mercoledì 30 settembre 2015

Taxi Teheran

Regia: Jafar Panahi
Origine: Iran
Anno: 2015
Durata: 82'






La trama (con parole mie): Jafar Panahi, colonna del Cinema iraniano, regista pluripremiato in tutto il mondo, condannato dal regime ed impossibilitato ad esercitare la sua professione, gira il suo terzo lavoro di contrabbando mettendosi in gioco in prima persona, sfruttando un mezzo così ricco di storie come il taxi per raccontare, criticare, affrontare con ironia, rabbia e quasi complicità la società iraniana e tutte le sue contraddizioni.
Specchiandosi nei passeggeri occasionali e non di una giornata di lavoro, tra incidenti stradali, dibattiti sull'utilizzo della pena di morte, ricordi, situazioni al limite del surreale, Panahi cerca di dare voce alla gente della strada che potrebbe non avere mai la possibilità di comunicare al mondo a causa della difficoltà, in Iran, di realizzare un film effettivamente "distribuibile".








Una delle cose per le quali ringrazio maggiormente il mio periodo da radical chic cinefilo è stata la scoperta del Cinema iraniano, tra i più interessanti, profondi e vitali del panorama mondiale: ricordo ancora benissimo la prima volta che mi capitò di affrontare la visione de Il sapore della ciliegia, Capolavoro totale di Abbas Kiarostami, così come quando, proprio a partire dal Maestro, giunsi a scoprire quello che era stato, in più di un senso, un suo allievo, Jafar Panahi.
Gli ottimi Il cerchio e Lo specchio mi colpirono con una forza notevole, e con Oro rosso ebbi l'impressione che dall'Iran avremmo avuto solo doni importanti, come pubblico, rispetto al Cinema: peccato che, a seguito delle sue posizioni opposte a quelle del regime, Panahi stesso abbia passato la maggior parte degli ultimi dodici anni a combattere per la libertà di espressione, artistica e culturale del suo Paese, finendo in carcere e divenendo uno dei bersagli simbolo dell'ordine costituito, finendo per compromettere - nonostante i premi che continua a raccogliere - la sua carriera come regista.
In questo senso, Taxi Teheran è un'opera fondamentale, giustamente riconosciuta come il testamento ironico ma non per questo privo di mordente di un uomo che è stato privato della sua Libertà in un Paese che, nonostante tutto, continua ad amare profondamente, simbolo della determinazione di un Autore che è stato ed è assolutamente importante per il Cinema tutto, e che andrebbe giustamente preso come esempio non soltanto per la sua lotta contro il regime ed il potere, ma anche e soprattutto per la determinazione con la quale insegue la sua vocazione.
Eppure, da amante del lavoro del buon, vecchio, pacioso Jafar, qualcosa in questo suo decisamente incensato lavoro non mi ha convinto fino alla fine: così come accadde, infatti, per Kim Ki Duk nel suo Arirang, mi è parso di notare, in alcuni passaggi di quest'ultimo lavoro di Panahi premiato a Berlino con l'Orso d'oro per il miglior film, un certo compiacimento ed un manierismo mascherato da artigianato low budget totale che ha finito, a tratti, per rendere la visione quasi antipatica, come se lo stesso Panahi avesse fatto il passo più lungo della gamba e tentasse di convincermi rispetto a qualcosa rispetto alla quale, di fatto, sono già assolutamente ed abbondantemente dalla sua parte.
Il tutto senza contare che, rispetto ai già citati film di fiction che fecero la sua fortuna - almeno qui al Saloon - ed al molto interessante Offside, l'utilizzo di una tecnica come quella della ripresa "di fortuna" finisce in più di un'occasione per stuzzicare il dubbio rispetto al fatto che tutto possa essere frutto di un'incredibile e più che convincente operazione di finto realismo a tutti i costi animato, di fondo, dalla finzione cinematografica stessa: non a caso le parti più interessanti appaiono quelle che in qualche modo si prendono gioco della "forma", dal rapporto con il venditore di dvd illegali ed i consigli cinematografici al giovane aspirante regista che chiede un'opinione rispetto a quali titoli acquistare o il rapporto con le due anziane signore preda della loro superstizione e del pellegrinaggio ittico che ne consegue.
Meno riuscita - dal mio punto di vista, si intende - la parte dedicata alla nipote, decisamente troppo costruita per fare davvero breccia nel cuore dello spettatore, e quella dell'incidente, di fatto una sorta di versione hollywoodiana d'impatto trapiantata a Teheran con mezzi di fortuna: con questo non voglio criticare troppo una pellicola che, nella condizione di Panahi, finisce per essere più che fondamentale, quanto più che altro ricordare che le capacità di questo straordinario Autore, a prescindere dalle limitazioni, sono molto, molto maggiori rispetto a quelle che la voglia di convogliare la rabbia potrebbe suggerire.
In un certo senso Panahi, per tornare ad essere il Panahi migliore e mostrare al regime non quello che il regime si aspetta da lui, ma la sua forza, dovrebbe forse smettere almeno per un pò di essere Panahi, ed essere solo un regista che vuole raccontare una storia.
Che, sono sicuro, non faticherebbe a diventare la sua storia.




MrFord




"The days are better, the nights are still so lonely
sometimes I think I'm the only cab on the road
sometimes I think I'm the only cab on the road
watching my breath rise in the sun
pulling myself in two made one
helplessly feel for my phone and drive away."
Train - "Cab" -




martedì 29 settembre 2015

Quando c'era Marnie

Regia: Hiromasa Yonebayashi
Origine: Giappone
Anno: 2014
Durata:
103'






La trama (con parole mie): Anna è una ragazzina chiusa ed introversa cresciuta con genitori adottivi con i quali, con il passare del tempo, il rapporto si è molto complicato. Quando, a causa dei problemi con l'asma, da Sapporo per le vacanze estive viene mandata da due parenti della madre putativa in Hokkaido, in modo che il mare possa aiutarla, Anna finisce per incappare nelle stesse complicate dinamiche sociali che la tormentavano in città.
Quando, però, conosce Marnie, misteriosa coetanea che abita in una villa non lontana dalla casa dove è ospite Anna, e finisce per comparirle anche in sogno, tutto cambia: tra le due si crea un legame sempre più forte, che finisce per stimolare entrambe a cercare di trovare la propria strada, la propria identità: questo fino a quando Anna scopre che la villa è in realtà in pieno restauro, e la bambina figlia dei nuovi proprietari le rivela aver trovato un diario appartenuto proprio ad una Marnie.
Quale sarà, dunque, il mistero legato all'amica ormai radicata nel cuore di Anna?










Senza alcun dubbio, anche tra un centinaio di anni, quando si parlerà dello Studio Ghibli, ogni cinefilo che si rispetti si toglierà il cappello di fronte all'operato di questa realtà a dir poco incredibile nata ormai più di trent'anni fa che è stata in grado di regalare al pubblico ed agli appassionati non solo alcuni tra i più grandi Capolavori dell'animazione, ma anche e soprattutto un modo di raccontare la vita e le emozioni che suscita attraverso una semplicità disarmante e profondissima.
Del resto, quando si tratta di Maestri come Miyazaki e Takahata, il risultato è una garanzia, eppure il Ghibli ha finito per rivelare al mondo anche talenti come quello di Hiromasa Yonebayashi, già apprezzatissimo da queste parti per il suo Arrietty: con questo Quando c'era Marnie, firmato dallo stesso Yonebayashi, pare che l'avventura del mitico Studio sia giunta al termine, complice anche il ritiro dello stesso Miyazaki dalle scene.
Sinceramente, mi piace pensare che una delle cose più belle delle cose più belle, è la consapevolezza che giungano, prima o poi, ed inevitabilmente, alla loro conclusione, un pò come la vita - per quanto, se dipendesse dal sottoscritto, farei la firma per l'immortalità, con tutto quello che voglio scoprire, vedere, imparare -, e che a volte il fascino sia anche che non sia tutto perfetto ed infallibile.
Perchè Quando c'era Marnie è un ottimo prodotto dal punto di vista tecnico, ne ho apprezzato tantissimo l'animazione, la placida calma anche nei momenti di maggiore "tensione", lo spirito - tipico del Ghibli - di ricerca della pace interiore attraverso la Natura ed i suoi paesaggi, il passato ed il futuro che si mescolano tra loro, eppure è ben lontano dall'essere una pietra miliare come Il mio vicino Totoro o La storia della principessa splendente.
Fin dalla sua uscita - a prescindere dalla scellerata programmazione italiana, che l'ha visto in sala soltanto per un weekend - questo titolo ha finito per dividere e non poco i fan del Ghibli, pronti a difenderlo a spada tratta o storcere il naso di fronte ad un prodotto di una caratura inferiore rispetto a quelli cui i fondatori dello Studio hanno abituato i loro fan nel corso dei decenni: personalmente ho trovato Quando c'era Marnie debole soprattutto dal punto di vista della sceneggiatura - non ho letto il romanzo dal quale è tratto, ma faccio conto che si parta da zero - e troppo sbrigativo nel finale, quando la risoluzione del mistero che circonda la bionda amica della protagonista diviene finalmente realtà - ed in questo Yonebayashi è caduto in uno dei difetti del suo Maestro Miyazaki, che in un paio di occasioni è partito dal Capolavoro per scendere al "solo" buono proprio per aver accelerato troppo sulla conclusione, quasi si fosse accorto che l'intreccio costruito fino a tre quarti di film andava risolto nell'ultimo quarto d'ora, come accadde per lo splendido a metà Il castello errante di Howl -, quasi ci si volesse accontentare soltanto dell'impatto emotivo che avrebbe avuto la rivelazione a proposito di Marnie sul pubblico così come sulla giovanissima protagonista della vicenda.
Appurato questo, il lavoro del buon Hiromasa resta comunque in grado di interpretare alla grandissima lo spirito del Ghibli e lavorare sulle emozioni ed i sentimenti dell'audience, e malgrado non sia all'altezza delle sue ispirazioni, ha finito per solleticare il cuore del sottoscritto anche a fronte dei suoi difetti, e di trasportarmi in un mondo quasi magico in cui, come da bambino, sognavo di passare le vacanze in luoghi pronti ad affascinarmi ed aprire nuovi orizzonti capaci di cambiare, di fatto, anche la percezione del futuro, e non solo del presente.
Non so se questo sarà l'ultimo film dello Studio Ghibli, ma francamente, anche se dovesse essere così, il saluto di questa straordinaria realtà cinematografica è stato fatto nel pieno rispetto di quelle che sono state, da sempre, le sue linee guida principali.
Ed è difficile, avendo amato tutti i film targati Totoro, non accorgersene ed impedirsi di voler bene anche alla struggente storia di Anna e Marnie.




MrFord




"Goodbye Grandma, sleep well tonight 
dream of all your younger days
way before time had left you sad
and store yourself away."
Elton John - "Goodbye Grandma" - 




lunedì 28 settembre 2015

Un disastro di ragazza

Regia: Judd Apatow
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 125'





La trama (con parole mie): Amy, che con la sorella minore Kim ha subito da bambina il trauma della separazione dei genitori, ha sviluppando crescendo lo stesso rapporto con la vita e le relazioni del padre, dedito a notti brave, alcool e sesso occasionale come se piovessero, incapace di credere nella monogamia.
Kim, al contrario, ha finito per sposarsi con un uomo già genitore a sua volta, continuando a credere nella solidità della famiglia come concetto.
Quando, parallelamente al peggioramento della malattia del padre, ad Amy viene assegnato un incarico dalla rivista per la quale lavora legato alla medicina sportiva ed in quel contesto conosce Aaron, la sua vita sentimentale subisce uno sconvolgimento: dopo aver rotto con il presunto fidanzato Steven, infatti, la donna dovrà fronteggiare l'evidenza della sua prima, grande, vera cotta, e considerare il fatto che una storia impegnata è possibile. Riuscirà nell'impresa?









Ho sempre pensato che realizzare un film sia un lavoro enorme, che richiede uno sforzo titanico a chiunque ne prenda parte, dai tecnici di supporto fino agli attori principali ed al regista: una specie di rappresentazione della vita in famiglia, o di un rapporto di coppia che sia o abbia qualche possibilità di essere duraturo.
E con duraturo non intendo rose e fiori, sia chiaro, quanto più "guns and roses": in questo senso, c'è una scena di Trainwreck - adattato come di consueto scandalosamente in Un disastro di ragazza - che mi ha colpito molto: Amy ed Aaron litigano, e mentre lei tenta di fare tutto il possibile per rendere la cosa irreparabile, il suo compagno risponde che è normale che stiano discutendo, che una volta passata faranno la pace e tutto potrà ricominciare.
Allo stesso modo, l'apertura con la splendida spiegazione del padre in procinto di lasciare casa a seguito della separazione intento a spiegare in forma molto personale il concetto di tradimento ha solleticato e non poco tutto il lato del mio carattere che deve tanto a casinisti come Hank Moody o, per l'appunto, Amy e il suo vecchio.
Questo perchè nella mia vita sono stato da entrambi i lati di queste barricate, e sento che, in un modo o nell'altro, entrambi mi appartengano e contribuiscano o abbiano contribuito a costruire, nel bene o nel male, quello che sono: in un certo senso, pensando al genitore di Amy e di sua sorella Kim, qualcuno che riesce benissimo ad essere uno stronzo, ma che ha la stessa capacità di diventare il preferito di qualcuno.
La cosa che rende Un disastro di ragazza ancora più interessante, almeno ai miei occhi di bestiale esponente del sesso maschile, è che a scriverlo sia stata la sorprendente Amy Schumer, che non è neppure lontanamente figa o simpatica - anzi, il più delle volte la sensazione che più suscita è quella di solleticare gran schiaffi in faccia, a meno che non si tratti di bere insieme - ma che come sceneggiatrice deve sapere proprio bene come si costruisce una commedia con le palle, e che trova in Apatow - uno dei re dell'approccio maschile al genere - un compagno ideale per regalare al pubblico quella che non solo promette di essere la proposta di genere più interessante del panorama USA di quest'anno, ma anche uno dei lavori migliori del regista, che prosegue nel suo percorso di esplorazione dei quarantenni o quasi dopo il già più che discreto This is 40.
Come se non bastasse, finiamo per trovarci nel bel mezzo di una romcom alla rovescia, con una protagonista femminile pronta a pensare solo alla soddisfazione del momento, alla scopata del giorno o alla sbornia che sarà preludio della stessa ed una serie di spalle maschili pronte a mostrare il loro lato romantico o vulnerabile, anche e soprattutto dal punto di vista dell'ironia sboccata e verace della protagonista: esempi perfetti, in questo senso, più che l'azzeccato Bill Hader, i due sportivi Lebron James - strepitoso nel ruolo dell'amico dell'innamorato che rischia di uscire a pezzi dalla storia con la schiacciasassi Amy - e John Cena - che non solo finisce per prendere per il culo alla grande se stesso in quanto bodybuilder e wrestler, nonchè esponente della categoria troppo spesso erroneamente considerata come quella dei maschi alfa, ma che regala una sequenza da lacrime quando nel corso di una visione in sala con tanto di partecipazioni di Daniel Radcliffe e Marisa Tomei impazzisce all'idea di essere paragonato a Marc Wahlberg -, pronti a mettersi alla berlina per dimostrare che, al cospetto di determinate dinamiche, regole e questioni sentimentali - e di sesso, ovviamente - siamo tutti sulla stessa barca, e più che come siamo, o quali siano le parti predominanti del nostro carattere, abbiamo la possibilità di poter costruire qualcosa, e non solo distruggere.
Un film dolceamaro che non riesce a deragliare neppure con la giusta quanto telefonata parte finale, e che permette di concedersi risate sguaiate ed una punta di commozione - la già indirettamente citata sequenza a proposito dell'essere, nonostante il proprio carattere, i preferiti di qualcuno -, scritto e diretto con onestà e mestiere, in grado di raccontare come funziona per certi versi la vita e di farlo senza avere pretese, ma al contrario trasmettendo ai suoi interpreti la voglia di divertirsi nel dialogare con il pubblico neanche fosse un primo appuntamento che si vuole sfruttare per fare colpo.
Poi, certo, personalmente non ho amato particolarmente Amy Schumer.
Personaggio o persona dietro il personaggio che dir si voglia.
Ma poco importa.
In fondo, i rapporti migliori li costruiamo tutti sui difetti che finiscono, un giorno dopo l'altro, per farci amare chi è destinato a diventare una presenza importante nella nostra vita.





MrFord





"I'm gonna try for an uptown girl
she's been living in her white bread world
as long as anyone with hot blood can
and now she's looking for a downtown man
that's what I am."
Billy Joel - "Uptown girl" -





domenica 27 settembre 2015

Black Mirror - Stagioni 1 e 2

Produzione: Channel 4
Origine:
UK
Anno: 2011, 2013
Episodi:
3+3





La trama (con parole mie): dal futuro del lavoro e delle illusioni da grande - e grandissimo - schermo ai ricordi manipolati, dalla politica distorta alla solitudine ed al superamento del dolore, un'esplorazione del presente in divenire dell'Uomo e dei sentimenti passata attraverso la distopia. Quali confini nasconde il nostro animo? Fino a che punto siamo disposti a spingerci per rispondere ad un ricatto, assaporare il successo, tornare a toccare o sfiorare per la prima volta la persona amata? 
Spogliati del Tempo e dei contesti, uomini e donne assolutamente normali tentano di scoprire la loro risposta di fronte ad un banco di prova enorme: quello della vita.
Troveranno quello che cercano, o il loro ulteriore futuro sarà anche peggiore di quello che si prospetta per noi? Quale immagine si mostrerà a chi deciderà di specchiarsi nell'immagine dei lati più oscuri dell'anima?








Negli ultimi dieci anni l'universo delle serie televisive ha conosciuto, senza dubbio, il suo periodo migliore di sempre, dall'esplosione del fenomeno Lost al fiorire di proposte pronte a garantire una qualità degna del grande schermo e a "rubare" allo stesso molti protagonisti.
Ma non è stato soltanto il colosso statunitense a produrre titoli degni di nota, e da Misfits - almeno per quanto riguarda le prime due stagioni - a Broadchurch, il Regno Unito si è rivelato una garanzia di qualità pronta a stupire un pubblico magari più ristretto ma non per questo poco esigente: da tempo, qui nella blogosfera e non, sentivo parlare di Black Mirror, miniserie progettata per esplorare un futuro più o meno prossimo che aveva riscosso pareri a volte entusiastici con la sua analisi della distopia e dello sci-fi.
Rispetto a Dead set - creatura uscita dalla stessa penna - il passo avanti è sicuramente notevole, e l'esperimento è senza dubbio interessante, anche se, a conti fatti, ho trovato le due stagioni meno strepitose di quanto le aspettative non prevedessero, forse patendo una struttura ad episodi che non garantisce sempre lo stesso livello di soddisfazione ed un approccio clamorosamente freddo, che ha finito in alcuni casi per sconfinare quasi nella noia.
Non che questo significhi una bocciatura per il lavoro di Charlie Brooker, che risulta assolutamente valido ed in grado di analizzare la nostra società attraverso la lente dei singoli racconti, ambientati in un mondo ipotetico e futuro ma clamorosamente vicini alla realtà che viviamo quotidianamente: una sorta di cocktail discretamente alcolico di Her e Se mi lasci ti cancello, senza dimenticare una spruzzata di incubo sociale in pieno stile Minority report.
In questo senso, dei tre episodi della prima stagione ho finito per preferire il secondo, Fifteen million merits, ambientato in una società orwelliana dominata da un reality show che ben fotografa la febbre da notorietà e da sogni venduti a caro prezzo ai "comuni mortali" dai gestori del potere.
Gli altri due, il più che critico rispetto a politica e social networks The National Anthem e The entire history of you, interessanti soprattutto per le osservazioni sulla società, mi sono parsi invece solo discreti, incapaci di raggiungere il livello del già citato Fifteen million merits.
L'annata numero due, invece, ha rappresentato senza dubbio un salto in avanti sia per quanto riguarda l'approccio - meno distaccato e più coinvolgente per il pubblico - che per il valore complessivo delle storie narrate: nella prima assistiamo al confronto tra una giovane donna innamorata e rimasta incinta ed il simulacro artificiale comandato da un computer del suo compagno, morto improvvisamente in un incidente stradale, forse il più lirico ed intenso tra tutti gli episodi; con White bear si cambia registro aumentando in un certo senso la potenza, mentre con il conclusivo The Waldo Moment forse finiamo per trovarci di fronte al punto più alto della serie: una riflessione spietata e decisamente inquietante sui poteri della politica e della comunicazione, ormai dominanti nel nostro mondo e divenuti superiori a quelli più naturali che regolano i bisogni istintivi della vita stessa.
La vicenda di Jamie, comico assunto per impersonare l'irriverente pupazzo Waldo finito per divenire prigioniero prima dello stesso e dunque del Sistema risulta assolutamente esemplare della condizione in cui noi stessi viviamo, spesso e volentieri e non sempre consapevoli pupazzi nelle mani di un mondo - e di un'organizzazione - più grande di noi pronto a vendere prodotti il più possibile applicabili alla società ormai globalizzata.
In un certo senso, finiamo per essere tutti Waldo.
E per votare pupazzi che ricordano da vicino l'immagine distorta di un black mirror da incubo.




MrFord




"Shot by a security camera
you can't watch your own image
and also look yourself in the eye
black mirror, black mirror, black mirror."
The Arcade Fire - "Black mirror" - 




sabato 26 settembre 2015

African cats - Il regno del coraggio

Regia: Alastair Fothergill, Keith Scholey
Origine: USA
Anno: 2011
Durata: 89'





La trama (con parole mie): nel cuore della riserva Maasai Mara, in Kenya, vivono le stagioni ed il loro susseguirsi animali nomadi e stanziali, solitari o abituati a vivere in branco, predatori come coccodrilli o tranquilli erbivori come antilopi e giraffe. 
In ognuno di loro, però, vive l'istinto più forte in Natura, quello che lega madri e figli: in questo contesto seguiamo le vicende parallele di Mara e Sita, leonessa e ghepardo, alle prese con la dura realtà della sopravvivenza e quella che lega indissolubilmente genitori e prole anche nel regno animale: le vicende che travolgono il branco di Mara, sconvolto da una successione in termini di potere del leone dominante, e quelle che vedono l'indipendente Sita lottare per la sopravvivenza e la crescita dei suoi cuccioli.
Riusciranno nei loro intenti, o la crudeltà che a volte mostra la Natura avrà il sopravvento su di loro?








La passione che sta sviluppando il Fordino per gli animali è ormai una delle grandi certezze del Saloon, a partire dalla splendida giornata passata qualche mese fa allo Zoo di Barcellona - che il Fordino ancora cita facendo un elenco degli animali che ha visto - fino alle visioni, che di norma, dall'animazione ai veri e propri film, finiscono per essere wild animals oriented: quando, non troppo tempo fa, passò il trailer di African Cats sul dvd de Il re leone, il più piccolo della tribù si profuse in un ovazione da stadio, inducendomi a recuperare quanto prima il titolo suddetto.
In tutta onestà, essendo una produzione figlia della grande D costruita come un documentario "romanzato" - del resto, il successo di questo tipo di format è noto dai tempi de La marcia dei pinguini -, non nutrivo grandi aspettative o speranze, e pensavo che avrei finito per metterlo come sottofondo nel corso delle sessioni intensive di gioco o per occupare AleLeo mentre il suo vecchio si dedica ai fornelli o prende cinque minuti di pausa dal suo ruolo di pupazzone formato famiglia: devo ammettere che, visione - pur se frammentaria - alle spalle, il lavoro di Fothergill e Scholey funziona, affascina nonostante la narrazione troppo enfatizzata dalla voce off di Claudia Cardinale - molto meglio l'originale, con Samuel Jackson e Patrick Stewart come narratori -, esalta alla grande l'hd e mostra senza troppi sconti anche le parti meno "carine e coccolose" del mondo degli animali e della Natura.
In questo senso, spiegare al Fordino che il ghepardo non è arrabbiato quando insegue la gazzella e l'azzanna, ma che semplicemente sta procurando il cibo ai suoi cuccioli è una delle prime lezioni rispetto alle regole del mondo che il Cinema mi permetta di cominciare a trasmettergli, e se a questo tipo di riflessioni si aggiunge la presenza di alcune delle sue specie preferite in assoluto - elefanti, coccodrilli ed ippopotami, frutto di ulteriori ovazioni da stadio e di uno dei neologismi che amiamo di più, "Potottii" - il gioco è fatto: abbiamo di fronte mesi e mesi di ripetuti passaggi nel lettore bluray delle vicende di Mara e Sita, della rivalità tra i due leoni alfa che vivono ai lati del fiume infestato dai coccodrilli e dei paesaggi mozzafiato del Kenya, che spero un giorno o l'altro possano essere i protagonisti di un viaggione zaino in spalla di tutti i Ford, ed alimentare i sogni di esplorazione e scoperta di AleLeo, che spero possa mantenere il più possibile della curiosità entusiasta che soltanto i bambini alla scoperta del mondo e della vita a quell'età possono avere.
Nel frattempo, il vecchio leone sarà sempre accanto a suo figlio, pronto a dargli tutto l'aiuto possibile e a lottare con lui e per lui: se, poi, nonostante il nome non dovesse essere la scelta preferita, mi metto tranquillamente a disposizione per diventare un coccodrillo o un potottio.
In fondo, mi basta stare al suo fianco.




MrFord




"Slow cheetah come
before my forest
looks like it's on today
slow cheetah come
it's so euphoric
no matter what they say."
Red Hot Chili Peppers - "Slow cheetah" -





venerdì 25 settembre 2015

Lord of tears

Regia: Lawrie Brewster
Origine: UK
Anno: 2013
Durata: 100'





La trama (con parole mie): James Findlay, alla morte della vecchia madre con la quale non aveva più rapporti da anni, scopre che quest'ultima ha deciso di lasciargli non solo la casa in cui abitava, ma anche una residenza nella quale lui stesso aveva passato l'infanzia, e che causò una frattura insanabile nella famiglia e la quasi follia di James, allora bambino.
Deciso a fare luce sui propri ricordi e sul perchè la donna abbia deciso che proprio a lui andasse questa eredità evidentemente pericolosa, Findlay si recherà in visita alla magione solo per conoscere Evie, una ragazza con la quale fin da subito instaura un legame profondo che gli permette di fare fronte a misteriosi incubi e sogni ad occhi aperti che lo vedono fronteggiare un terrificante Uomo Gufo, che pare essere deciso ad impossessarsi proprio di lui.








Una delle cose più belle e delle quali ringrazio per questi anni passati nell'universo della rete e della blogosfera è ed è stata la possibilità di scovare pellicole che, di norma, sarebbe difficile scoprire o pensare di recuperare, e che proprio grazie al passaparola, invece, diventano dei must see più o meno fortunati: Lord of tears, rimbalzato con effetti assolutamente imprevedibili in più blog qualche settimana fa, mi aveva affascinato prima di tutto per il suo protagonista - un improbabile Uomo Gufo -, dunque per il fatto di aver riscosso un inaspettato successo o incassato stroncature roboanti.
Personalmente, non covavo chissà quali aspettative, e non sapevo se sperare più in qualcosa in stile Sharknado o un prodotto spaventoso ed inquietante nonostante la produzione low cost - in questo senso, conto sempre di riproporre, prima o poi, Lidris cuadrade di tre qui al Saloon -: peccato che, a conti fatti, il lavoro di Lawrie Brewster si sia rivelato una pura, semplice, clamorosa schifezza senza possibilità di appello, con poche idee - e molto confuse -, una trama che se ne fotte allegramente della logica - una cosa che in un horror rompe immediatamente l'incantesimo nello spettatore - ed una recitazione degna della storica ed indimenticata telenovela piemontese portata alla ribalta dalla Gialappa's un paio di decenni or sono - in particolare, ho patito la recitazione perennemente sopra le righe ed involontariamente ridicola della protagonista femminile Alexandra Nicole Hume, che regala uno dei momenti più trash della Storia dell'horror con la camminata seducente scendendo dalla scala a chiocciola che conduce alla piscina dove il protagonista la sta aspettando -.
Come se non bastasse tutto questo scempio, ho trovato il montaggio di Lord of tears uno dei peggiori che abbia mai avuto modo di osservare, e l'utilizzo dello stesso a fare da rafforzativo alla narrazione della voce off mi è parso, in termini di storytelling, degno delle bottigliate dei tempi migliori: e se, a due terzi della pellicola, nonostante il twist telefonatissimo, pare quasi di cogliere un barlume di speranza sul risultato finale, proprio l'epilogo demolisce ogni pensiero legato ad un'eventuale rivalutazione delle gesta dell'Uomo Gufo piazzando Lord of tears di diritto tra i film peggiori dell'anno, e tra gli horror più scarsi che mi sia capitato di vedere, incapace di farmi incazzare come il secondo Human Centipede o di farmi divertire - pur se involontariamente - come il già citato Sharknado.
Peccato, comunque, perchè l'idea del Moloch e l'ambientazione molto anglosassone - una sorta di incrocio tra il fascino del Lochness e l'atmosfera da romanzo gotico -, uniti alla presenza del santuario pagano collegato alla cantina della villa - che ricordava tanto il decisamente interessante The conjuring - potevano far fruttare il tutto in maniera decisamente maggiore, insieme ad un pò più di logica - per quale motivo una madre che per tutta la vita e per proteggere il figlio ha rinunciato addirittura a parlargli dovrebbe lasciargli in eredità la villa che è origine di tutti i loro problemi intimandogli di non recarsi assolutamente sul posto!? -, attori meno cani, un comparto tecnico degno ed un taglio netto agli sproloqui aulici dell'Uomo Gufo.
A conti fatti, effettivamente, mancava davvero troppo per poter sperare di avere un risultato decente.
Anche per uno spettatore senza troppe pretese come il sottoscritto.




MrFord




"Fall into the strangle, skip around the neck
this albatross is warning with extreme prejudice
when you walk the plank, tell me what you see
Moloch in the time of mutiny."
The Mars Volta - "Molochwalker" -





giovedì 24 settembre 2015

Thursday's child

La trama (con parole mie): l'autunno è ormai cominciato, e la grande corsa verso le classifiche ed i bilanci di fine anno con lui. Per ora, le certezze restano la consueta follia in termini cinematografici del mio antagonista nonchè co-conduttore della rubrica Cannibal Kid e la crisi della blogosfera, che attraversa un periodo di stanca come pochi altri se n'erano visti finora.
Speriamo, quantomeno, che le visioni ci riservino sorprese interessanti.


"Per quale festa siamo stati ingaggiati?" "Il compleanno di un certo Peppa Kid."
The Green Inferno

"Quello è Cannibal Kid: tienitene sempre alla larga."
Cannibal dice: Eli Roth è un grande! Non sempre fa film eccezionali, però è un grande. Questa volta si è cimentato con un remake non ufficiale di Cannibal Holocaust, pellicola che a sorpresa nonostante il titolo non ho mai visto. Si preannuncia un film estremo, splatteroso e violentissimo, di quelli che quel moralista bigotto repubblicano di Mr. James Donald Trump Ford è già pronto a bacchettare. Sempre che non passi tutto il tempo della visione a coprirsi gli occhi con le manine dalla fifa.
Ford dice: Eli Roth, che per gli occupanti di casa Ford resterà per sempre l'Orso ebreo di Bastardi senza gloria, mi è sempre stato simpatico nonostante un gusto un po' troppo sopra le righe, e sono molto curioso di scoprire come apparirà questo sulla carta splatterissimo e scandaloso The Green Inferno.
Personalmente, spero faccia cacare sotto quel pusillanime di Peppa e mi diverta forte.



Magic Mike XXL

"Katniss Kid, con questo anello io ti sposo."
Cannibal dice: Gli stripper muscolosi sono tornati e questa volta in versione XXL. Ford, vedi di tenere a bada gli ormoni!
Per quanto il primo film mi fosse piaciuto, non sentivo un enorme bisogno di un suo sequel, soprattutto senza la regia di Steven Soderbergh e la presenza di un attorone come Matthew McConaughey. Senza di loro, quello che ne resta mi sa solo di uno spettacolo buono per fan allupati dei muscoli come Mr. Ford.
Ford dice: il primo Magic Mike è stato una sorpresa decisamente interessante, uno spaccato sulla crisi che andava oltre muscoli ed olio. Questo sequel nasce sotto una stella decisamente meno luminosa, considerate le assenze illustri di Soderbergh e McConaughey. Una visione, comunque, non fosse altro che per solidarietà tra palestromani, la concederò.



Everest

"Ragazzi, non so se era il caso di accettare la proposta di Ford di fare una scampagnata in montagna!"
Cannibal dice: L'Everest sarà anche la montagna più alta del mondo, ma le mia aspettative nei confronti di questo film sono piuttosto bassine. Mi interessa più che altro per Jake Gyllenhaal, che qui comunque pare non sia il protagonista principale, per il resto mi sembra una pellicola avventurosa di quelle che lascio scalare a Ford. Da solo.
Ford dice: nonostante la tiepida accoglienza a Venezia, l'idea di godermi questa sorta di action alpino firmato dal discreto Kormakur mi esalta non poco, e sono sicuro che risulterà essere uno dei guilty pleasures maggiori della parte finale dell'anno fordiano, alla facciazza del mio rivale Cannibal, che di fronte a tutto quello che comporta un qualche sforzo fisico e rischio scappa come una mammoletta.



Sicario

"Cannibal, se metti anche solo un piede sulla mia proprietà, ti vaporizzo!"
Cannibal dice: Questo potrebbe essere il film della settimana. Denis Villeneuve dopo Polytechnique, La donna che canta, Prisoners ed Enemy è pronto a regalarci un'altra pellicola coraggiosa e affascinante. La curiosità c'è, le buone premesse pure, speriamo solo non si riveli una deludente fordianata.
Ford dice: nonostante la parziale delusione di Enemy - interessante solo per la grande performance del solito Gyllenhaal - Villeneuve resta uno dei registi più interessanti del panorama nordamericano attuale, e considerate le premesse decisamente interessanti, questo Sicario potrebbe trasformarsi nell'uscita della settimana e riuscire nell'impresa di mettere d'accordo perfino il sottoscritto e quel disgraziato di Peppa Kid.



Wim Wenders - Ritorno alla vita

"Caro Cannibal, te ne prego, chiudi il blog e ritirati a vita privata."
Cannibal dice: Wim Wenders sarà anche un regista di richiamo, ma non capisco perché abbiano dovuto mettere il suo nome nel titolo italiano della pellicola...
Certo che i titolisti nostrani sono più fuori di brocca di Ford!
Wenders comunque non è un regista che ho mai seguito più di tanto, troppo fordiano per i miei gusti, però in questo caso il cast è super: James Franco + Charlotte Gainsbourg + la sempre + splendida Rachel McAdams, quindi mi toccherà vederlo. Anche perché si preannuncia una radical-chiccata coi fiocchi!
Ford dice: Wenders mi è sempre stato simpatico, nonostante sia, di fatto, uno dei registi più radical che la grande distribuzione conosca ed apprezzi, ed in passato più di una volta ho trovato davvero ammirevoli i suoi lavori.
In questo caso sono piuttosto scettico, considerato che sento puzza di cannibalata ad un miglio di distanza, ma penso che, all'occorrenza, un'occasione potrò comunque darla, se non altro scaldando le bottigliate delle grandi occasioni.



The Transporter Legacy

"La prossima volta che qualcuno mi convince ad andare in macchina con Ford, lo massacro."
Cannibal dice: Troooppo una merdat... volevo dire una fordianata, la saga di The Transporter. E a questo giro non c'è manco Jason Statham. Non mi faccio quindi trasportare al cinema manco per sbaglio.
Ford dice: Transporter senza Statham è come il White Russian senza panna, o questa rubrica senza Ford. Una vera schifezza.



Arianna

"Ho appena visto l'ultimo film esaltato da Cannibal: non mi resta che togliermi la vita."
Cannibal dice: Film italiano sulla confusione sessuale. Ma tanto questa settimana a mettere in discussione i gusti sessuali miei, e soprattutto quelli di Ford, ci pensa già Magic Mike XXL ahahahah.
Ford dice: il Cinema italiano non naviga mai in buone acque, da queste parti. Non credo che Arianna potrà far ritrovare allo stesso il filo.



L'esigenza di unirmi ogni volta con te

"Quelli sono Ford e Cannibal." "Stiamo alla larga, è gente poco raccomandabile."
Cannibal dice: Drammone sentimentale con Claudia Gerini e... Marco Bocci?!?
Non ci siamo proprio.
Quanto a te, Ford, quando leggo un tuo commento, sento l'esigenza di non unirmi ogni volta con te e con questa rubrica.
Ford dice: ho l'esigenza di ignorare l'esistenza di questo film. Quasi più di quella di Cannibal Kid.



La prima luce

"Are you talkin' to me!?"
Cannibal dice: Al contrario di molti, non ho niente contro Riccardo Scamarcio. Allo stesso tempo, non sento nemmeno la fortissima necessità di vedere un film che lo vede come protagonista. La prima luce non rappresenta perciò di certo la mia prima scelta della settimana. Così come WhiteRussian non rappresenta la mia prima scelta tra i siti da visitare. E manco la seconda.
Ford dice: non credo vedrò la luce buttandomi nella visione di questo film, così come non la vedrò leggendo le astruse recensioni del mio rivale.
Passo, dunque, senza ritegno, già sapendo che il Cannibale sarà pronto a sviolinare qualcuna delle sue sparate.



Stalking Eva

"Ho appena finito quell'incontro di wrestling con Cannibal. L'ho massacrato."
Cannibal dice: Gli stalker-thrillerini di solito sono un mio guilty pleasure. Questa poco promettente produzione italiana mi sa però di roba che non voglio stalkerare manco per sbaglio. Come Ford quando si fa la doccia.
Ford dice: le possibilità che stalkerizzi un film del genere sono le stesse che di colpo comincino a piacermi i dischi e le pellicole che fanno impazzire Peppa. Molte, molte meno di zero.



Un mondo fragile

"Questa sì, che è vita! Un vero momento di relax fordiano. Manca solo l'alcool."
Cannibal dice: La storia di un vecchio contadino la lascio volentieri al vecchio Ford. Io vado a vedermi un film teen, e di corsa!
Ford dice: non sarebbe male riportare alla terra le braccine di Cannibal, e farlo sfacchinare un po' con del vecchio, sano lavoro fisico.

Lavoro forzato, nello specifico.


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