lunedì 30 settembre 2013

Redemption

Regia: Steven Knight
Origine: UK, USA
Anno: 2013
Durata:
100'


 
La trama (con parole mie): Joey, un ex membro dei corpi speciali in preda ai sensi di colpa e al disturbo da stress post-traumatico a seguito delle sue azioni in Afganisthan, vive nelle zone più malfamate di Londra come un senzatetto, dedicandosi solo ed esclusivamente all'alcool.
Quando con una giovane amica viene assalito da due piccoli criminali ed è costretto alla fuga trovando rifugio nella casa vuota per qualche mese di un fotografo, qualcosa in lui scatta: rimessosi in forma e liberata la mente, infatti, Joey decide di lavorare per la Triade cinese mettendo da parte abbastanza soldi per assicurare un futuro alla figlia abbandonata anni prima e regalare almeno un pò di pace ai derelitti ospiti della missione curata dalla suora Cristina, una ragazza di origini polacche che avrebbe voluto fare la ballerina.
Una volta venuto a sapere che l'amica che era con lui la notte della sua "rinascita" è stata uccisa mentre si prostituiva, un altro obiettivo si aggiunge alla lista dell'uomo: trovare il responsabile e punirlo come solo Jason Statham potrebbe.




Di Steven Knight, onestissimo mestierante non più giovane da poco dedicatosi alla carriera di "solista" dietro la macchina da presa, si è fatto di recente un gran parlare per l'attesissimo Locke con protagonista Tom Hardy passato fuori concorso a Venezia, e qui al Saloon le aspettative in merito sono cresciute con la scoperta della realizzazione, quasi in stereo rispetto al titolo appena citato, di questo Redemption che conta come volto principale su uno dei fordiani ad honorem più amati da queste parti, Jason Statham.
Il risultato ha portato senza dubbio una visione più che dignitosa, tesa e gradevole quanto basta per un film che è effettivamente action ma che, dalla confezione - ottima la fotografia in pieno stile Refn - ai contenuti, mostra di avere ambizioni più autoriali decisamente poco spocchiose e sicuramente ben riposte nel buon, vecchio Steven: ma senza soffermarsi troppo sullo spessore decisamente più importante rispetto ai prodotti tamarri cui il granitico Jason ci ha abituati - del resto, quando c'è gente come lui in ballo, finisce per passare comunque in secondo piano -, posso dire che Redemption è stato in grado di regalarmi una serie di perle stathamiane non indifferenti fin dalle prime sequenze.
Si parte, infatti, con un flashback dei tempi della guerra in cui possiamo notare il Nostro completamente rasato in tenuta da killer fatto e finito - tanto da apparire uscito da videogiochi come Call of duty - per venire catapultati al presente "di crisi" del protagonista, presentato nella insolita veste di tossico ubriaco picchiato da due mezze tacche nonchè impresentabile a causa di una chioma decisamente poco fluente e parecchio unta, roba da fare accapponare la pelle di tutte le fan dell'Expendable.
Ma è soltanto l'inizio: perchè pronti via, ed il tempo di schiarirsi le idee, tagliarsi l'improbabile cavellata e rimettersi in forma, e Jason pare pronto a sfoderare il meglio del suo repertorio a partire da un pestaggio da manuale di un gruppetto di tifosi un pò troppo ubriachi gentilmente accompagnati fuori dal ristorante cinese in cui il protagonista ha iniziato la carriera dal basso - per usare un eufemismo -.
Da questo momento i fan hardcore dell'unico, vero action hero di questo nuovo millennio troveranno pane per i loro denti, e tra un lavoretto e l'altro svolto per la Triade ci sarà tempo sia per il già evidenziato approfondimento emotivo del protagonista, che per un'impresa che neppure Sly e soci avrebbero potuto pensare come realizzabile: perchè oltre a fingersi un presunto fidanzato gay del fotografo di cui ha occupato l'abitazione seducendo comunque la vicina di casa - indimenticabile il siparietto nel parcheggio -, il coriaceo Statham, questa volta, centra il bersaglio grosso portando decisamente lontano dalla buona condotta e nientemeno che dal Grande Capo la suora Cristina, che l'antieroe di Redemption non esita a scopare felicemente.
Perfino io, vecchio cowboy di Frontiera, non mi sarei aspettato tanto.
E proprio quando si pensa di aver raggiunto l'apice, ecco che l'erede dei vari Willis, Stallone e Schwarzenegger regala l'ennesima perla nel momento del confronto decisivo con l'assassino della sua giovane amica, con un'uccisione degna degli annali del genere.
Dovendo considerare di dedicarsi ad una visione made in Stathamlandia, non si potrebbe dunque chiedere niente di meglio.
E teniamo d'occhio Steven Knight, perchè questo vecchio ragazzaccio ha sicuramente in serbo altre sorprese per noi amanti del Cinema old school.


MrFord


"I don't know if it's me or just the sign of the times
but I want a better life than the one I've been livin'
ain't no one says that you can't change who you are
ain't no law says you gotta take what you're givin'."
Pat Benatar - "Every time I fall back" - 


sabato 28 settembre 2013

Vedi Birmingham e poi muori - Ovvero come bottigliare chiunque abbia hackerato la mia vecchia mail

La trama (con parole mie): come molti di voi avranno scoperto dalla bizzarra email ricevuta dal mio ormai ex indirizzo, qualche stronzo che spero a breve si troverà ad avere diversi problemi di salute con tutte le maledizioni che ho sganciato stasera - ed è stato anche fortunato a non avermi incontrato personalmente - deve aver hackerato l'account per trastullarsi con qualche misterioso piano che passava da Birmingham a qualche parte in Medio Oriente fino agli States. Homeland permettendo.
Sono stato dunque costretto a cambiare le cose.



Dunque, allo stato attuale e grazie a questo grandissimo figlio di grandissima puttana che spero trovi modo di nascondersi in qualche buco di culo di qualche deserto, vi comunico che molto panesalamente e con molta calma ho cambiato account, e dovrò dunque passo dopo passo rifollowarmi a tutti i vostri blog.
Chiedo di conseguenza ai miei colleghi di F. I. C. A. di aggiungere questo nuovo account agli autori del blog comunitario, ed ovviamente estromettere il precedente.
Chiedo al buon vecchio Cannibal di rimandarmi le mail con i commenti alle uscite della prossima settimana e dell'imminente Blog War, e chiunque avesse qualche contatto in sospeso con il sottoscritto o bisogno di spiegazioni a proposito di questo strano episodio di scrivermi al nuovo indirizzo che ho indicato qui a lato al posto del vecchio.
Chiedo scusa a tutti per l'inconveniente indipendente dalla mia volontà, e ringrazio uno per uno i baldi compari che mi hanno contattato via sms, whatssup, mail e chi più ne ha, più ne metta per avvisarmi che qualcosa non andava, ed in particolare Frank Manila, che ha suggerito per primo cosa poteva essere accaduto.
 
Chiedo invece al responsabile del fattaccio di venire a farmi una visitina dal vivo, così che possa andare a cercargli i denti un calcio nel culo dopo l'altro: sarebbe un ottimo esercizio distensivo buono per scaricare l'incazzatura sviluppata per questa menata che mi ha fatto trascorrere una serata a tentare di tutto al computer invece che starmene sul divano godendomi un film.
E chi mi conosce lo sa, come diceva un certo Albertone nazionale, quanto detesti muovermi nell'ambito tecnologico.
Io domani mattina - che poi sarà stamattina, per molti di quelli che leggeranno - mi alzerò alle sei per allenarmi e poi prenderò un cazzo di treno per andare al lavoro.
Trovatene uno anche tu, razza di nerd creatore di virus informatici o qualunque altra cosa fosse, invece di passare le giornate davanti al pc a rompere i coglioni a chi si fa il culo come uno stronzo.

Detto questo, e ora che mi sono almeno in parte sfogato, desidero comunicarvi comunque che se qualcuno di voi avesse voglia di sganciarmi mille euro non direi certo di no, anche perchè a Birmingham non sono mai andato e potrei pensare di farmici stare un bel weekend lungo con tutti gli agi del caso. A partire da una vigorosa e corroborante bevuta. :)


MrFord

Dexter - Stagione 8

Produzione: Showtime
Origine: USA
Anno: 2013
Episodi:
12




La trama (con parole mie): Dexter e sua sorella Debra sono ai ferri corti dal momento in cui la seconda, per coprire l'identità di serial killer del primo ha ucciso volontariamente la collega Maria LaGuerta, scegliendo dunque di prendere le parti del fratello.
Nel frattempo, a Miami giunge un nuovo e terrificante serial killer ribattezzato Brain surgeon, che seziona i crani delle sue vittime, e mentre la polizia pare brancolare nel buio, dal passato di Dex emerge una misteriosa psicologa, Evelyn Vogel, che pare sappia tutto di lui ed abbia aiutato Harry ad elaborare il concetto del Codice che da sempre guida l'ematologo nella selezione delle sue vittime.
Ma i guai sono soltanto all'inizio: perchè Hannah McKay, grande amore di Dexter nonchè a sua volta assassina, torna nella vita dei Morgan.
Vorrà vendicarsi o riavvicinarsi?




L'universo delle serie tv, rivoluzionato prima da Twin Peaks e dunque da Lost, ha regalato agli spettatori, negli ultimi dieci anni, charachters e titoli destinati a rimanere impressi nel cuore degli appassionati con i loro alti ed i loro bassi, e soprattutto con la sensazione di vuoto che si porta inevitabilmente dentro una volta giunti alla conclusione di un viaggio.
Dexter, serial killer atipico e solo apparentemente distaccato dalle tempeste di emozioni che noi esseri umani siamo capaci di provocare, è giunto dunque all'ultimo capitolo delle sue avventure sul piccolo schermo, lasciando più di una perplessità in un pubblico che, dopo cinque stagioni sfolgoranti, ha assistito ad un lento ed inesorabile declino della qualità delle storie e degli episodi: effettivamente, per quanto migliore delle annate sei e sette, anche questa ottava season mostra il fianco a critiche alla sceneggiatura ed alla gestione dei personaggi, a situazioni ormai al limite dell'assurdo e ad un finale che, lo ammetto, ha lasciato molto perplesso anche il sottoscritto.
Ma, altrettanto onestamente, occorre affermare che risulta davvero difficile scrivere un post che si concentri sull'analisi di questa ottava stagione, ne mostri i limiti - molti - ed i pregi - pochi, ma buoni: su tutti "l'apprendista" di Dex, il giovane Zach, protagonista di quello che è stato il migliore episodio dell'annata -: perchè se è vero che, come scriveva qualche giorno fa la "perfida" Ester, la chiusura perfetta per questa serie sarebbe stata il monologo finale del passaggio numero cinque, impreziosito dalla promessa del nostro serial killer di portare con sè l'oscurità che la giovane Lumen, da lui salvata ed aiutata a compiere la vendetta, finiva per lasciarsi alle spalle con la morte del suo aguzzino, è altrettanto vero che una sensazione di malinconica perdita attanaglia i fan dell'ematologo di Miami, ora che i racconti delle sue gesta sono giunti al termine.
E senza dubbio il personaggio di Dexter Morgan, con il suo sguardo da cane bastonato pronto a diventare quello di un predatore infallibile, la sboccata Deb, Harry con il suo codice, i colleghi del Miami Metro - dal caotico Quinn al generoso Batista, passando per gli indimenticati Doakes e LaGuerta, o dal grottesco Masuka -, perfino tutti gli antagonisti che il Nostro ha affrontato negli anni, dal suo fratello maggiore alla destabilizzante Lila, da Miguel Prado a Trinity - forse la sua nemesi perfetta -, dal predicatore Jordan Chase al Doomsday Killer, fino ad Hannah McKay e al Brain surgeon di quest'ultima annata mancheranno al piccolo schermo che avevano conquistato ed avvinto lasciando gli spettatori con il fiato sospeso in più di un'occasione, in attesa che l'episodio successivo mostrasse quello di cui sarebbe stato capace questo atipico antieroe.
E se la serie, nel complesso, ha finito per lanciarsi dritta nella tempesta ben prima del suo protagonista, qui al Saloon si è voluto bene a questo "diavolo custode" dalla personale etica di "lavoro" fino alla fine, discutibile o no che sia stata: dunque so long, Dex, con il tuo tavolo e quei coltelli abbandonati nella speranza di un amore diverso, più grande e decisamente più vero di quello per il sangue e l'acciaio.
Che tu possa trovare, un giorno, la tua Argentina, e possa venire il momento di lasciare il "dark passenger" a qualcuno che sia disposto ad accoglierlo allargando le spalle proprio come facesti tu con Lumen.
Anche perchè senza luce, non ci sono neppure tenebre.


MrFord


"I hear his voice inside my head
and we were never alive
and we won't be born again
but I'll never survive."
Slipknot - "Dead memories" - 


venerdì 27 settembre 2013

Passion

Regia: Brian De Palma
Origine: Germania, Francia, USA
Anno:
2012
Durata:
102'




La trama (con parole mie): Christine Stanford, direttrice di un'agenzia pubblicitaria a Berlino, è una donna abituata a gestire il potere ed esercitarlo, così come ad avere tutti - in ufficio come nel letto - ai suoi ordini. Isabelle James è il talento più cristallino del suo team, una ragazza che Christine traduce in un'occasione di carriera così come in una sorta di giocattolo e sogno erotico idealizzato.
Quando quelli che apparentemente paiono normali conflitti lavorativi finiscono per trasformarsi in ossessioni e vendette, tra le due donne si innescherà un meccanismo mortale pronto ad oliarsi con il sangue di un omicidio apparentemente perfetto.
Ma le cose sono davvero come sembrano? O qualcuno, dietro le quinte, ha finito per manovrare anche chi pensava di essere regista di una vicenda pronta a concludersi con un finale senza sbavature?




Occorre ammettere che, nonostante il tempo che passa ed una distribuzione non più in grado - o disposta - a supportarlo come meriterebbe, Brian De Palma continua a difendersi decisamente meglio di molti suoi anche più illustri colleghi, dedicandosi alla realizzazione e messa in scena di pellicole che è evidente quanto finisca per amare senza tradire in alcun modo quella che, di fatto, è la sua poetica voyeuristica ed elegante fin dalle prime affermazioni di una lunga carriera.
Partendo da Crime d'amour di Alain Corneau, infatti, il regista di Newark porta sullo schermo una perfetta storia in piena De Palma's Way, circondando i consueti preziosismi tecnici con una cornice che ricorda i thriller di matrice hitchcockiana - del resto, il vecchio Hitch resta il Maestro ed il riferimento assoluto del buon Brian -, affiancando due protagoniste diversissime tra loro eppure insolitamente funzionali - non amo particolarmente Noomi Rapace, così come Rachel McAdams - e costruendo un crescendo di tensione e twist in grado di avvincere - seppur non convincendo fino in fondo - il pubblico dal primo all'ultimo minuto come di recente era stato in grado di fare Soderbergh con il suo Effetti collaterali, che in qualche modo ho trovato associabile - e non solo per genere - a questo Passion.
Dunque, ad un'algida fotografia e passaggi d'alta scuola - le riprese del finale, lo splendido split screen affiancato al piano sequenza di poco precedente alla scena dell'omicidio - vediamo svilupparsi temi attuali ed importanti come le molestie sul posto di lavoro - siano esse sessuali o no -, una critica feroce all'Uomo come predatore senza morale ed un deciso sguardo all'anima nera che guida la nostra mano - e non solo quella - quando all'istinto di sopravvivenza si mescola il desiderio di qualcosa, o qualcuno.
In questo senso, interessante notare come nessuno tra i protagonisti esca completamente pulito dalla vicenda, che spesso e volentieri pare quasi un complicato gioco delle parti all'interno del quale, inesorabilmente, tutti e senza complimenti lavorano in modo da colpire alle spalle chi sta loro attorno principalmente per un rendiconto personale, sia esso legato al denaro, alla carriera o al desiderio sessuale - anche perchè, di sentimenti, malgrado le complesse psicologie di Christine, Isabelle e Dani, pare davvero arduo parlare -, e che perfino nella figura dell'ispettore di polizia innamorato segretamente della sospettata principale trovano la conferma della debolezza e dell'oscurità che in quanto esseri umani portiamo in dote al mondo.
Certo, non stiamo comunque parlando del miglior lavoro del regista - i gloriosi anni ottanta e l'ironia nerissima di Omicidio a luci rosse sono purtroppo ormai lontani - ed alcuni snodi della sceneggiatura paiono a tratti troppo facili - l'escalation giudiziaria a seguito dell'omicidio e la chiusura "onirica" su tutti -, eppure il piacere di osservare un grande al lavoro resta, anche perchè l'amore che De Palma continua a nutrire per Hitchcock traspare senza spocchia alcuna da ogni fotogramma, e se il risultato resta pur sempre quello di un epigono - di classe, ma un epigono - incapace di raggiungere le vette dell'originale, il piacere si sente, negli occhi come sulla pelle.
A Brian De Palma continua, dopo decenni di onorata carriera, a non mancare la "passione".
E fortunatamente, noi amanti del Cinema siamo sempre qui, pronti a prenderci un pezzo in più di questo stesso torbido, sanguigno, travolgente istinto.


MrFord


"In the bars and the cafes, passion
in the streets and the alleys, passion
a lot of pretending, passion
everybody searching, passion."
Rod Stewart - "Passion" - 


giovedì 26 settembre 2013

Thursday's child


La trama (con parole mie): settimane e settimane di logoranti weekend poveri di grossi colpi - anche se attendo ancora trepidante Rush - e di compagnia del mio "socio" Cannibal Kid avevano portato il sottoscritto a dubitare seriamente che l'autunno sarebbe stata una stagione davvero interessante.
Fortunatamente, a questo giro di giostra qualcosina in più pare essersi mosso, nonostante continui inesorabile la verticale caduta del livello del Cinema italiano, ormai simile a quella della qualità della blogosfera da quando ad infestarla è giunto Pensieri Cannibali.

"Cannibal, hai finito di criticare i film action!"

Bling Ring di Sofia Coppola


Il consiglio di Cannibal: tutti sul (bling) ring della Coppola, non sul ring del wrestler Ford
A questo film dedicherò un post molto abbondante, quindi per il momento non dico niente.
Nell’attesa della recensione cannibale, andate a vedervi il film che poi ne riparliamo.
L’opinione di Ford?
Francamente me ne infischio.
Il consiglio di Ford: dovrò sfoderare le bottigliate più toste mai viste su un ring? O gli occhi faranno "bling bling"?
Il film della Coppola è una delle scommesse più incerte della stagione: conoscendo la storia della regista, potrebbe rivelarsi una sòla da competizione o una sorpresa clamorosa.
Un po’ come fu per Spring breakers.
The bling ring mi avrà sorpreso allo stesso modo? Restate sintonizzati e presto lo saprete!

Marco Goi in giro per Casale con le sue compagne di shopping.
La fine del mondo di Edgar Wright


Il consiglio di Cannibal: il mondo finirà solo dopo un sanguinoso scontro tra Ford e Cannibal
Terzo capitolo della cosiddetta trilogia del cornetto firmata da Edgar Wright e interpretata da Simon Pegg e Nick Frost, dopo L’alba dei morti dementi e Hot Fuzz. Per quanto mi ispiri simpatia, per quanto si rivelerà certamente divertente, in giro non mi sembra di aver sentito un grosso entusiasmo nei confronti di questo apocalittico terzo episodio, anche da parte dei fans hardcore del trio britannico. Allora è proprio il caso di dire, con una di quelle frasi fatte che tanto piacciono alle persone anziane e quindi anche a Ford: mi sa che questo film non sarà la fine del mondo. Comunque una visione ci sta tutta!
Il consiglio di Ford: la fine di Cannibal, ovvero la prossima Blog War.
La premiata ditta Wright/Pegg/Frost gode da tempo dello status di leggenda del Saloon grazie a quelle due meraviglie di Shaun of the dead e Hot fuzz, vere e proprie pietre miliari del genere che ad ogni visione riescono a farmi rotolare a terra dalle risate come la prima volta.
Inutile dire che il terzo ed ultimo capitolo della trilogia del cornetto è atteso da queste parti come pochi altri titoli in questo periodo, e la speranza è che mantenga gli standard - altissimi - dei primi due: se così fosse, potrei perfino dimenticare tutte le castronerie che escono dalla penna del Cannibale ogni settimana.

Ford impegnato a scortare un gruppetto di sfigati - tra i quali spicca Peppa Kid - durante un tour dei pub.
Redemption – Identità nascoste di Steven Knight


Il consiglio di Cannibal: per Ford non ci può essere nessuna redemption
Questa potrebbe non essere la classica porcheria action cui Jason Statham, dopo i fasti degli spettacolari Crank, ci ha ormai abituati negli ultimi anni. A firmare la regia c’è infatti Steven Knight, che quest’anno ha girato anche Locke con Tom Hardy, uno dei film più apprezzati all’ultimo Festival di Venezia, dov’è stato presentato, se non sbaglio come di solito fa Ford, fuori concorso.
Questo Redemption promette di essere di un action più intimista dei soliti, vagamente in stile Refn e potrebbe essere una discreta sorpresa. Anche se il fatto che possa piacere pure a Ford rientra tra i suoi punti deboli.
Il consiglio di Ford: una redemption è impossibile, per un caso disperato come Peppa Kid.
Personalmente, ho trovato questo film una vera - e piacevole - sorpresa.
Il nostro Jason Statham - in assoluto l'unico, vero, action hero di questi anni - presta legnate, fisicità e carisma ad una tamarrata più riflessiva del solito, ottimamente realizzata e clamorosamente sopra le righe almeno in un paio di occasioni, che hanno reso l'attore inglese ancora più expendable agli occhi del sottoscritto.
Non sarà il film dell'anno, ma nel suo genere rappresenta senza dubbio una delle cose migliori viste di recente.
Recensione fordiana a brevissimo.

Ebbene sì, Statham in questo film riesce perfino a chiavarsi una suora.

Sotto assedio – White House Down di Roland Emmerich


Il consiglio di Cannibal: White Ford Down
Per un action thriller che potrebbe sorprendere in positivo come Redemption, eccone un altro che potrebbe rivelarsi o una porcata di medio livello, o una porcata epocale. Spero più la seconda, visto che di porcheruole solo medie ultimamente in giro ce ne sono già troppe, come il recente R.I.P.D.. Qui ci troviamo di fronte a un potenziale nuovo Attacco al potere – Olympus Has Fallen, con in più la regia di squalità di Roland Emmerich, esperto di schifezze fracassone numero 2, subito dietro all’idolo fordiano Michele Baia. Non è nemmeno malvagio il cast, capitanato dal più espressivo degli attori inespressivi ovvero Channing Tatum, ma la puzza di americanata sovrasta persino l’odore di Ford dopo che è stato sommerso dai pannolini sporchi del Fordino.
Il consiglio di Ford: Cannibal Kid down.
Lo spettro dell'agghiacciante Attacco al potere - Olympus has fallen aleggia pesantemente su questo lavoro del catastrofico - in tutti i sensi - Emmerich, che promette di essere una delle cose più americane - nel senso brutto del termine - della stagione.
L'unica speranza è che il tutto sia stato preso con una discreta dose di ironia, e che dunque si finisca per vedere l'ennesimo giocattolone a stelle e strisce parzialmente innocuo.
Staremo a vedere.
Nel frattempo, non considero tanto innocuo il fatto di temere questo titolo almeno quanto lo starà temendo Radical Kid.

"Forse era meglio non dire a Ford che leggo Pensieri cannibali!"
Universitari – Molto più che amici di Federico Moccia


Il consiglio di Cannibal: Io e Moccia – Molto più che nemici
Negli ultimi tempi Ford si sta rammollendo e addolcendo sempre di più, e così io sono alla costante ricerca di altri nemici da combattere. E sconfiggere. Con Vasco ormai messo peggio persino di Ford, con Michael Bay che si mette in testa di fare il Cinema d’Autore, con Berlusconi che ormai è più noioso di un film di Wong Kar-wai, è ora di rispolverare il mio antico odio antimocciano. Federico Moccia, er pejo der pejo. A suo modo comunque una garanzia: quando vorrò massacrare un film, mi piazzerò su Universitari – Molto più che amici, e così io e Moccia torneremo ad essere più nemici di me e Ford.
Il consiglio di Ford: Io e Cannibal - Amici per Moccia
Moccia, uno dei peggiori insulti al Cinema mai esistito, è uno dei pochi registi in grado di spingere il sottoscritto e Peppa Kid dallo stesso lato della barricata per combattere le oscenità che porta in sala.
Questo Universitari, ovviamente, non sarà da meno: io ed il mio antagonista usuale, dunque, potremmo per l'occasione organizzare una bella Blog War anti-Moccia.

"Sto pensando ad un film con protagonisti Ford e Cannibal: accetteranno la mia proposta?"
Sarebbe stato facile di Graziano Salvadori


Il consiglio di Cannibal: sarebbe stato facile prendersela con il cinema italiano, anzi lo è davvero
Basta guardare il trailer. Ma ‘sta roba può essere considerato un film?
Sembra un video amatoriale, di quelli brutti, caricato da un ragazzino che usa per la prima volta la macchina da presa e poi, tutto eccitato, pensando di aver realizzato un capolavoro, lo carica su YouTube. Amici e parenti possono guardarlo e fargli pure i complimenti, l’intero pubblico nazionale però se lo può anche risparmiare. Se a demolire Moccia o qualche opinione dell’altro mondo di Ford ci provo gusto, con una roba del genere sarebbe troppo facile e non mi darebbe nemmeno una particolare soddisfazione. Quindi, caro “regista” Salvadori, mi sa che per ora sei salvo.
Il consiglio di Ford: vedere questo film è un'impresa tutt'altro che facile.
Fortunatamente questa settimana le uscite estere danno un po’ di respiro a noi poveri italioti, perchè dopo Moccia arriva una cosa che arrivare a definire film riesce davvero difficile.
E scrivere un parere in merito quasi impossibile.
Passo oltre, e faccio finta di non essere mai venuto a conoscenza dell'uscita di questo "titolo".

"Sto leggendo l'ultimo post di Ford: non parla affatto bene del nostro film."
Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie


Il consiglio di Cannibal: Ford, lo sconosciuto di Lodi
Un thriller francese a tematica gay? Azz, sembra una cosa piuttosto originale.
Un film originale che esce nelle nostre sale?
C’è quasi da aver il sospetto che ci sia qualcosa sotto, come quando Ford tira fuori una opinione più o meno condivisibile. Le possibilità di avere una visione se non altro curiosa e diversa dalle solite in ogni caso ci sono, poi se il film sarà effettivamente “un capolavoro” come definito da Libéracion (non ho mica detto WhiteRussian) è tutta un’altra storia…
Il consiglio di Ford: Marco Goi, lo sconosciuto di Casale.
Come spesso accade quando si tratta di Cinema francese, ci troviamo di fronte ad un titolo potenzialmente interessante in grado di farci rimpiangere di essere nati da questa parte delle Alpi.
Non sarà in cima alla mia lista di visioni per questa settimana, ma senza dubbio il Saloon aprirà le sue porte al lavoro di Guiraudie appena possibile.
Aprirebbe le porte per una bevuta anche a Peppa Kid, ma quello se ne sta sempre rinchiuso in cameretta con il suo migliore amico, il Coniglione Donnie.

Ford e Cannibal in una pausa romantica dell'ultima Blog War.
Vado a scuola di Pascal Plisson


Il consiglio di Cannibal: oggi non vado a scuola, oggi chiodo!
Dal titolo, sembra un film horror.
Invece no, è un documentario francese che racconta le drammatiche storie di un gruppo di bambini di varie parti del mondo, tra cui il povero Fordino da Lodi, costretto a crescere con i miti di Hulk Hogan, Schwarzy e Europe manco fossimo ancora negli anni Ottanta. Preparate i fazzoletti, vi aspetta una visione davvero commovente.
Il consiglio di Ford: tornare a scuola? Volentieri, ma solo potendo sfogare un po’ di bullismo su Cannibal!
La classe, firmato da Cantet qualche anno fa, era stato una sorpresa magnifica, ed onestamente porto ancora i segni di quella visione: considerata la qualità cui i nostri cugini transalpini ci hanno riservato negli ultimi anni, potrei quasi pensare di aggiungere questo nome alla lista, quasi sicuro di non rimanere deluso.
Staremo a vedere.
Intanto mi consolo con il fatto che a deludermi sempre resteranno le opinioni del mio sgradito compare Kid.

"Come si chiamano i nuovi professori?" "Ford e Cannibal." "Qualcosa mi dice che siamo rovinati!"

mercoledì 25 settembre 2013

Come ti spaccio la famiglia

Regia: Rawson Marshall Turber
Origine:
USA
Anno:
2013
Durata:
110'




La trama (con parole mie): David Clark è un piccolo spacciatore che opera a Denver, e che fin dai tempi del college si dedica alla vendita al dettaglio di piccoli quantitativi di erba fornitagli dal suo boss, il decisamente scombinato e sopra le righe Brad Gurdlinger. Quando, a seguito di una rapina, perde la merce ed i risparmi di una settimana, è costretto ad accettare un incarico da "mulo" in modo da recuperare una partita di erba dal Messico per poi riportarla negli States.
Per evitare di essere immediatamente classificato come potenziale contrabbandiere e fermato alla frontiera, David organizza così un viaggio "di famiglia" costruendosi un'identità da padre totalmente fittizia: accompagnato dalla vicina spogliarellista in crisi con il fidanzato e completamente in bolletta Rose, "adotta" il decisamente sfigato Kenny, adolescente che vive abbandonato dalla madre nel suo palazzo, e la ribelle più o meno senzatetto Casey, ordinando ai suoi inusuali compagni di viaggio di apparire come una sorta di cloni della famiglia Bradford in modo da destare meno sospetti possibili.
Giunti a destinazione e convinti di potersela cavare facilmente, i "neonati" Miller si troveranno ad affrontare un viaggio di ritorno decisamente travagliato.




Di recente, il tam tam della blogosfera a proposito di quella che si è rivelata - in termini di incassi - la commedia made in USA dell'anno è riuscito a portare Come ti spaccio la famiglia - adattamento pessimo dell'originale We're the Millers - anche al Saloon, nonostante l'iniziale diffidenza del sottoscritto a proposito di quello che avrebbe potuto essere l'effettivo valore del lavoro di Rawson Mashall Turber.
A visione ultimata, devo ammettere che il risultato è stato in qualche modo ambivalente: da un lato ho trovato il film assolutamente divertente, sboccato quanto basta per piacere ad un tipo pane e salame come il sottoscritto nonchè perfetto per intrattenere in una di quelle serate senza impegno nel corso della quale si dovrebbe essere grati per ogni risata sguaiata fatta di pancia e come si deve; dall'altro, seppur sottilmente, mi è parso che questo titolo mancasse della dose di coraggio necessaria per confezionare un lavoro davvero polically scorrect da satira selvaggia ed umorismo nero: in una certa misura, infatti, tutte le situazioni più scomode - che a ben vedere risultano anche le più divertenti, tra l'altro - non osano mai oltre una certa misura, e dall'ipotetico pompino al poliziotto messicano fino allo scambio di coppia la presunta volgarità della pellicola non si spinge mai oltre la linea che avrebbe rischiato di comprometterne la distribuzione da parte di una major, senza contare che il finale "tutto è bene quel che finisce bene" mi ha dato l'impressione di una certa ipocrisia, rispetto alla direzione che pare prendere l'intero film dai primi minuti.
Un peccato, a conti fatti, tanto che soprattutto la chiusura in pieno stile Quei bravi ragazzi - anche se, ovviamente, paragonare i due film risulterebbe praticamente fantascienza - ha in parte rovinato la festa che fino a quel momento era stata la visione, una delle più godibili dal punto di vista della risata incontrollata dai tempi di Sharknado.
Non voglio però fare le pulci a quello che, di fatto, è uno dei titoli più genuinamente sguaiati del periodo passando per il capostipite di quei radical chic cinefili che tanto detesto, quindi archivio la discussione ed affermo senza riserve che Come ti spaccio la famiglia è riuscito nell'impresa di regalare sonore sghignazzate agli occupanti di casa Ford praticamente per tutta la sua durata, che il lavoro degli attori è perfetto - dall'ormai mitico (per il genere) Jason Sudeikis ad una sorprendente Jennifer Aniston, che pare sempre più yeah rispetto alla legnosissima Jolie che, ai tempi, le rubò clamorosamente il buon Brad Pitt da sotto il naso - e che l'idea della famiglia disfunzionale - molto disfunzionale, anzi: da antologia la sequenza delle prove di bacio - in viaggio per contrabbandare una quantità enorme di erba è decisamente interessante - anche se non sviluppata con la stessa profondità e qualità di cose come Shameless o Breaking bad, ennesima prova delle rivelazioni che può riservare il piccolo schermo -.
Detto questo, probabilmente il miglior modo di gustarsi appieno Sudeikis e soci in tutte le tappe del loro road movie è quello di mettere da parte qualsiasi riflessione o approfondimento, agguantare dell'alcool, accompagnarlo con vagonate di patatine e lasciare che questo film faccia quello che gli riesce meglio: far ridere. 
Senza troppi peli sulla lingua e certamente con qualcuno in più sullo stomaco.
Anche perchè essere fighe di legno difficilmente gioverebbe nella fruizione del prodotto.
Sia esso su pellicola, o di natura vegetale.


MrFord


"Don’t go chasing waterfalls
please stick to the rivers
and the lakes that you’re used to
I know that you’re gonna have it
your way or nothing at all
but I think you're moving too fast."
TLC - "Waterfalls" - 


martedì 24 settembre 2013

The Grandmaster

Regia: Wong Kar Wai
Origine: Cina, Hong Kong, USA
Anno: 2013
Durata: 123'





La trama (con parole mie): nella Cina degli anni trenta, Ip Man, indiscusso Maestro di arti marziali, vive una vita tranquilla con la famiglia, godendosi non soltanto la sua posizione, ma anche le ricchezze ereditate dai suoi avi. Quando un conflitto in seno alla comunità del kung fu lo porta al confronto con la dinastia dei Gong, Ip Man decide di defilarsi nonostante l'attrazione provata per la figlia dello stesso Gong, Er, in lotta con l'ex allievo del padre Ma San.
Quando i giapponesi invadono la Cina ed Ip Man è costretto a rinunciare a tutto spostandosi ad Hong Kong, le vite dei protagonisti della scena del kung fu cambiano e si disperdono, ma il legame che tocca le esistenze dei tre esperti più importanti del continente pare non dissolversi, accompagnando ognuno di loro nella vita e nella morte come un dono o una maledizione.





Non è un mistero che Wong Kar Wai sia stato una delle più grandi passioni cinematografiche del sottoscritto nei primi anni del nuovo millennio, ovvero nel periodo in cui maggiormente mi concentrai sul solo Cinema d'autore senza preoccuparmi troppo di tutte le proposte tamarre che costellarono la mia infanzia e che tornai - fortunatamente - a recuperare qualche anno dopo.
Come se non bastassero, poi, perle assolute del calibro di In the mood for love o 2046, il buon Wong si rivelò responsabile di una delle folgorazioni più travolgenti della mia storia di spettatore, quell'Hong Kong Express che ancora oggi è senza dubbio parte dei miei dieci film della vita di tutti i tempi - o forse ci si avvicina, ma siamo comunque molto in alto nella graduatoria emotiva -.
Come molti altri registi, giunto all'apice del successo in patria e riconosciuto dai più importanti Festival internazionali, il cineasta di Shanghai finì per cedere alla corte degli States, firmando un'opera decisamente minore come My blueberry nights, fondamentalmente un condensato dei suoi lavori precedenti - tra i quali spicca anche lo splendido Happy together - preparato per tutti gli spettatori mai avvicinatisi al suo lavoro.
Dunque, il quasi silenzio.
Quando, praticamente a sorpresa, venni a sapere della realizzazione di un film legato alla figura di Ip Man, leggendario Maestro di arti marziali che fu anche tra i primi insegnanti di un giovanissimo Bruce Lee, già passato peraltro da queste parti a seguito del biopic action a lui dedicato - un prodotto niente male, tra l'altro -, fui molto felice del ritorno in patria di Wong, pronto a mettersi al lavoro insieme al suo attore feticcio Tony Leung su una materia profondamente cinese: non nascondo, dunque, una certa delusione a seguito della visione.
Senza dubbio la tecnica del regista in questione resta clamorosa ed indiscutibile, la confezione pressochè perfetta, la fotografia splendida, così come i movimenti di macchina, eppure The Grandmaster soffre delle stesse patologie che rendono il Cinema d'autore attuale piuttosto indigesto al sottoscritto: autoreferenzialità, cura eccessiva della confezione a scapito dell'impatto emotivo, una sterilità di fondo che spesso e volentieri, oltre alla noia, fa insorgere nello spettatore il dubbio di non trovarsi nel posto giusto, e che un parco, o qualche locale nell'ora dell'aperitivo sarebbe senza dubbio più divertente di un pippone sul grande schermo, per quanto di classe lo stesso sia.
Ed eccomi infatti annaspare sul divano di casa Ford cercando di aggrapparmi all'idolo e già citato Tony Leung o alla sempre splendida Zhang Ziyi per non rischiare di rimpiangere troppo le tempeste di legnate che l'Ip Man della versione action dispensa per una buona metà di pellicola rispetto a mezze frasi sussurrate sotto la pioggia inquadrata goccia per goccia in una cornice di ricostruzione d'epoca impeccabile, maledicendo il fatto che nell'ultimo periodo riesce davvero difficile a questo vecchio cowboy trovare un film di un certo spessore che coinvolga invece di sfracellare a morte i cosiddetti.
Fortunatamente per me - e per tutti quelli che sceglieranno di vederlo in sala - Wong Kar Wai è e resta un grande narratore delle storie d'amore irrelizzabili e struggenti, e a tre quarti di pellicola spesso dal sapore new age "alto" succede una parte conclusiva di bellezza disarmante, finalmente consacrata ai destini dei protagonisti e alle loro interiorità, in grado di emozionare e coinvolgere come avrebbe dovuto fare l'intero lavoro.
In qualche modo, per esecuzione ed eccessiva freddezza, questo The Grandmaster rappresenta una risposta orientale all'Anna Karenina di Joe Wright, che qui al Saloon subì lo stesso tipo di rimproveri ed osservazioni.
Onestamente spero che Wong possa tornare ad un approccio più naif e semplice, e alla freschezza di quelle che furono le sue prime, fulminanti opere: e poco importerà se dovrà essere sacrificata un pò di forma.


MrFord


"Everybody went kung fu fighting
those cats were fast as lighting
in fact it was a little bit frightning
but they fought with expert timing."
Foo Fighters - "Kung fu fighting" - 


lunedì 23 settembre 2013

Mystic river

Regia: Clint Eastwood
Origine: USA
Anno: 2003
Durata:
138'




La trama (con parole mie): Jimmy, Sean e Dave sono tre amici figli della Boston dei quartieri popolari. Un brutto giorno, mentre giocano per strada, vengono approcciati da due finti poliziotti che si portano via Dave, che per quattro giorni attraversa l'Inferno prima di riuscire a fuggire e mettersi in salvo.
Passano vent'anni, e le vite dei tre sono quanto di più diverso possa esserci: Jimmy, boss in erba finito in carcere e rimessosi in riga per doveri da padre, è il gestore di un negozio; Sean è un detective della Polizia di Stato che spera nel ritorno della moglie che lo chiama senza parlare ogni giorno, fuggita da lui e da una vita che non le piaceva; Dave è padre di un figlio che spera possa diventare, come lui, una promessa del baseball, è semidisoccupato e non ha mai superato il trauma che lo segnò da giovane.
Quando la figlia maggiore di Jimmy, Kathy, viene brutalmente uccisa, i destini dei tre vecchi amici tornano ad incrociarsi: e mentre il Mystic grida vendetta per il sangue versato ed il passato torna a chiamare i protagonisti della storia, per quei ragazzini divenuti uomini non resterà che fare i conti con il Destino.




"Non amerò mai nessun'altra così. Certe cose capitano soltanto una volta nella vita."
"Per alcuni neppure quella."
Così il detective Sean Devine risponde a Brendan Harris, sconvolto dalla morte della sua fidanzata e promessa sposa Kathy Markum, figlia di Jimmy, suo amico d'infanzia.
"Quando hai visto per l'ultima volta Dave Boyle?"
"E' stato venticinque anni fa, in questa strada, sul sedile posteriore di quella macchina."
Questo, invece, è l'epitaffio che si scrive per una vicenda drammatica e terribile, che per i protagonisti di questa storia ha inizio in un pomeriggio come gli altri, nel pieno di quello che dovrebbe essere il periodo con meno pensieri della nostra vita, l'infanzia.
E' una storia di padri e di figli, Mystic river, di vittime, di vampiri e lupi mannari.
Ci sono Sean, con una figlia che non ha mai conosciuto, ed una moglie che è fuggita, un senso della Giustizia che possa portarlo lontano dai quartieri popolari della Boston in cui o sei un operaio o un delinquente, Dave, che a mezza voce sostiene un figlio con poca fiducia in se stesso e continua ad avere paura, e Jimmy, il duro del gruppo, che ha rinunciato alla sua corona di re del quartiere per amore della stessa bambina che finisce per essergli portata via, neanche avesse un conto in sospeso con i piani alti.
Gli stessi che devono aver spedito all'Inferno chi stava sul sedile davanti a Dave, il giorno in cui lo rapirono.
Ci sono i padri e i figli. Le vittime, i vampiri e i lupi mannari.
E tre nomi scritti nel cemento fresco, che possano rimanere per sempre.
Peccato che quella formula da finale perfetto non si applichi a questo mondo fatto di ombre e fiumi testimoni silenziosi: sul fondo, quasi fosse una voce spezzata, uno degli stessi rimane a metà.
Incompiuto, violato, destinato a non farcela.
"Se fossi salito io su quella macchina, non avrei mai potuto corteggiare Marita, e Kathy non sarebbe mai nata, e nessuno l'avrebbe ammazzata", ammette Jimmy di fronte a Sean.
A volte il Destino che ci salva, è lo stesso che ci toglie il bene più prezioso.
E' difficile guardare Mystic river e rimanere indifferenti: questo perchè dietro la potenza clamorosa di questo lavoro pressochè perfetto c'è talmente tanta umanità da rimanerne quasi disgustati.
E' difficile guardare Jimmy e pensare che, nella sua stessa situazione, non si sarebbe disposti ad uccidere chi ha tolto la vita - o chi pensiamo possa averlo fatto - a nostra figlia.
E' difficile guardare Sean e pensare che, nella sua stessa situazione, non si sarebbe disposti a fare un passo indietro, per poter pareggiare - o pensare di farlo - il conto con tutto quello che ci viene tolto ogni giorno.
E' difficile guardare Dave e pensare che, nella sua stessa situazione, non si sarebbe disposti a sconfiggere quei lupi mannari pronti a divorare gli innocenti.
"E voi quando avete intenzione di smettere?"
"Intendi diventare onesti!? Noi!? Siamo pipistrelli, Dave, abituati alla notte. Il giorno è fatto per dormire."
Così i temibili fratelli Savage intrattengono proprio Dave, in attesa di un confronto decisivo voluto dal loro vecchio capo ritrovato nonchè suo amico d'infanzia, Jimmy.
Mystic river è il fiume pronto a mondarci da tutti i nostri peccati, o almeno a provarci.
Il vecchio Clint l'aveva già raccontata, la miseria umana - e americana -, in un modo semplice e terribile che il titolo rendeva chiarificatore: Unforgiven, senza perdono - Gli spietati, qui da noi, ma non rende abbastanza l'idea -.
E quel finale durante la parata è quanto di più devastante si possa pensare, in materia di uomini.
Padri e figli.
Vittime.
Vampiri e lupi mannari.
Jimmy, Sean e Dave sono tutti padri. E tutti finiscono per perdere qualcosa.
Ma non sono tutti vittime. Non sono tutti Kathy. Tranne Dave.
E poi ci sono i vampiri, e i lupi mannari.
Di quelli è pieno il mondo, anche quando non riusciamo ad accorgerci della loro presenza.
Anche quando vivono accanto a noi.
Anche quando si mascherano da agnelli.
Non c'è una parte da cui stare: una moglie disperata, la felicità che ci fa voltare le spalle, la presa di coscienza di una Natura che un amore troppo grande - da "uniche persone al mondo" - aveva tenuto lontana.
Ognuna di esse nasconde dei peccati.
Come il Mystic, pronto a lavarli via.
Ma è difficile, impossibile cancellare il sangue.
Quello del legame tra un padre ed un figlio.
Quello versato dalle vittime.
Quello bevuto dai vampiri e dai lupi mannari.
Il sangue è per sempre.
Come quei nomi scritti nel cemento.
Jimmy, Sean, Dave.
Fino a quando il Destino ha voluto che uno rimanesse a metà.


MrFord


"I'm shipping up to boston whoa
I'm shipping up to boston whoa
I'm shipping up to boston whoa
I'm shipping off... To find my wooden leg."
Dropkick Murphys - "I'm shipping up to Boston" -


 

domenica 22 settembre 2013

Serie interrotte

La trama (con parole mie): come tutti voi ormai sapete, in casa Ford - spesso anche grazie alla predilezione di Julez per il genere - oltre ai film ci si cimenta spesso e volentieri con le produzioni da piccolo schermo, finendo per scoprirsi rapiti da titoli sui quali inizialmente non si sarebbe puntato meno di nulla o delusi - a volte molto - da altri nati sotto una buona stella ed andati inesorabilmente naufragando.
Considerato che in un Saloon che si rispetti non si butta via niente, oggi regalerò un pò di spazio ad una piccola carrellata di opere senza troppi patemi abbandonate a loro stesse dal sottoscritto.





GLEE



Il primo serial a finire nel cestino senza neppure passare dalle bottigliate è stato Glee, a dire il vero ormai ben più di un anno fa: partito fortissimo con una prima parte della prima stagione da urlo - in tutti i sensi -, questo prodotto profondamente teen eppure clamorosamente accattivante grazie allo straordinario utilizzo della musica ha finito per inabissarsi in se stesso, assumento sempre più i connotati di una robetta da pomeriggio su MTV senza capo ne coda che non di un titolo che voglia assumersi il ruolo d'importanza non indifferente di traghettatore di adolescenti verso l'età adulta a ritmo di pezzi uno più bello dell'altro.
Perfino il charachter si Sue Sylvester, negli ultimi episodi che mi capitò di vedere, appariva spompato e totalmente privo della verve degli inizi, senza contare sceneggiature ormai scritte ad hoc sulle canzoni scelte per l'episodio in grado di cambiare personalità e destini dei personaggi da una puntata all'altra. Una vera e propria meteora cui non è servito a nulla il restyling tra la terza e la quarta stagione.


PERSON OF INTEREST





Scelto dai Ford tutti come se fosse una sorta di erede della grande tradizione action di proposte come 24, Person of interest, accolto con giubilo da tutti gli ex lostiani orfani del più grande serial di tutti i tempi, si è rivelato un fuoco di paglia fin dai primi episodi: implausibile, assolutamente privo di ironia, incapace di appassionare ed interpretato dagli impalpabili Michael Emerson - l'indimenticato Ben dell'isola dei naufraghi più famosi del piccolo schermo, che proprio sulla stessa isola pare aver lasciato tutto il suo carisma di villain - e Jim Caviezel - che avrà pure azzeccato il ruolo della vita con La sottile linea rossa, ma resta sempre il Gesù in stile Bruce Lee dell'obbrobrio che fu La passione di Cristo di Mel Gibson -, ha finito per essere accantonato quasi senza che ce ne si accorgesse dopo la prima manciata di episodi, tendenzialmente sfruttati per conciliare la siesta pomeridiana nei giorni di riposo dal lavoro. Di interesting ho visto davvero poco, in questa proposta.


ONCE UPON A TIME


Ed ecco la vera nota dolente di questa piccola selezione: partita con una buona stagione d'esordio, Once upon a time è stata una delle pietre sulle quali si è costruita la recente moda del riciclo delle fiabe classiche, abile a sfruttare personaggi noti - Biancaneve, Cappuccetto Rosso e quant'altro - e meno noti - Tremotino su tutti - inserendoli in un contesto in grado di appassionare i fan del fantasy così come quelli degli intrighi a più livelli - e di nuovo il discorso torna a Lost -.
Peccato soltanto che, dopo un anno uno decisamente soddisfacente e chiuso alla grande, la seconda stagione sia partita cominciando a mescolare charachters che con le fiabe classiche c'entrano poco o nulla - Mulan, Victor Frankenstein - e finendo per rendere più complessa ed al contempo decisamente debole l'ossatura della trama, finendo in più di un'occasione per tracimare nel ridicolo - dall'utilizzo di un Capitan Uncino bello e maledetto all'episodio nella dimora del gigante, uno dei punti più bassi toccati dal piccolo schermo in questa stagione -.
In un certo senso, Once upon a time è stata l'altra faccia della moneta di American horror story, che avevo finito per bottigliare selvaggiamente al termine della prima stagione e mi sono ritrovato ad incensare con la seconda: per gli abitanti di Storybrook il destino si è giocato con uno degli episodi centrali dell'annata, se non ricordo male dedicato al Grillo Parlante - già di suo non uno dei favoriti del sottoscritto -.
Uno spreco davvero. Peccato.

 

MrFord


"Do you mean all the things you are?
Are you pleased with the way things are?
Wear that dress to protect this scar,
that only I have seen."
Maroon 5 - "Story" -


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