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domenica 31 marzo 2013

I'll sleep when I'm dead




La trama (con parole mie): ispirato dal post di ieri dedicato alle serate da divano con il Fordino, ho deciso di approfittare del weekend lungo per liberare un altro flusso di coscienza a proposito di un grandissimo cantautore dalle parti del Saloon da sempre su un piedistallo che ultimamente, tra Californication, aperitivi con mio fratello, momenti di riflessione ed altri di esplosione rispetto all'esterno, ha finito per vivere una seconda giovinezza di ascolti per il sottoscritto.
Dunque, spazio all'esploratore di Frontiera Warren Zevon, uno di quelli che come teneva i cavalli lui, non li tiene nessuno.


"Straight from the bottle, twisted again, I'll sleep when I'm dead", cantava il vecchio Warren nel 2002, quando i medici gli diagnosticarono un tumore ormai allo stadio terminale, e lui decise di continuare a vivere senza preoccuparsi di avere cure che l'avrebbero incapacitato scegliendo di andare avanti fino alla fine così come la Natura aveva deciso, occupando una puntata speciale del Letterman - show al quale fu sempre legato - dedicata esclusivamente a lui, ed incidendo un disco meraviglioso - The wind - riuscendo a vivere quasi un anno più di quanto era previsto, salutando questo mondo soltanto una manciata di giorni prima di un'altra leggenda, Johnny Cash, nel settembre 2003.
Dieci anni senza il Man in black, dieci anni senza Warren.
Pare incredibile che sia così, anche perchè la loro musica continua a tenerli più vivi che mai nel cuore del sottoscritto, ed ubriaco o no finisce sempre che camminando mentre vado e torno dal lavoro, esploro la vita ed i miei giorni, siano spesso canzoni che portano le suddette firme che continuo a cantare pensando di potermi sollevare ad un metro da terra o sprofondare due metri sotto.
"Everybody's desperate trying to make ends meet work all day, still can't pay the price of gasoline and meat 
Alas, their lives are incomplete", racconta il Nostro nella meravigliosa Mohammed's radio, uno di quei pezzi avanti almeno una trentina d'anni - ma non è l'unico, se si pensa a The envoy o Roland the headless Thomson gunner, attuali anche e soprattutto nel mondo di oggi, fatto di conflitti che partono dai servizi segreti e dalle grandi corporazioni e spurgano il loro pus nelle guerre che insanguinano luoghi lontani e sfigati di cui ai grandi capi finisce per fregare poco o nulla, a meno che la cosa non incida sui loro conti in banca.

Ma se ci penso, pare quasi non ci sia fine al talento e alla meraviglia che Warren, tra una ripresa ed una (ri)caduta nell'alcolismo regalò al suo pubblico, alla passione e alla voglia che esprimeva sul palco - il live Stand in the fire, registrato nel 1980, è pura dinamite, e quelle parole da cowboy che lo chiudono "you've all my love, vaja con dios", fanno ancora venire la pelle d'oca almeno quanto la risposta ai fan durante il bis "I don't have to go anywhere, here's my home" e la potenza espressa dalle ballad al piano fino ai passaggi decisamente più rock -: da Frank and Jesse James a Poor poor pityful me fino a Gorilla, you're a desperado, senza contare pezzi più che noti agli appassionati come Werewolves of London - forse la sua canzone di maggior successo, un mix perfetto di ironia e satira che mi riporta alla mente Un lupo mannaro americano a Londra, meraviglia di John Landis -, Splendid isolation - uno dei miei preferiti, "Michael Jackson in Disneyland don't have to share with nobody else, lock the gates Goofy take my hand, and lead me through the World of Self" -, Excitable boy - carico di humour nero e legato alla figura di un omicida -, Johnny strikes up the band - uno dei pezzi più importanti del legame che ho costruito con mio fratello, e che ho avuto la fortuna di sentirglielo cantare live (dal mio brotha, non da Zevon) - fino alla mitica Lawyers, guns and money - "And I'm down on my luck", pare quasi un monito -, che dalle vicende di Hank Moody alle peregrinazioni alcooliche nelle serate in cui mi perdo nei gin tonic dell'ormai mitico Umberto, dalla voglia, un giorno, di suonarla e cantarla con il Fordino, magari con l'accompagnamento di Julez al piano - Warren, in fondo, era più un pianista che non un cantante o un chitarrista -, alla capacità che questi brani hanno di scavarmi dentro, fare male o cullare - proprio come una sbronza, in fondo - ormai tutto fa parte della mitologia più sacra del Saloon, e non posso che omaggiare questa figura folle e scombinata, caotica e travolgente, un protagonista abituato alla sconfitta e alla polvere come quelli cui mi sono sempre associato, un Goonie del rock e della vita, uno di quei vecchi bastardi che si prende tutto - anche il caffè e l'ammazzacaffè, per dirla reinterpretando L'animale di Battiato - ma è al contempo disposto a dare anche di più.
Sicuramente non sarò mai un musicista, un compositore o un autore come te, Zev, ma ogni giorno, credimi, lotto per prendere e dare proprio nel rispetto della Frontiera che cavalchiamo, supportato anche dalle tue incredibili canzoni.
E per la mia famiglia, mio fratello, gli amici, i nemici, e anche per me, ci sarò sempre, nel bene e nel male.
I'll sleep when I'm dead, Warren.
I'll sleep when I'm dead.


MrFord


"I'm drinking heartbreak motor oil and Bombay gin
I'll sleep when I'm dead
straight from the bottle, twisted again
I'll sleep when I'm dead."
Warren Zevon - "I'll sleep when I'm dead" -



sabato 30 marzo 2013

Fordino unchained Vol. 2


La trama (con parole mie): approfitto del ponte pasquale imminente e del weekend per dare inizio a quella  che spero possa diventare una sorta di rubrica del Saloon, un racconto di vita vissuta che passa dalle visioni che normalmente affronto e racconto da queste parti per giungere fino alle emozioni che l'arrivo e la presenza del Fordino continuano a darmi, rigorosamente guidato da un flusso di coscienza come quello che mi fece picchiare su questi tasti tra lacrime e Southern Comfort la notte in cui nacque, ormai più di due mesi or sono.
Dunque, per questa volta, niente film, voti o recensioni, ma soltanto quello che sta dentro - e dietro - il mio vecchio bancone di legno dove continuano a passare copiosi i drink per me e per voi.


Ero sdraiato sul divano, l'altra sera, con l'episodio otto della nuova, tostissima stagione di Spartacus - puntata chiave, tra l'altro, ed inizio della fine per la ribellione del trace che ha infuocato gli animi degli schiavi contro il colosso romano - a scorrermi davanti, secondo cuba alla mano ed il Fordino a dormire della grossa sul petto, in attesa del latte alla spina della buonanotte, ripensando alla giornata che aveva portato casa Ford alla prima visita di controllo ufficiale del piccolo, quella oculistica, andata alla grande ed ennesima dimostrazione della tranquillità che questo nuovo, meraviglioso abitante del Saloon continua a dimostrare a noi decisamente caotici - anche in positivo - genitori.
Non ho memoria di quello che provavo ai tempi in cui anche io avevo la sua età - ma chi ce l'ha, in fondo!? -  eppure le immagini degli ex gladiatori pronti a dare la vita per la loro causa stuzzicavano il pensiero che non c'è nulla che non potrei fare per proteggere questi cinque chili in aumento, l'esserino sbavante dai primi sorrisi ed onomatopee che tra meno tempo di quello che potrò pensare finirà per fare impazzire me e Julez rientrando troppo tardi e dandoci senza troppi fronzoli dei rompipalle quando interverremo in proposito.
E mentre il mio respiro ed il suo giocavano a rispondersi come se si stessero conoscendo - che poi è la stessa cosa che stiamo facendo noi stessi giorno dopo giorno in quanto padre e figlio - pensavo a quanto curioso sia il ribaltamento di ruoli che avviene nel corso della vita, dall'essere presi in braccio al prendere in braccio, per tornare ad essere sorretti di nuovo, come in una sorta di 2001 in cui il tempo si avvolge e la prima infanzia e gli ultimi scampoli di vecchiaia finiscono per intersecarsi come due ingredienti di un cocktail che lascia che i colori si sfiorino senza mescolarsi.
Poi, di colpo, senza lasciare che i massimi sistemi s'impadronissero troppo del sottoscritto - anche perchè l'alcool, nel mio caso, porta ad un panesalamismo più estremo del solito, lontano dai filosofeggiamenti -, ho semplicemente deciso di godermi il momento, sentire il Fordino appoggiato su di me come se il petto mezzo tatuato fosse il posto più comodo, caldo e sicuro del mondo, pensare a quando potrò - sempre che voglia - ascoltare con lui Warren Zevon - che in questo periodo è tornato prepotentemente nella mia vita a suon di Lawyers, guns and money e Mohammed radio - o rivedere le vecchie serie che, ai vecchi tempi, avevano conquistato me e sua madre proprio come il suddetto Spartacus.
Non saprei descrivere l'emozione di istanti come questo con parole adeguatamente grandi, dunque abbasso il livello e trasmetto questa sensazione fantastica affermando che il Fordino è l'unica persona - anche più di Julez, o me stesso - che non potrà mai farmi fare un passo indietro neppure quando mi vomiterà, piscerà o qualsiasi altra secrezione "à" su di me, e a scapito delle prime cacche davvero soffocanti che ultimamente ci regala nulla di quello che è o sarà potrà tenermi lontano da lui.
Poi, certo, dovesse decidere di farsi prete o diventare berlusconiano - perchè continuerà ad esistere, che vi credete!? -, non mi negherò il privilegio ed il diritto di farlo rinsavire a bottigliate.
Ma questa sarà un'altra storia.
Per ora sono felice di aver trovato la condizione migliore per occupare il divano.


MrFord

"I was gambling in Havana
I took a little risk
send lawyers, guns and money
they'll get me out of this, yeah."
Warren Zevon - "Lawyers, guns and money" -


venerdì 29 marzo 2013

Enzo Jannacci (1935 - 2013)


So long, tu che portavi i scarp del tennis.

MrFord

"El purtava i scarp de tennis, el g'aveva du occ de bun
l'era il prim a mena via, perche' l'era un barbon."
Enzo Jannacci - "El purtava i scarp del tennis" -


 

Dredd

Regia: Pete Travis
Origine: UK, USA, India
Anno: 2012
Durata: 95'




La trama (con parole mie): in un futuro prossimo imprecisato all'interno del quale lo scenario post-atomico costringe gli uomini a rifugiarsi in megalopoli immense dominate dalla violenza e dal crimine, l'unico baluardo che possa proteggere la gente comune è costituito dai Giudici, uno speciale organismo di controllo che si occupa della cattura, della condanna e dell'eventuale esecuzione dei criminali.
Dredd, uno dei Giudici più tosti e spietati, è richiamato dai suoi comandanti affinchè si occupi della prova definitiva di Anderson, una mutante orfana che ha fallito per pochissimi punti l'esame di passaggio alla categoria ma che, date le sue straordinarie abilità, ha una seconda chance di entrare a far parte di questo unico corpo di polizia.
I due, finiti ad indagare su un triplice omicidio avvenuto in un palazzo formicaio dominato dalla spacciatrice Ma-Ma, si troveranno a lottare fianco a fianco per sgominare la gang della donna, applicare la Legge ed ovviamente sopravvivere.





Saranno passati vent’anni dal giorno in cui mio nonno portò a casa la vhs pirata di Dredd – La legge sono io, uno degli ultimi acuti del periodo d’oro stalloniano prima degli anni di quasi oblio che fecero scomparire dai radar fordiani uno degli eroi dell’infanzia del sottoscritto almeno fino a Rocky Balboa e John Rambo: ricordo che mi divertii parecchio guardando quella baracconata tratta da un titolo di nicchia targato DC Comics insolitamente dark e “cattiva” per essere appunto affidata ad uno dei re della retorica eighties come Sly, eppure notai che qualcosa era cambiato, nello spirito che animava l’operazione, quasi gli anni novanta con il loro carico di incertezze e la poca voglia di festeggiare e spassarsela fossero comparsi a riscuotere al banco di un’epoca che tramontava.
Il tempo ha guarito molte di quelle ferite, io stesso ho attraversato un periodo da immersione totale nel solo Cinema autoriale e radical chic prima di tornare ad apprezzare la settima arte in tutto e per tutto, riconquistando una posizione forse addirittura ancora più legata al pane e salame di quando ero bambino, e con la seconda decina del nuovo millennio l’arcigno personaggio di Dredd torna alla ribalta sul grande schermo, questa volta facendo di tutti i suoi elementi più violenti, oscuri e destabilizzanti una sorta di videogioco fracassone e senza particolari pretese, realizzato anche meglio di quanto potessi credere e poggiato senza dubbio più sulle spalle della nemesi Ma-Ma – una Lena Hadley sempre in spolvero – e della coprotagonista Anderson che su quelle del Dredd di Karl Urban – che poi, ci sarà pure un motivo se quel dannato casco non c’è proprio verso di farglielo togliere dal primo all’ultimo minuto, a parte il rischio che si apra la testa, come da grandissima citazione di Julez in merito -: che poi, povero Karl, il suo cattivissimo Giudice – che pare una versione futuribile di Jack Bauer – funziona anche così com’è, piatto e senza particolare spessore, pronto soltanto ad elencare quelli che sono i fallimenti in missione - strepitoso il tormentone "an automatic fail" - o a decretare sentenze di morte che non c’è dubbio applicherà e a spaccare culi a raffica sparando e menando legnate come se piovesse.
Dovessi esagerare, potrei addirittura affermare che la vicenda – che ruota attorno al rapporto tra Dredd e la novellina Anderson e alla loro incursione nel grattacielo formicaio sotto il controllo di Ma-Ma – riesce in qualche modo e con le dovute proporzioni a ricordare quella di The raid – Redemption, filmone totale tra i preferiti fordiani non usciti qui nella Terra dei cachi nel corso del 2012: certo, nel lavoro di Pete Travis – che è migliorato dai tempi del pessimo Prospettive per un delitto – è ben più evidente la struttura “a schermi” in pieno stile videoludico, le coreografie degli scontri non sono nulla di particolarmente esaltante ed è ovvia fin da subito – neanche ci trovassimo in un film horror o di uno degli action heroes Sly style – la fine che farà tutta la cricca dei cattivi, accompagnata dai consueti finti buoni corrotti, destinati ad essere puniti quanto e più dei “bad guys” dalla grande ed assolutamente esaltante pistola programmabile del Nostro, eppure il prodotto scorre violento e casinaro come piace ad un vecchio tamarro dello stampo del sottoscritto, calza benissimo con una serata senza impegno – o distensiva, se avete avuto giornate pesanti al lavoro – e non si propone come nulla più di quello che è.
Tanto per essere chiari, il risultato è talmente yeah che neppure i ralenti – che di norma detesto – sono riusciti ad apparirmi particolarmente fastidiosi, finendo per risultare anche congeniali alla storia e all’utilizzo della droga Slo-Mo spacciata da Ma-Ma e dai suoi tirapiedi: l’idea del salto nel vuoto prolungato prima dello spiaccicamento sul selciato centinaia di metri più in basso neanche si fosse catapultati nel racconto de L’odio è anzi decisamente interessante, così come il lavoro sul passato dei due personaggi femminili rispetto al nostro sempre cordiale Dredd, tagliato con l’accetta come se vivesse senza togliersi mai l’armatura di dosso.
Certo, un po’ di ironia in più non avrebbe guastato nel regalare spessore extra ad un personaggio che pagherei per leggere – e torniamo a parlare di fumetti – sceneggiato dal mitico Garth Ennis, creatore di quel Capolavoro di Preacher – che prima o poi mi deciderò a portare al Saloon – e responsabile del restyling del Punitore di qualche anno fa – personaggio, tra l’altro, che ha molti punti in comune con il granitico Giudice -, ma in fondo va bene anche così: quelli come Dredd sono programmati per uccidere, lottare e resistere poggiandosi proprio sulla loro inespressiva e marmorea stabilità, che se dovesse essere incrinata finirebbe per generare un altro caos come quello che i famigerati anni novanta portarono anche all’interno di un genere che, per definizione, è sempre risultato allergico all’approfondimento psicologico.
E non sarebbe certo una buona cosa.


MrFord


"E allora la mia statura
non dispensò più buonumore
a chi alla sbarra in piedi
mi diceva Vostro Onore,
e di affidarli al boia
fu un piacere del tutto mio,
prima di genuflettermi
nell'ora dell'addio
non conoscendo affatto
la statura di Dio."
Fabrizio De Andrè - "Un giudice" -




giovedì 28 marzo 2013

Thursday's child

 
La trama (con parole mie): prosegue l'agghiacciante bad luck streak delle ultime settimane che vede il sottoscritto con il suo come di consueto inconsistente antagonista, l'ex radical chic Cannibal Kid divenuto l'aristocratico -  o presunto tale - Marco Goi, rimanere allibiti al cospetto delle proposte nella quasi totalità per nulla incoraggianti dei distributori italiani.
Certo, tra le suddette ne troverete una che potrebbe cambiare la geografia dei migliori film del 2013, ma dopo quasi un mese di penuria contro un inizio anno scintillante, non mi basta neppure questo.

Ecco la locandina del nuovo film di Bryan Singer, Peppa Kid contro il mostro Ford.
Il cacciatore di giganti di Bryan Singer


Il consiglio di Cannibal: io preferisco dare la caccia ai Ford
Bryan Singer era un regista promettente. Dopo I soliti sospetti e L’allievo si è però dato unicamente al cinema più commerciale e super eroistico con gli X-Men e Superman Returns e ora con questo fantasy che negli USA in pochi si sono filati. Il buon cast britannico (Nicholas Hoult, Ewan McGregor, Ewen Bremner…) potrebbe sollevare il livello recitativo, ma non mi va mica tanto di scoprirlo.
Un film a cui non dare la caccia nei cinema, preferendo uno sport più salutare: la caccia al Ford. Nel senso di cacciarlo via dall’Italia!
Il consiglio di Ford: il cacciatore di Cannibali è solo uno, Ford!
Film che mi lascia alquanto perplesso, e che ho come il sentore potrebbe risvegliare una certa quale voglia di bottigliate mai sopita dalle mie parti. È anche vero che, considerato il periodo non proprio eccellente delle uscite in sala dopo un inizio anno più che promettente, non ho proprio voglia di perdere tempo con riempitivi deludenti, e preferirei piuttosto recuperare qualche supercult del passato da proporre qui al Saloon in attesa della prossima maratona registica nonchè della Blog War che mi vedrà nuovamente massacrare il buon Peppa Kid.

"Ma quello è Cannibal Kid!? A saperlo per pestarlo come si deve non scomodavo tutta questa gente!"
G.I. Joe - La Vendetta di Jon Chu


Il consiglio di Cannibal: il cinema chiede vendetta
Io c’ho provato. In vista dell’uscita del sequel ho pensato di recuperarmi il primo. Ma non ce l’ho fatta. Dopo i primi 15/20 minuti ho dovuto rinunciare a questa bambinata fracassona con esplosioni e una trama pseudo militaresca da trauma. Al confronto altri film tratti da giochi come Transformers e Battleshit mi sono sembrati dei capolavori.
Con queste porcherie commerciali spacciate per pellicole lascio giocare quell’eterno bambinone di Ford che non vedrà l’ora di vedere quel wrestler spacciato per attore di The Rock in questo sequel che potrebbe persino rivelarsi peggiore del primo.
Il consiglio di Ford: G.I. Ford si vendica sul Cannibale. Anzi, su Marco Goi.
Ammetto di aver evitato perfino io di vedere il primo capitolo di questa nuova, agghiacciante, tamarrissima saga cinematografica che prende spunto da una linea di giocattoli che è stata la base della mia infanzia: ricordo ancora i pomeriggi passati ad inventare storie con protagonisti gli infiniti personaggi dei G.I. Joe, i venerdì sera in cui mio padre tornava dal lavoro portandone uno a me e uno a mio fratello - con conseguenti litigi a proposito di chi doveva prendere possesso di quale - ed il wrestling con tanto di sistema di mosse basato sui dadi che avevo elaborato per loro.
Ammetto anche che il trailer di questo secondo episodio mi ha esaltato come il peggiore dei tamarri di periferia, quindi potrei addirittura pensare di spararmeli entrambi per l'occasione.

"Dunque Peppa Kid ti sta molestando!? Non preoccuparti, ci pensiamo noi!"
The Host di Andrew Niccol


Il consiglio di Cannibal: osteria, che settimana tragica!
The Host è uno dei più autorevoli candidati al titolo di film più massacrato dalla critica dell’anno. Si tratta infatti di una pellicola tratta da un romanzo di Stephenie Meyer che, a quanto pare, nella sua vita non s’è dedicata soltanto a torturarci con la saga di Twilight, per il momento terminata, ma ha anche scritto un libro pseudo fantascientifico. La regia è poi di Andrew Niccol, un tempo autore di cose pregevoli come Gattaca e Lord of War e ultimamente finito con In Time nella cerchia dei registoni commercialoni deludentoni come Bryan Singer.
A salvare la baracca ci potrebbe però pensare la piccola immensa Saoirse Ronan. Ce la farà in un’impresa del genere? E ce la farò io a liberarmi una volta per tutte di Ford?
Il consiglio di Ford: sarò il nuovo Host del Cannibale, e penso proprio di distruggergli completamente la casa.
Film assolutamente inutile tratto dal lavoro di una scrittrice assolutamente inutile affidato ad un regista che pare proprio stia diventando inutile.
No, non si tratta della pellicola ispirata all'autobiografia di Marco Goi, bensì della nuova fatica di Stephenie Meyer tradotta in immagini da Andrew Niccol.
Passo oltre lasciando che sia il mio sgradito ospite di rubrica ad occuparsene.

"Ecco cosa succede quando si è tra le preferite del Cannibale!"

Un giorno devi andare di Giorgio Diritti


Il consiglio di Cannibal: un giorno te ne devi andare, Ford
Giorgio Diritti è tipo il mito italiano di Ford, e già solo per questo meriterebbe delle bottigliate. Io comunque avevo abbastanza apprezzato il suo precedente L’uomo che verrà, nonostante la presenza della solita odiosa Alba Rohrwacher, anche se non mi era sembrato il capolavoro assoluto come definito dal mio ubriaco blogger rivale. Questo Un giorno devi andare sfoggia una delle migliori attrici italiane, Jasmine Trinca, altroché la Rohwacher, però sembra anche un film di quelli ad alto rischio retorica e, considerando il tragico stato in cui versa il cinema nostrano attuale, non mi sento di puntare troppo: su questo film, su Diritti e sui consigli storti di Ford.
Il consiglio di Ford: Peppa Kid, un giorno dovrai andare ad imparare un pò di Cinema nel Saloon di Ford.
Giorgio Diritti è il regista de Il vento fa il suo giro e L'uomo che verrà. Basterebbe questo a rendere questo film uno dei potenziali titoli dell'anno.
Non basta?
Giorgio Diritti è il Terrence Malick italiano. Il Malick buono, quello fino allo scempio che fu The tree of life.
Voglio puntare forte: potremmo essere di fronte non solo al titolo italiano dell'anno, ma anche ad uno dei primi dieci del meglio dei Ford Awards.

"E' stata proprio una bella idea quella di buttare a mare Peppa Kid. Ora si sta decisamente meglio."
Outing - Fidanzati per sbaglio di Matteo Vicino


Il consiglio di Cannibal: io e Ford, nemici mica per sbaglio
Faccio outing: odio Ford.
Lo sapevate già?
Faccio un altro outing: odio il cinema italiano attuale.
Sapevate già pure questo?
Siete proprio dei sapientoni e allora saprete anche che da una commedia con Nicolas Vaporidis potete pure tenervi al largo. Senza bisogno che ve lo dica io o tanto meno ve lo dica Ford.
Il consiglio di Ford: Cinema manco per sbaglio.
Vaporidis?
Giro al largo quanto e più che se mi trovassi su Pensieri Cannibali!
Dritto dritto nel cestino della settima arte.

"Vi piace il mio nuovo look? L'ho copiato pari pari da quello di Marco Goi!"
Come pietra paziente di Atiq Rahimi


Il consiglio di Cannibal: questa settimana ci va una grande pazienza
Ed ecco la prima uscita impegnata della settimana. Quella di cui Ford e i suoi amichetti radical-chic discuteranno nei loro circoli riservati. Ahahaha.
Tra una produzione italiana e una francese come questa tenderei a dare più fiducia alla seconda, però questo film ho voglia di vederlo quanto di dedicarmi a una rassegna di cinema russo da russate sponsorizzato da WhiteRussian.
Il consiglio di Ford: chi è senza peccato, ma anche no, scagli la prima pietra in testa al Cannibale.
Questo potrebbe essere uno di quei film impegnati in bilico tra bottigliate e sorpresa in positivo buono per salvare una settimana povera come questa, se non fosse che esce Giorgio Diritti.
Giorgio Diritti.
E del resto mi frega poco o niente. Come di Pensieri Cannibali. Ahahahahah!

Il tipico viale del tramonto dei registi consigliati dal Cannibale.
Due agenti molto speciali di David Charhon


Il consiglio di Cannibal: Cannibal e Ford, due blogger molto speciali
Altro film francese che mi ispira ben poco.
Okay, c’è il simpatico Omar Ry di Quasi amici e solo per lui mi viene quasi voglia di vederlo, però il rischio di trovarsi di fronte a una quasi minchionata è piuttosto alto. D’altra parte in questa settimana di molto speciale sembra esserci davvero ben poco. Commenti fordiani compresi.
Il consiglio di Ford: Ford e Cannibal, uno è speciale e l'altro no. In quest'ordine.
Filmetto che pare assolutamente trascurabile e che salterò ben volentieri a meno che non venga colto dalla nostalgia per Quasi amici ed il suo protagonista. Nostalgia che invece non mi coglierà quando Cannibale deciderà di liberare la blogosfera dall'ingombrante presenza sua e del suo ego. Ahahahahaha!

"Alla prossima stronzata che mi dici su Diritti ti spedisco dritto dritto nel Rio delle Amazzoni a far compagnia a Peppa Kid!"
Marsupilami di Alain Chabat


Il consiglio di Cannibal: piuttosto mutilatemi!
Se sui due film francesi precedenti resto indeciso, su questa roba ibrida cartoon-carne e ossa sono sicuro al 100%: col piffero che lo guardo!
Una bambinata di quelle che manco il peggior Ford saprebbe consigliare.
Fordse…
Il consiglio di Ford: neanche il peggiore dei Coniglioni.
A volte mi chiedo se la distribuzione italiota pianifichi le uscite in modo da rendere necessariamente la vita difficile a noi poveri bloggers cinematografici.
Capisco renderla difficile a Peppa Kid, ma tutti gli altri che c' entrano!?
Comunque, saltato a piè pari senza ritegno alcuno.

"Caro Peppa, questa settimana non c'è solo The Rock pronto a sistemarti per le feste!"
I figli della mezzanotte di Deepa Mehta


Il consiglio di Cannibal: Ford, a mezzanotte per te c’è il coprifuoco
Deepa Metha è una regista indiana di cui non so niente, ma di cui magari il cosmopolita Ford dall’alto delle sue infinite conoscenze di cinema internazionale saprà illuminarci.
Dal trailer, sembra trattarsi dell’altra pellicola pseudo impegnata e pseudo noiosa della settimana. Anzi, mi sa tanto che non è pseudo noiosa, ma è noiosa noiosa. Ai livelli di un serioso post fordiano a caso.
Il consiglio di Ford: caro Pargoletto Kid, a nanna prima di mezzanotte!
Deepa Mehta é da sempre una sorta di idolo dei salotti radical chic che tanto detesto, e i suoi lavori passati dalle mie parti hanno sempre stuzzicato pericolosamente le bottigliate.
Mi risparmio dunque felicemente questo per evitare di chiudere tremendamente una settimana pessima.

"Ma quello là sopra è The Great Khali!?" "Sì, ma stai tranquilla: è qui solo per mettere le mani sul Cannibale!"

ER - Stagione 1

Produzione: NBC, Warner
Origine: USA
Anno: 1994
Episodi: 25




La trama (con parole mie): siamo in un pronto soccorso della Chicago dei primi anni novanta, e tra le sale emergenza medici, chirurghi, specializzandi ed infermieri incastrano le loro vite con una professione dura quanto intensa. Il giovane John Carter, al suo primo praticantato, si troverà a confrontarsi con l'equilibrato responsabile Mark Greene, il pediatra Doug Ross, il duro chirurgo Peter Benton e tutti gli altri elementi della squadra della sezione ER: nel corso di questo suo primo anno avrà occasione di imparare, porre le basi per quella che sarà la sua professione e vedere se stesso, i colleghi ed i superiori cadere e rialzarsi di fronte alle vite salvate o perdute di pazienti così come rispetto alle storie che ognuno di loro porta come bagaglio nel rapporto con il lavoro, i colleghi e se stesso.





Non è la prima volta che, qui al Saloon, ci si accinge al recupero di una serie ormai "datata" precedentemente ignorata o seguita fin troppo saltuariamente: in realtà, ER arrivò in casa Ford la scorsa primavera, quando, ancora senza sapere che il Fordino sarebbe entrato nelle nostre vite, con Julez si pensava di abbandonare la barca italiota in perenne affondamento e fare rotta verso realtà decisamente più consone alle nostre aspettative, sogni e gusto: una di queste riguardava un ritorno in Australia, terra meravigliosa che non abbiamo mai davvero lasciato e che ancora oggi continua ad essere un pensiero fisso.
Così, per allenare l'inglese, la stessa Julez acquistò una buona scorta di cofanetti di serie che potessero fornire un certo supporto in materia di sottotitoli ed essere pronta nel momento della partenza: la storia ha preso poi una direzione diversa - e che non suoni come un rimpianto -, il Piccolo ha deciso di farci rimanere da queste parti - almeno per un pò - e dunque ER è stato riciclato come una delle consuete visioni "da cena", ormai un vero e proprio rito da queste parti.
Il risultato è stato un piacevole ritorno al passato inizialmente reso ostico da una certa freddezza nel trasporto emotivo della narrazione e dunque esploso fino a solleticare già la curiosità per la seconda annata, che ci aspetta nella sezione cofanetti di serie nella prestigiosa zona del salotto appena sopra le vetrinette degli alcolici: tornando alla visione, è stato decisamente curioso affrontare un look ed un piglio profondamente anni novanta - terribili quasi tutti i capi d'abbigliamento indossati dai protagonisti - che ora appare inesorabilmente datato ma che, nello specifico del drama ospedaliero è stato senza dubbio il punto d'origine di quelli che, un decennio più tardi, sarebbero stati Scrubs, Grey's anatomy e, perchè no, anche Il dottor House.
Se, come già accennato, dal punto di vista emotivo spesso e volentieri i protagonisti di ER si mantengono ad una certa distanza dall'audience, tecnicamente la serie risulta assolutamente valida, spesso giocata su uno stile di regia che privilegia acrobatici piani sequenza all'interno delle sale del pronto soccorso e supportata da un ottimo cast all'interno del quale figurano future star - su tutte, George Clooney - e conferme solidissime - William Macy e Michael Ironside -, senza contare speciali collaborazioni come quella con Quentin Tarantino, che firmò uno degli ultimi episodi fornendo al pubblico i primi indizi del suo amore per il piccolo schermo, che si tradurrà nel decennio successivo con la realizzazione di episodi di Alias e CSI.
Ottima la varietà dei personaggi, dal protagonista e "bravo ragazzo" da tradizione americana John Carter - e non parliamo del muscoloso antieroe in partenza per Marte - al responsabile Mark Greene - che i più legati agli eigthies ricorderanno come protagonista di Toccato! -, dall'apparentemente freddo e duro Peter Benton a tutto il personale infermieristico, per la prima volta mostrato come parte fondamentale del processo di intervento troppo spesso e volentieri assegnato solo ed esclusivamente ai medici.
In questo senso ER può essere senza dubbio definito come il titolo più innovativo del panorama medical-drama, forse ormai naif agli occhi di un pubblico abituato allo stile ed al taglio del nuovo millennio eppure una delle pietre miliari che traghettarono il piccolo schermo ed i suoi fan dalle proposte al limite del kitsch degli anni settanta e ottanta fino alla consolidata - e di qualità quasi cinematografica - realtà attuale.
Come se non bastasse, tra suicidi, morti e disagi personali, l'aspetto "buonista" che un prodotto di questo genere rischiava è ampiamente tenuto a bada, e risulta interessante anche dal punto di vista "storico" soprattutto per la situazione dell'AIDS, ai tempi decisamente più incontrollato e minaccioso di quanto non possa suonare ora soprattutto nei paesi occidentali - anche se, ed è bene ricordarlo sempre, parliamo di uno dei grandi flagelli dell'ultimo secolo che andrà sempre tenuto sotto stretto controllo -.
Una proposta, dunque, coraggiosa e coinvolgente, che forse è stata troppo in fretta dimenticata ma che meriterebbe perlomeno una piccola ribalta, non fosse altro per la grande influenza che ha esercitato sul mondo delle serie televisive.


MrFord


"I think we have an emergency
I think we have an emergency
if you thought I'd leave, then you were wrong
cause I won't stop holding on
so are you listening?
so are you watching me?"
Paramore - "Emergency" -


mercoledì 27 marzo 2013

Altri libertini

Autore: Pier Vittorio Tondelli
Origine: Italia
Anno: 1980
Editore: Feltrinelli




La trama (con parole mie): sei racconti che, dal cuore pulsante dell'Emilia, guardano a Bologna, Milano, l'Europa negli anni delle contestazioni, gioventù ribelli e ribollenti che si forgiano in bilico tra amori, sesso, droga, viaggi, gioie e dolori.
Il ritratto naif e passionale di una generazione che si gioca tutto giorno per giorno ed esprime il suo sapere attraverso la sete di esperienza più che di nozioni, e prende forma grazie ai protagonisti di storie che si incrociano e rimbalzano e pulsano neanche fossero le nostre.
Dagli sperduti posti ristoro della Bassa a Bruxelles, da Piazza Grande a Correggio, stagioni irripetibili come soltanto quelle della nostra formazione sanno e possono essere: la primavera e l'estate della vita nella loro massima espressione di desiderio.




A volte capita che si incroci il cammino di un autore in grado, fin da subito – o quasi – di apparirci come familiare, vicino, quasi avessimo condiviso con lui grandi bevute, mangiate, nottate, o uno di quei viaggi della perdizione – o del ritrovamento di se stessi – tipici dei periodi della vita in cui abbiamo bisogno, in qualche modo, di ricominciare.
Avevo già sentito parlare di Pier Vittorio Tondelli, uno dei “ragazzi perduti” della generazione di grandi artisti che il fermento degli anni settanta produsse attorno a Bologna – un po’ come Andrea Pazienza, per citarne un altro dalla genialità e dal destino simili a quelli dello scrittore di Correggio – sia nella blogosfera – Zio Scriba ne è l’esempio più clamoroso – che tra amici, ma è stato mio fratello ad introdurmi nel suo mondo: da anni, infatti, per il Ford più giovane il buon Tondelli è un idolo consolidato ed indiscusso, una specie di Rino Gaetano della letteratura che, partendo dal naif, riesce ad aprire un mondo al lettore fatto di viaggi e sogni radicati profondamente nel quotidiano.
Con questo Altri libertini è iniziata dunque la mia scoperta di un vero e proprio spirito affine, un compagno di brindisi che, come il sottoscritto, crede profondamente nell’esperienza come maestra di vita nonché modo migliore per mettere a frutto quelli che possono essere stati gli insegnamenti raccolti nel corso dei nostri anni e della strada percorsa fino ad ora.
Se, infatti, con i primi due racconti l’impressione avuta era quella di una sorta di antologia un po’ nostalgica di un periodo sicuramente più caotico di questo ma anche più sanguigno e magico – una sorta di Amarcord felliniano da strafatti -, con il terzo – chiamato proprio Il viaggio – l’intero lavoro assume una dimensione ed uno spessore clamorosamente grandi, riuscendo a parlare direttamente al cuore di quel momento della vita in cui tutto è ancora da scrivere, e se non finisci male può anche darsi che alla fine lo scriverai, in un modo o nell’altro, quanto e più di romanzi generazionali come Il giovane Holden o Siddartha.
Le peripezie vissute dal protagonista accanto al quasi inseparabile amico Gigi tra Bruxelles, Milano e Correggio, o la storia con Dilo, studente romano conosciuto a Bologna suonano non tanto come i manifesti dell’epoca delle grandi contestazioni, quanto come la fotografia di un’esistenza che prende forma, semplice e magica come soltanto la vita vissuta può e deve essere: in uno dei passaggi fondamentali del racconto, proprio in un confronto con Gigi, l’alter ego dell’autore confessa “la scuola si sistemerà solo quando non ci sarà più: ho imparato più da un pompino che da vent’anni di esami”.
Lo spirito di Tondelli è tutto qui.
Vivi, a fondo e il più possibile, annusando l’aria in cerca del tuo odore e viaggiando veloce per scappare dagli scoramenti – come nel meraviglioso racconto di chiusura, Autobahn, che ricorda l’altrettanto stupendo pezzo dei Kraftwerk – che il mondo riserva e riserverà sempre: in questo modo anche il destino, a volte, ti verrà incontro allungandoti una mano, e non per piazzare uno schiaffo. Anzi, potrebbe essere che ci scappi un colpo di fortuna, dei soldi piovuti nel parcheggio di un posto di ristoro o una scopata liberatoria, o la forza di tutta quella magia della Bassa che rese grande il già citato Fellini e avrebbe fatto la fortuna di un altro noto abitante di Correggio qualche anno dopo, Luciano Ligabue, che pare aver costruito i suoi primi dischi – quelli belli, per intenderci – proprio su figure come quella del troppo presto scomparso Pier Vittorio.
Perché troppo presto se n’è andato davvero, questo ragazzaccio assetato di vita.
Eppure di una cosa sono certo, nonostante abbia affrontato soltanto uno dei suoi lavori: lo scoramento non l’ha raggiunto neppure con la morte sicuramente prematura, ed il suo odore ancora pervade pagine che sono una vera festa per lo stomaco, gli occhi, il sesso e tutti quegli organi che fanno dei giorni, degli amori, dell’andare oltre o cercare di stare dentro la fortuna loro e di quelli che li portano e li seguono.
Certo, a volte può capitare che la corsa non conduca a nulla di buono, o che il nostro Ronzinante a motore finisca per spiaccicarsi da qualche parte con noi dentro, ma la posta è troppo alta per rinunciare, e da ogni riga di Altri libertini è evidente che questo Tondelli lo sapeva bene: succhiare tutto il midollo della vita, che sia dalla strada, da una bottiglia, da un cazzo o da una vagina.
O da un bacio di quelli che tolgono il respiro e si ricordano finchè si campa.
Ed è sempre un piacere incontrare qualcuno che sente la vita sulla pelle proprio come te.
“E ti vedi con una che fa il tuo stesso giro, e ti senti in diritto di sentirti leggero”, cantava Ligabue.
Ed è così che mi sono sentito tra queste pagine.
E non è affatto roba da poco.
Pier Vittorio, devo ringraziare mio fratello per avermene fatto trovare un altro.
E devo ringraziare anche te.
Perché quando sulla pelle passa il brivido del capirsi al volo non si può fare proprio altro.


MrFord


"Ci han concesso solo una vita
soddisfatti o no qua non rimborsano mai
e calendari a chiederci se
stiamo prendendo abbastanza abbastanza
se per ogni sbaglio avessi mille lire
che vecchiaia che passerei
strade troppo strette e diritte
per chi vuol cambiar rotta oppure sdraiarsi un po'
che andare va bene però
a volte serve un motivo, un motivo
certi giorni ci chiediamo e' tutto qui?
E la risposta e' sempre sì."
Ligabue - "Non è tempo per noi" -


martedì 26 marzo 2013

Cyrus

Regia: Jay Duplass, Mark Duplass
Origine: USA
Anno: 2010
Durata: 91'



La trama (con parole mie): John è un montatore freelance divorziato ormai da sette anni dall'ex compagna Jamie, in procinto di risposarsi con Tim. Depresso e solo, è invitato proprio dalla coppia ad una festa dove conosce Mollie, che da subito mostra interesse sincero ed attrazione per l'uomo.
Ne nasce una storia d'amore che decolla immediatamente, e che John ha intenzione di vivere senza lesinarsi nulla, specie considerando il tempo perduto a commiserarsi dopo la fine del suo matrimonio: quello che il malcapitato non sa, però, è che Mollie ha cresciuto da sola un figlio ormai più che ventenne, Cyrus, che dietro una facciata disponibile e cortese nasconde un carattere infantile, egoista e pronto a battersi per una territorialità che ha al centro proprio la madre.
Nonostante un inizio apparentemente tranquillo, tra i due uomini si scatenerà una vera e propria lotta per le attenzioni - ed il futuro sentimentale - di Mollie.




Nell'ambito del Cinema made in USA, la realtà del Sundance è stata una delle più soddisfacenti e controverse che il Saloon abbia conosciuto nel corso degli anni: accanto a rivelazioni strepitose - Little Miss Sunshine su tutte - sono passate vere e proprie chicche d'autore che seppellire di bottigliate è stato un grandissimo piacere - oltre che un dovere -, che hanno reso il Festival creato da Robert Redford uno dei più stimolanti e rischiosi nel panorama cinematografico mondiale.
Da parecchio tempo, e proprio riferendomi ad esso, sentivo parlare di questo lavoro dei Duplass, peraltro attraverso commenti sicuramente positivi, dunque non potevo lasciare che sfuggisse ancora per molto alle attenzioni del sottoscritto: fortunatamente per casa Ford, occorre da subito ammettere che Cyrus è indiscutibilmente parte del "lato buono" del Sundance style, quello privo di autocompiacimenti o menate da pseudo artisti di sorta e decisamente orientato verso i sentimenti dei protagonisti delle pellicole così come quelli del pubblico, inevitabilmente coinvolto e toccato da lavori che, pur essendo lontani dall'esperienza di chi li guarda, finiscono per coinvolgere quasi fossero racconti di vita di qualche vecchio amico ritrovato con piacere.
Arricchito da un cast in più che discreta forma - non capita tutti i giorni, del resto, di avere a disposizione per una pellicola indipendente John C. Reilly, Marisa Tomei e Jonah Hill nel ruolo di protagonisti - e da uno script dolceamaro in grado di mescolare ironia ed una punta di tristezza che definirei "autunnale", questa riflessione sul rapporto tra genitori e figli e sul valore di una storia quando, superati i quaranta e soli, si finisce per autoconvincersi che non ci sarà più un futuro - sentimentalmente, ma non solo, parlando - appare credibile e sincera, mai persa in inutili autorialismi e concentrata sul suo lato più schietto e pane e salame, nonchè privo di vergogna nell'essere mostrato anche nei suoi lati decisamente più inquietanti - il rapporto tra Mollie e Cyrus non è sicuramente una cosa da prendere a cuor leggero -.
Quella che sarebbe potuta essere, nelle mani ad esempio di uno come Judd Apatow, una commedia assolutamente demenziale e senza dubbio bassa, diviene per i Duplass un'occasione per mostrare tre solitudini che, nel loro incontro - e scontro - trovano lo stimolo perchè le cose assumano una dimensione nuova e le vite prendano una direzione diversa da quelle di losers che paiono avere impresse a fuoco sulla pelle, almeno agli occhi di chi, all'esterno e baciato "dal successo" - la coppia Jamie/Tim - potrà sempre e soltanto guardare dall'alto in basso.
Certo, non staremo parlando della pellicola del secolo, o di un'esperienza destinata a cambiare la vostra vita di spettatori, eppure nel romantico riscoprirsi di John e Mollie, nella lotta senza quartiere tra lo stesso John e Cyrus, nel rapporto che lega il ragazzo alla madre c'è qualcosa di genuino e spontaneo così come di scombinato e disfunzionale, tutto però concentrato nel desiderio di trovare un riscatto che possa in qualche modo dare una dimensione nuova ad una vita vissuta sempre e comunque per sottrazione, alimentata da una tristezza di fondo che soltanto chi pensa di essere destinato ai margini può avvertire.
Un film da non protagonisti, lontano dalle scene madri e girato come fosse una produzione molto, molto low budget, eppure in grado di lasciare il suo segno piccolo piccolo e non sfigurare accanto a pellicole ben più blasonate ma decisamente meno portate al cuore di questa.
Se un giorno vi ritrovaste soli - a casa, o senza lavoro, o in assenza di un/a compagno/a, lontani da tutto - fate appello a tutta la forza possibile e lasciate scorrere dagli occhi al cuore le vicende di questi tre insoliti charachters, perchè oltre il pessimismo, la malinconia ed una certa quale disperazione sotterranea - ma non troppo - potreste trovare la forza di recuperare quello spirito - in tutti i sensi - per ricominciare da capo.
E addirittura scoprire che tutta quella fatica è servita a portarvi in un posto migliore.


MrFord


"I'm gonna clear out my head
I'm gonna get myself straight
I know it's never too late
to make a brand new start."
Paul Weller - "Brand new start" -


lunedì 25 marzo 2013

La madre

Regia: Andrés Muschietti
Origine: Spagna
Anno: 2013
Durata: 100'




La trama (con parole mie): Lucas e Annabel si trovano ad affrontare la sfida di crescere le figlie del fratello dell'uomo, Jeffrey, scomparso in circostanze misteriose cinque anni prima, appena dopo aver ucciso la madre delle bambine ed averle portate con lui nei boschi, dove le piccole hanno finito per vivere allo stato brado trovando conforto nella presenza della misteriosa Mama, fantasma di una donna ospite di un manicomio che perse il proprio figlio più di un secolo prima.
Proprio lo spettro, geloso ed infuriato a causa dell'intrusione della coppia in quello che considerava il suo territorio ed il suo mondo, finirà per mettere alla strette gli improvvisati genitori costringendoli a lottare non solo per la sopravvivenza di Victoria e Lilly - questi i nomi delle nipoti di Lucas - ma anche della loro.




A volte l'ispirazione che rende grande una stagione cinematografica per un regista o un Paese è anche la causa principale di momenti di buio profondo in cui l'ispirazione stessa pare venire meno per lasciare spazio a pallide imitazioni dei titoli alla sua stessa base.
Allo stesso modo diventa particolarmente rischioso, per un regista, passare dall'essere dietro la macchina da presa al campeggiare sulle locandine in veste di produttore, guru, ispiratore o quant'altro.
E' quello che è accaduto al Cinema spagnolo e a Guillermo Del Toro, rispettivamente: il primo, sfoderata una stagione di gloria più o meno tre anni fa, ha cominciato a vivere di rendita ben oltre le sue possibilità, mentre il secondo è passato dal rinunciare alla realizzazione de Lo hobbit - completato poi, e alla grande, da Peter Jackson - per finire a fare da padrino a pellicole di qualità decisamente scarsina come questo La madre, spinto al botteghino negli States grazie alla presenza nel cast di Jessica Chastain - in questo film particolarmente fordiana ed apprezzata nel look dark dal sottoscritto -.
Le ghost stories, bollite spesso e volentieri quanto l'horror in genere, paiono aver esaurito le loro cartucce da parecchio tempo, ed all'interno del lavoro di Muschietti non si trovano spunti che possano differenziarlo da operazioni analoghe e decisamente non riuscite come The woman in black, che fu una delle delusioni più terribili della passata stagione: nonostante, infatti, le buone idee che ruotano attorno al concetto di maternità e al desiderio della presenza ribattezzata Mama dalle due bambine protagoniste di trovare conforto a seguito della traumatica perdita del figlio appena nato, la pellicola ed il suo svolgimento finiscono presto saldamente nei binari poco rassicuranti del già visto, risparmiando al pubblico tensione e spaventi e bruciando troppo in fretta - e decisamente male - la figura del "mostro", realizzata anche con ben poca perizia dal punto di vista degli effetti speciali.
Un peccato, perchè almeno in parte le potenzialità di giungere ad un livello discreto c'erano, dall'idea di utilizzare lo stesso attore per i due fratelli protagonisti - l'omicida in fuga dell'incipit e l'amorevole zio del resto della pellicola - a quella delle differenze tra le due bambine, segnate dall'isolamento nei boschi e dalla differenza d'età - la piccola appare più legata alla figura di Mama rispetto alla sorella, probabilmente a causa dei ricordi della madre naturale ovviamente radicati nella sensibilità della maggiore prima che nella sua -: demerito più dello script che della regia, questo va ammesso, a suo modo priva di acuti ma neppure mal gestita dall'allievo del succitato Del Toro, al contrario di una sceneggiatura piatta che non riesce a cogliere gli aspetti migliori della caratterizzazione dei protagonisti e viene gestita malamente nei raccordi temporali, che fanno acqua neanche ci trovassimo nel pieno di un filmetto di infima categoria invece che in una produzione internazionale destinata - almeno sulla carta - al successo di pubblico e critica.
Sicuramente c'è di peggio - nello stesso ambito e non solo -, e questo La madre si lascia guardare senza fare incazzare troppo, intrattenendo quanto un film da sabato sera in relax può fare, ma era legittimo aspettarsi un prodotto di tutt'altro livello dall'autore de Il labirinto del fauno e costruito sul volto di una delle attrici più lanciate - e dotate - dell'attuale panorama hollywoodiano.
Evidentemente l'allievo non era in grado di superare il maestro.
E La madre non era destinato a fare la Storia di una parte di Cinema che una volta ancora si conferma come tra le più ostiche da affrontare per un regista.


MrFord


"I'm trying to control myself 
so please don't stand in my way
I've waited for the longest time 
this is what I wanted in my way
move over, move over
there's a climax coming in my way
move over, move over
there's a climax coming in my way."
Cranberries - "Shattered" -