinema e ti faccio nero."
Cannibal dice: Altra pellicola semi-amatoriale italiana (ma togliamo pure il semi) della settimana, credo non ci sia bisogno di un traduttore per capire che secondo me si rivelerà una probabile shit.
Ford dice: tradotto nel linguaggio del Cinema vero, una schifezza.




mercoledì 25 maggio 2016

Marco Polo - Stagione 1

Produzione: Netflix
Origine: USA
Anno: 2014
Episodi:
10








La trama (con parole mie): Marco Polo, figlio di un importante mercante veneziano da anni impegnato in tratte legate alla Via della seta, viene lasciato come un pegno dal padre a Kublai Khan, dominatore dell'Asia ed erede di suo nonno Gengis, che da tempo sogna di soggiogare gli ultimi focolai di rivolta cinese a Sud per unificare un impero come mai l'umanità aveva conosciuto in precedenza, vincendo la resistenza di Jia Sidao, cancelliere dalle straordinarie abilità strategiche.
Grazie alla sua arguzia ed alla curiosità, Marco conquista i favori di Kublai scatenando perfino le gelosie del primogenito di quest'ultimo, che pare non godere presso il genitore delle stesse attenzioni: assegnato a compiti di ogni genere ed addestrato alle arti marziali nonchè alle usanze mongole, il giovane mercante si troverà a trasformarsi in un vero e proprio consigliere per il condottiero più potente del mondo conosciuto, ed a progettare l'attacco decisivo alla roccaforte di Sidao.












Fin dai tempi dell'adolescenza e del periodo in cui, preso da scrittura ed epica, sognavo grandi battaglie ed epoche lontane, i grandi imperi del passato hanno sempre esercitato un grande fascino sul sottoscritto: non è mai stata un mistero la mia passione per la figura di Alessandro Magno, così come per le società che cambiarono la Storia dall'alba dei tempi almeno fino al Rinascimento, quando qualcosa mutò a livello sociale e ci si avviò a quella che è intesa come l'era moderna.
Un'altra grande figura che ha sempre solleticato la mia curiosità è stata quella di Gengis Khan, nato fondamentalmente senza nulla in una lontana tribù mongola persa tra le steppe e fondatore di uno degli imperi più vasti, interessanti e temuti di sempre: suo nipote Kublai, invece, se non per una poesia di Samuel Coleridge, mi era praticamente sconosciuto, così come il suo legame con Marco Polo, mercante, avventuriero ed esploratore che fu tra i primi a rivelare all'Occidente quella che era la vita lungo la Via della seta, storico canale di scambi di ogni genere che collegava tutto il mondo allora conosciuto.
Quando, non troppo tempo fa, mi capitò per le mani - a dire il vero, al lavoro e di sfuggita - il trailer della serie targata Netflix - sempre più la realtà più importante del piccolo schermo - dedicata proprio alle gesta di Kublai ed al suo legame con Polo la curiosità si fece sempre più grande, tanto da riuscire a convincere Julez - di norma non proprio esaltata all'idea di gettarsi a capofitto in visioni di questo tipo - a tentare il viaggio con questa prima stagione prima che potesse avere inizio la seconda - programmata per l'imminente estate -: il risultato è stata una delle scoperte più interessanti degli ultimi mesi, dall'atmosfera pronta a ricordare lo splendido La battaglia dei tre regni ai sanguinosi duelli, dal progetto di Kublai - simile a quello del già citato Alessandro Magno - di costruire un impero multirazziale e multiculturale alla lotta all'ultimo sangue con il Cancelliere cinese Sidao, charachter strepitoso per freddezza ed arguzia politica nonchè per capacità di farsi odiare dallo spettatore, istintivamente più propenso a parteggiare per l'altrettanto crudele ma decisamente più istintivo ed umano Kublai piuttosto che sull'aristocratico calcolatore ultimo ostacolo per il Khan sulla strada della definitiva conquista della Cina.
Nel mezzo del delicato equilibrio che delinea il conflitto tra le due potenze si muove Marco Polo, giovane mosso da un grande spirito di osservazione, voglia di emergere e di imparare, di adattarsi e di costruire il suo futuro anche quando lo stesso dovesse costare dolore o scelte drastiche - dall'abbandono subito da parte del padre al destino dell'esattore suo primo referente, dal rapporto con il Khan a quello con il suo legittimo erede -: un charachter non privo di ombre, ma assolutamente affascinante e reso bene dal semisconosciuto attore italiano Lorenzo Richelmy, che prima di essere rilanciato da Netflix aveva un destino già scritto come volto per le classiche e pessime fiction made in Terra dei cachi, che nell'incedere delle dieci puntate di questa densa prima stagione ha modo di interfacciarsi con l'approccio rude del mongolo Kublai, tagliente del quasi cinese suo erede, mellifluo e cospiratore del ministro dell'economia di origine persiana, marziale e deciso del maestro Cento Occhi, nebuloso ed arraffone come quello di suo padre e suo zio.
Una sorta di babele medievale che pare tracciare un ponte ideale tra l'Alexander di Oliver Stone e l'epica cinese - come per il già citato La battaglia dei tre regni -, pronta a toccare realtà e leggende - ho molto gradito la parentesi dedicata alla setta degli Hashashin, che ha originato negli anni cose come la saga videoludica di Assassin's Creed o il Clan degli Assamiti nel gioco di ruolo Vampiri -, trame e sottotrame di corte - che, a quanto dato dall'ultimo episodio, pare saranno l'ossatura principale della seconda stagione - tanto quanto battaglie all'ultimo sangue - stupendi il duello tra Kublai e suo fratello e lo scontro tra Cento Occhi, Marco Polo e Sidao, brutale e d'acciaio il primo, leggiadro e quasi danzato il secondo -: uno specchio sul passato che, in qualche modo, ricorda a noi uomini del futuro quanta carne e sangue esistano dietro l'Umanità e la sua Storia.
Anche quando sono portate a corte con i vestiti migliori.





MrFord





"I come now
run for your shelters and caves
because I'm coming down
you are the one
precious one, 'cause I'm coming
I'm out for you kings and your knaves
the battle is on
you are the one
precious one, Temujin."
Avalon - "Temujin" - 






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