sabato 30 giugno 2012

Fish tank

Regia: Andrea Arnold
Origine: UK
Anno: 2009
Durata: 123'



La trama (con parole mie): Mia ha quindici anni, vive nel profondo dell'Essex e nel disagio delle periferie, sogna di diventare una ballerina, ha una madre ed una sorella minore con le quali convive a fatica ed è in lotta con il mondo e la vita.
Quando proprio la genitrice trova un nuovo fidanzato - il comunicativo e sempre disponibile Connor - e lo invita a trasferirsi da loro, la vita della ragazza viene completamente travolta: uscire dal guscio diviene un'occasione per confrontarsi con se stessa e provare di poter essere migliore di chi l'ha messa al mondo, di fatto relegandola alla lotta cui paiono essere destinate le adolescenti come lei e, in breve, sua sorella.
Ma l'uomo nasconde un segreto che riporterà Mia ed i suoi sogni ad una dimensione decisamente più reale.




E così uno dei film indipendenti più celebrati e premiati degli ultimi anni è giunto - con colpevole ritardo, lo ammetto - anche sugli schermi di casa Ford: praticamente da sempre ho provato una certa simpatia istintiva per il Cinema sociale britannico, anche e soprattutto grazie alla scoperta, ormai parecchio tempo fa, di un certo Ken Loach che è riuscito a crescermi come spettatore e non solo a suon di cazzotti sui denti grazie a perle quali My name is Joe - forse il suo film che preferisco ancora oggi -, che ricordano quanto sia dura vivere sogni e speranze quando si nasce in una periferia che può nascondere mondi e futuri quotidianamente messi alla prova da un presente spesso e volentieri ingombrante e privo di prospettive.
Fish tank - l'acquario dei pesci, per tradurlo liberamente, quasi fosse un'immagine finto poetica -, premiato a Cannes ed osannatissimo in rete e oltre, si inserisce alla perfezione nella tradizione del buon Ken strizzando l'occhio alle generazioni attuali legate ad Mtv e a prodotti più leggeri come Misfits senza dimenticare quanto, ai Festival - e soprattutto sulla Croisette -, vengano apprezzate le pellicole neorealiste di chiara ispirazione dardenniana: un film tosto, che si dibatte e sbatte contro le pareti trasparenti del suddetto acquario sperando di sfondarlo a suon di testate, ben scritto ed interpretato ottimamente da un cast che rende benissimo l'idea della strada trascinato da un come al solito ottimo Michael Fassbender, ormai certezza del Cinema europeo e non solo.
Eppure, nonostante un impatto emotivo non indifferente ed una sorta di partecipazione che cresce nello spettatore a dispetto del fatto che non esista, di fatto, un personaggio con il quale empatizzare fino in fondo, ho trovato Fish tank un ritratto fin troppo simile alla sua protagonista: una pellicola con ottime potenzialità che combatte fino a ritrovarsi sfinita e senza le energie necessarie a sferrare il colpo decisivo per rimanere davvero impressa nella storia da spettatore di chi vi si pone innanzi.
Rispetto a pietre miliari quali This is England - altro titolo associabile al lavoro di Andrea Arnold -, infatti, la vicenda di Mia non riesce a superare il confine dell'incompiutezza che la giovane vive sulla sua pelle, ritratto perfetto della rabbia tutta adolescenziale per una vita che pare sempre - e forse lo è, a ben vedere - ingiusta e dall'altra parte della barricata: un personaggio scomodo, non piacevole, che fa tenerezza nei suoi tentativi di liberare la vecchia cavalla come se fosse il simbolo della sua stessa libertà e rabbia rispetto all'ostinazione di affrontare a muso duro ogni tentativo di entrare nel mondo che lei stessa non vuole altro - e disperatamente - che far conoscere e condividere: in questo senso, il confronto con l'amica ed il suo nuovo gruppo ad inizio pellicola e la gita con Connor, la madre e la sorella dalla pesca del pesce al ballo nel parcheggio rendono perfettamente l'idea, e risultano tra le più efficaci di una pellicola forse discontinua, ma sicuramente interessante anche nei suoi difetti.
Proprio Connor - cui presta presenza e fisicità il già citato Fassbender - è la benzina che accende la miccia della vera rivolta di Mia, iniziata come un atto di emancipazione rispetto alla madre, proseguita come la scoperta dell'amarezza che l'amore - o qualunque cosa sia - può riservare soprattutto quando non si è maturi abbastanza per comprenderne i rischi e conclusa con un confronto che vede sempre i più piccoli ed indifesi - pur se in modo diverso - fuggire dal proprio predatore, nel passaggio più drammatico e terribile della pellicola, risolto alla grande dalla regista - di fatto, il doppio faccia a faccia tra Mia e Keira prima e Mia e Connor poi risulta essere l'unico vero lampo di genio della Arnold -: attorno, una cornice di miseria umana e sociale che ricorda quella affrontata dalla Rosetta dei - di nuovo - Fratelli Dardenne e della sua ispiratrice, la Mouchette di Bresson, che anticipò perfino i malesseri della crescita del Doinel di Truffaut.
Un film da vedere a cuore aperto, senza soffermarsi troppo sui carrelli laterali o le immagini poetiche a volte inserite soltanto per "fare numero", concentrandosi sulla sua poco avvicinabile antieroina lasciando che la memoria riporti anche noi al periodo in cui, con le ossa ancora fragili, ci affacciavamo sulla vita adulta con la voglia di menare le mani senza sapere che, alla fine, le prime vittime di uno scontro saremmo stati proprio noi.
Soltanto quando il presente non sarà più abbastanza e Mia deciderà di muoversi verso il futuro - che non sarà roseo, ma rappresenterà comunque qualcosa - le cose parranno davvero mettersi in moto, e lo stesso abbraccio alla sorella poco prima della partenza diverrà una testimonianza sentita e profonda del cambiamento: verrebbe da chiedersi cosa accadrebbe se la regista decidesse di legare un'intera storia di crescita e ben più di un lungometraggio alla sua protagonista, portando Katie Jarvis con lei come fece il già citato Truffaut da I quattrocento colpi in avanti.
Forse ci troveremmo al principio di un percorso straordinario.
E anche questo imperfetto punto di partenza assumerebbe un significato ancora più importante.
Un pò come l'adolescenza.
Un pò come la vita.
Uscire fuori dall'acquario e vedere com'è il mondo.
Anche quando potrebbe voler dire finire infilzati dal primo Connor cui si crede di dovere il cuore - e non solo -.


MrFord


"Ogni adolescenza coincide con la guerra
che sia falsa, che sia vera
ogni adolescenza coincide con la guerra
e così sempre sarà."
Tre Allegri Ragazzi Morti - "Ogni adolescenza" -


 

venerdì 29 giugno 2012

Last friday night

La trama (con parole mie): come di consueto, ci troviamo di fronte ad un nuovo weekend di uscite particolarmente smorto di questa particolarmente calda estate.
La settimana appena trascorsa, però, ha reso ancora più torrido il clima grazie al conflitto tra me ed il mio antagonista Cannibale a proposito del controverso Detachment, oggetto di incredibili discussioni dalle mie e dalle sue parti.
A mettere pace - ma sarà mai davvero possibile? - tra i due contendenti, però, arriva finalmente nelle sale italiane uno degli indiscutibili film dell'anno, pellicola in grado di mettere d'accordo anche due nemici per la pelle del nostro stampo.
Sappiate che sarà assolutamente vietato perderselo.


"Ford e Cannibale concordano su un film: meglio mettersi al riparo prima che si scateni l'Apocalisse!"

La cosa di Matthijs Van Heijningen Jr.


Il consiglio di Ford: di Cosa ce n'è una, tutte le altre son nessuna!
Questa sorta di reboot dei classicissimi di Hawks & Nyby e di Carpenter pare più un insulto ai suddetti che altro, dunque lo vedrò solo ed esclusivamente nella speranza di trovare un valido candidato per la top ten di fine anno dei film più brutti del 2012.
Certo, dopo aver visto Detachment - http://whiterussiancinema.blogspot.it/2012/06/detachment.html- , sarà una sfida durissima per chiunque! Ahahahahah!
Il consiglio di Cannibal: si chiama La Cosa, ma a sorpresa non è un film con protagonista Ford…
Tralasciando il commento su Detachment, uno dei film americani più belli degli ultimi anni, che giusto una Cosa e non un essere umano può non apprezzare, di recente ho visto sia il film di Carpenter che questo remake.
Devo dire che entrambi non mi hanno entusiasmato granché. La pellicola di Carpenter, che di certo ha fatto di molto meglio, presenta qualche ottimo spunto, però è invecchiato maluccio (non quanto Ford, tranqui). Il prequel è decisamente meno autoriale e più “commerciale”, si lascia vedere, non è certo orripilante quanto porcherie come John Carter, ma allo stesso tempo non lascia alcun segno.
Prossimamente la mia doppia recensione di queste due cose.

"Mio Dio, cosa l'ha ridotto così?" "Pare che abbia visto Detachment."
I tre marmittoni di Bobby & Peter Farrelly


Il consiglio di Ford: di marmittoni - per essere gentili - nella blogosfera, ce ne sono solo due, entrambi qui presenti.
Altro simil reboot pescato dai Farrelly, ultimamente piuttosto in crisi di idee rispetto agli anni della loro prima ribalta.
Rispetto a La cosa, però, non ho alcuna intenzione di sorbirmi questa roba, che lascio con grande piacere al mio antagonista, reo di aver incensato a profusione quella robaccia di Detachment. Ahahahahahah!
Il consiglio di Cannibal: i tre fordettoni (ma già ne bastava uno…)
Ho sempre visto con piacere i film dei Farrelly, in grado di fare uscire commedie dai risultati alterni ma comunque sempre piuttosto spassose. Però I tre marmittoni mi ispira meno di zero, che è poi anche quanto Mister James Snob ne capisce di cinema. Una “cosa” di gag comiche riciclate dagli anni ’30 come questa la scarico a mia volta a quel vecchiardo di Ford che ripescando i 3 Stooges (ma Iggy Pop ahimé qui non c’entra) potrà ripensare agli anni in cui era teenager.

"Per andare di sotto non ci serve la scala: dopo aver visto Detachment, ci buttiamo e basta!"
Qualche nuvola di Saverio Di Biagio


Il consiglio di Ford: sulla testa del Cannibale, più che qualche nuvola, c'è una tempesta in arrivo. Di bottigliate.
Film dal respiro finto radical chic all'italiana che cercherò di evitare senza troppi patemi: vorrei evitare di incazzarmi e finire a slogarmi la spalla a furia di bottigliate un'altra volta, questa settimana.
Lascio quindi questa proposta pseudo-festivaliera al mio pseudo-festivaliero rivale.
Il consiglio di Cannibal: la nuvola di Fordozzi di abbatterà su di voi, se lo vedete.
Un film che di radical-chic non ha nulla, tranne le solite esternazioni deliranti del mio rivale, ma sembra piuttosto l’ennesimo film neo-realista all’italiana che vola basso, senza prendersi rischi come quel Capolavoro recente di Detachment. Considerando i suoi terrificanti gusti, questa nuvola potrebbe persino rivelarsi il film dell’anno, in casa Ford.

"Provo un certo distacco all'idea di assaggiare questo piatto: sarà che lo chef si chiama Tony Kaye."
L'amore dura tre anni di Frederic Beigbeder


Il consiglio di Ford: la lotta con il Cannibale è destinata a durare decisamente di più.
Secondo capitolo della sagra del radicalchicchismo da festival della settimana. Una commedia romantica con ambizioni d'autore che promette di essere un ottimo bersaglio per i miei colpi proibiti, ma che non ho abbastanza voglia di vedere neppure per bistrattarla a dovere.
Lascio questo pseudo innamoramento artistico al buon Cucciolo Eroico, che sicuramente lo troverà innovativo e visivamente strabiliante. Come Detachment! Ahahahahaha!
Il consiglio di Cannibal: …e l’odio per Ford dura tutta la vita!
Non mi sembra certo un film da festival come le mattonate russe che solo Ford si guarda, piuttosto una commedia francese che potrebbe rivelarsi gradevole, considerato lo stato di grazia attuale dei nostri cugini. Almeno al cinema, non certo sul campo da calcio dove hanno rimediato una figura quasi peggiore di quelle che rimedia di solito Ford quando pretende di fare l’esperto di cinema.

"A Kaye non bastava tornare tra i banchi di scuola: ora per fare il giovane si mette anche a twittare!"
Il cammino per Santiago di Emilio Estevez


Il consiglio di Ford: mi piacerebbe portare il Cannibale a fare un pò di trekking. Potremmo girare il remake di 127 ore.
Un film che potrebbe rivelarsi un pericoloso concentrato di retorica, ma che potrebbe anche sorprendere in positivo se girato senza farsi prendere la mano.
Sicuramente, rispetto alle propostone da salotto sfilate fino ad ora, preferisco rischiare con questa camminata: se non altro, avrò preso un pò d'aria invece che soffocare tra un the ed il profumo invadente delle milf compagne di merende del Cannibale.
Il consiglio di Cannibal: io mi incammino lontano, anzi scappo di gran corsa!
Riporto la trama da mymovies (http://www.mymovies.it/film/2010/ilcamminopersantiago/): “Il film racconta il dramma incentrato sulla storia di Tom Avery, oftalmologo californiano che - alla notizia della morte del figlio durante una tempesta sui Pirenei - si reca in Francia per farlo cremare, poi ripone l’urna con le ceneri nello zaino del ragazzo e si mette in viaggio lungo il Cammino di Santiago, portando a termine il pellegrinaggio intrapreso dal figlio.”
Poche righe appena che però sono bastate per farmi addormentare manco fossero una visione fordiana.

Questa insomma è una pellicola che sa di mattonata assurda e pure buonista che non vedrò nemmeno sotto tortura, preferendo inseguire il Ford fino a Lourdes. Dove spero accada un miracolo e lui si possa trasformare in una persona che giudica i film in base al loro valore cinematografico reale, e non ai suoi deliri egocentrici personali. Come il suo parere su Detachment ben conferma uahahah

"Qui giace un regista che si diceva molto promettente, un certo Tony Kaye."
Take shelter di Jeff Nichols


Il consiglio di Ford: Take shelter è arrivato anche in Italia. Se non correte a vederlo vi prendo a bottigliate più del Cannibale!
Grazie a tutti gli dei della distribuzione e del Cinema una delle pellicole più importanti dell'anno, già uscita nel resto del mondo, fa la sua comparsa nelle nostre sale: un film straordinario con un finale oltre ogni confine che è riuscito a mettere d'accordo perfino me e il Cannibale, entusiasmandoci neanche fosse in grado di farci dimenticare tutte le nostre Blog Wars passate e future.
Un film pazzesco che ho già visto e recensito - http://whiterussiancinema.blogspot.it/2012/02/take-shelter.html - che avete l'obbligo morale e materiale di correre a vedere.
Altrimenti la vendetta - questa volta mia e del Cannibale all'unisono - sarà terribile.
Il consiglio di Cannibal: take that!
Ford che dà un parere azzeccato su un film?
Sarà già tornato da Lourdes?
I miracoli succedono davvero?
Meglio non farsi troppe domande e dire solo: guardate questo film, già recensito entusiasticamente anche da me (http://pensiericannibali.blogspot.it/2012/02/take-shelter-la-follia-prima-della.html)! Che sia al cinema, nelle solite quattro sale in croce che lo daranno, oppure per altre vie, non perdetelo. Perché se non lo vedete, neanche il rifugio anti uragano costruito dal protagonista della pellicola potrà salvarvi dalla mia ira!

"Figlia mia, io a Detachment ho messo una croce sopra."

Euro 2012 - Semifinali

La trama (con parole mie): e così, anche Euro 2012 si avvia alla conclusione, per una finale del tutto insperata alla vigilia della competizione. L'Italia di Prandelli, partita come assoluta underdog, giunge a sorpresa a bussare alla porta delle Furie rosse, alla loro terzo "ultimo atto" consecutivo dopo Euro 2008 e i Mondiali 2010, entrambi vinti.
Non c'è due senza tre, si dice in giro.
Io dico che ormai, con i sogni non si scherza.
E non solo con loro.


Balo si aggrappa ad una maglia riconquistata, Lahm vede il fantasma azzurro pronto a tormentarlo di nuovo.

Sognare ha pagato.
Cazzo, se ha pagato.
Nonostante il risultato - che, come per la partita contro l'Inghilterra, ci sta molto stretto -, ho chiuso la semifinale di questo Euro 2012 assolutamente incredulo.
Per la prima volta - tolto il recupero conclusivo - mi pare quasi di non aver sofferto per una partita dell'Italia.
Raramente, da quando mi ricordo, ho potuto provare sensazioni come queste: certo, c'è stata Italia-Ucraina ai quarti del Mondiale 2006, o Italia-Bulgaria semifinale del Mondiale 1994, vinte entrambe senza grossi patimenti.
Questa sera, però, ad attenderci, c'erano i panzer tedeschi reduci da quindici vittorie ufficiali consecutive, nonchè unica squadra di questo Europeo ad avere solo e soltanto vinto, con la voglia di riscatto coltivata dal pensiero che l'Italia è da sempre la loro bestia nera - mai battuta in partite della fase finale dell'Europeo o del Mondiale, i ricordi del 2006, del 1982 e del 1970 ancora impressi nella memoria -: e cosa accade, all'Italia delle scommesse, degli scandali, della crisi e dei giocatori che non esultano?
Accade che Prandelli mette in campo un undici che non sbaglia (quasi) un colpo, mette all'angolo i tedeschi con due magie di Cassano e Montolivo - assist straordinari - concretizzate da due prodezze - soprattutto la seconda - di Balotelli e si permette addirittura di sbagliare palle gol clamorose nel secondo tempo con Di Natale e Marchisio, imponendo praticamente sempre il suo gioco ed annullando i vari Gomez, Schweinsteiger, Lahm, Muller e Klose.
Julez ha sollevato il dubbio che il buon SuperMario potrebbe aver dato almeno un'occhiata al mio post a seguito della partita con l'Irlanda di una decina di giorni fa, e chissà, forse piace anche a me pensarla così.
Forse Prandelli è riuscito a stimolare il ragazzo nel modo giusto.
Forse tutto e il contrario di tutto.
Eppure, da tifoso e da appassionato di calcio, è una gioia vedere una giovane promessa realizzare due gol così pesanti, e soprattutto esultare con il sorriso, godendosi un palcoscenico che può e deve essere suo, domenica compresa.
E ci sta tutta anche quel pò di arroganza della posa sulla seconda rete, come a dire: "Da qui non mi muovo".
E nessuno vuole che tu da lì ti muova, Mario.
Anzi, hai un Paese intero che tra qualche giorno sarà con te, consacrandoti di fatto al ruolo di superstar del pallone, riponendo tutte le speranze e tutti i sogni che vorrà vedere concretizzati in una mina come quella che mette in ginocchio Neuer - e la Germania - come se non ci fosse un domani, e non importerà se gli avversari saranno più forti, o favoriti, perchè ci sarai tu ad annichilirli, sfruttando le energie e quel fare tamarro che fino ad ora avevano girato solo dalla parte sbagliata, per te.
Si può essere tamarri anche nel modo giusto, Mario.
"Ho visto l'era punk, quella metallara, quella dark, quella paninara, quella dei finti ricchi, quella dei finti poveri, e ancora io sono qui invariato, niente m'ha cambiato e sento finalmente che il momento mio sia arrivato, tipa con gli altri non c'ho sfida sai, il tamarro è sempre in voga perche' non è di moda mai", cantavano nell'ormai lontano 1996 gli Articolo 31: quell'anno, in Inghilterra, agli Europei l'Italia fu eliminata nella fase a gironi, ed in finale giunsero Germania e Repubblica Ceca, che si qualificarono proprio a scapito degli Azzurri.
Sono passati sedici anni, e nell'ultimo atto della competizione tornano ad incrociare il loro cammino due compagini che si sono già fronteggiate, come a ribadire che il momento - questo momento, questo Europeo - era ed è tutto loro.
Coincidenze quasi lostiane.
Quattro anni fa, fu proprio la Spagna ad eliminare i Nostri dall'Europeo.
Vidi la partita sempre con Julez, in una camera d'albergo in Polonia.
Che, guarda caso, ha ospitato questa edizione del torneo.
Fu una brutta partita, noiosa e poco emozionante. Finì tutto ai rigori, quasi in sordina.
Questa volta no.
Voglio continuare a sognare.
Voglio bene alla Spagna e agli spagnoli, ma quel rosso è pronto per essere caricato.
Abbiamo preso la rincorsa, e come tori non possiamo fermarci fino a quando non avremo incornato il bersaglio grosso.
Mario, ascoltami ancora una volta. Soprattutto questa volta.
Voglio continuare a sognare.
Domenica vinciamo.
In fondo, noi della Terra dei cachi siamo fatti per soffrire, e subire, e subire ancora.
E alzare la testa quando tutti si aspetterebbero di vederci nascondere come struzzi.
E vincere, cazzo.
Andiamo a vincere, ragazzi.

MrFord

E' partita un'accozzaglia male assortita, è arrivata in finale una squadra.


P. S. Non ho parlato della seconda semifinale, che ha visto la Spagna imporsi ai rigori sul Portogallo. Non che ci fosse molto da raccontare. E' stato come perdersi nella tecnica senza cuore.
E per la prima volta Cristiano Ronaldo, giocatore formidabile ma clamorosamente poco simpatico ed empatico, è finito per diventare quasi un eroe romantico.

giovedì 28 giugno 2012

Men in black 3

Regia: Barry Sonnenfeld
Origine: Usa
Anno: 2012
Durata: 106'



La trama (con parole mie): gli agenti J e K, ormai da quattordici anni in servizio uno accanto all'altro, vedono il loro problema di incomunicabilità drasticamente risolto del criminale alieno Boris l'animale, che evaso dal supercarcere lunare costruito su misura per lui torna sulla Terra per recuperare un congegno che gli permetta di viaggiare nel passato ed uccidere il giovane K prima che quest'ultimo gli costi un braccio e la libertà.
J, rimasto come orfano dopo la dipartita dell'amico, deciderà a sua volta di viaggiare negli anni sessanta anticipando Boris con l'intento di salvare il compagno e collega - ma anche la Terra - ponendo fine una volta per tutte alla minaccia dello stesso Boris. Che, per l'occasione, varrà praticamente doppio.




A volte è davvero curioso come i film dai quali ci si aspetta poco e niente riscano a sorprenderci: ho approcciato quest'ultimo - ma sarà davvero così? - capitolo delle avventure degli agenti J e K a distanza siderale dalla visione del loro discreto esordio sul grande schermo, senza aver visto il secondo capitolo delle avventure dei suddetti e con l'impressione che sarebbe stata la visione giusta per una serata di relax al termine di una settimana di lavoro piuttosto piena.
Una roba in stile Battleship, per intenderci.
E invece, al contrario di tutte le previsioni possibili, Sonnenfeld e soci confezionano un film che intrattiene, diverte, stupisce in positivo e risulta anche ben più coinvolgente e profondo di quello che parrebbe, riuscendo nel suo piccolo a mettere d'accordo gli spettatori di ogni età così come gli appassionati di Cinema e gli utenti casuali: certo, questo Men in black 3 non inventa nulla di nuovo, e pesca a piene mani dall'immaginario di Ritorno al futuro così come del recente Tron: legacy, eppure riesce in qualche modo a rendere omaggio alle pellicole appena citate senza apparire un vuoto scopiazzamento, e a rinverdire i fasti del primo capitolo dopo la caduta di stile - a quanto pare evidente - del secondo presentandosi senza vergogna come un intrattenimento tutto sommato intelligente e con un discreto stile a metà strada tra il vintage ed il kitsch.
In questo contesto si inserisce un cast in ottima forma, da Will Smith - che continua a dare il meglio quando il ruolo prevede che azzeri i suoi neuroni ed abbandoni le ambizioni da Oscar - a Tommy Lee Jones - una maschera che ricorda quella di Clint con e senza il sigaro - fino alla conferma di un Josh Brolin che da qualche anno a questa parte sta vivendo una seconda giovinezza, e che riesce a calarsi nella parte del giovane Agente K finendo per fornire una sorta di curiosa imitazione che sa di citazione cult dello stesso Jones.
Perfino il cattivo scelto per l'occasione, Boris l'animale - interpretato dal semisconosciuto neozelandese Jemaine Clement, che pare un incrocio tra un aracnide e "Macho Man" Randy Savage -, risulta azzeccato nel ruolo di variabile impazzita e malvagia lanciatasi nel corso del tempo, nonchè motore della storia tra K e O e di quello che sarà il rapporto da padre e figlio di K e J.
Una lietissima sorpresa, dunque, in grado di dare spessore al suo aspetto più tamarro - perfettamente reso dalla schermaglia con gli alieni all'interno del ristorante finto cinese - regalando al contempo un crescendo finale non estraneo ad una certa emozione, capace di esprimere appieno le potenzialità dei protagonisti e donando all'aspetto ludico e fumettaro di questo brand una profondità emotiva inaspettata, andando a toccare temi come quello dell'eredità che lasciamo a chi viene dopo di noi o dell'amicizia e dell'amore come mai avrei detto si sarebbe potuto tentare anche solo di sfiorare con una pellicola di questo genere.
Già so che molti di voi storceranno il naso, all'idea di sentirmi così soddisfatto da una visione di questo tipo, ma è proprio qui che sta il bello di amare il Cinema in toto, a prescindere dall'autorialità o da quello che può essere cool o figo da promuovere dando l'idea di essere il blogger di riferimento nel settore: negli anni in cui mi sono dedicato soltanto ai mattonazzi e alla tecnica dura e pura difficilmente mi è capitato di rimanere sorpreso e soddisfatto come, a volte, mi capita di ritrovarmi in casi come questo.
Questione di aspettative, forse.
Oppure, più semplicemente, come nella vita di tutti i giorni, o per gli amici, i parenti o la persona amata, è giusto approcciare ogni aspetto di quello che riesce a conquistarci: e così eccomi qui, a scrivere che Men in black III è davvero un bel film.
Non sarà certo destinato a scrivere la Storia della settima arte, ma ritengo che il pensiero non abbia neppure sfiorato la mente di Barry Sonnenfeld.
Eppure, per un paio d'ore di una serata di stanca e di godurioso relax casalingo, è riuscito a lasciarmi, a modo suo, a bocca aperta.
E questa è la prerogativa migliore che il Cinema possa avere.


MrFord


"Ma non dimentico
tutti gli amici miei
che sono ancora là
e ci si trova sempre più soli
a questa età non sai...non sai."
Eros Ramazzotti - "Adesso tu" -


mercoledì 27 giugno 2012

Nora Ephron (1941 - 2012)


So long, Miss Sally.

MrFord

"Lay down, Sally, and rest you in my arms.
Don't you think you want someone to talk to?
Lay down, Sally, no need to leave so soon.
I've been trying all night long just to talk to you."
Eric Clapton - "Lay down Sally" -


Biancaneve e il cacciatore

Regia: Rupert Sanders
Origine: Usa
Anno: 2012
Durata: 127'




La trama (con parole mie): ispirata dalla nota fiaba, questa nuova incarnazione gotica e guerresca di Biancaneve vede la giovane principessa tenuta prigioniera per tutta la sua adolescenza dalla perfida regina Ravenna, giunta a sedere sul trono del regno una volta eliminato il padre della ragazza.
Fuggita dal castello, sulle sue tracce viene sguinzagliato un cacciatore vedovo ed ubriacone, unico a conoscere a fondo la foresta maledetta all'interno della quale Biancaneve ha trovato rifugio: l'incontro tra i due porterà ad un'alleanza destinata a coinvolgere nella lotta contro il potere oscuro di Ravenna i nani e gli abitanti della foresta così come del regno, ansiosi di porre fine al dominio della donna eternamente giovane e dei suoi biechi tirapiedi, primo fra tutti il suo stesso fratello.
Ci sarà tempo per sacrifici, magie, amori, mele avvelenate e battaglie prima del confronto finale e dell'ovvio trionfo del Bene sul Male.




Passate - o quasi - le mode dei supereroi e dei vampiri, questo duemiladodici pare proprio essere l'anno dei ripescaggi dal bacino - a dire il vero enorme - delle favole: ovviamente, una delle protagoniste di questo nuovo trend non poteva che essere Biancaneve, forse la principessa più amata dal pubblico dai tempi dell'immortale classico targato Disney.
Così, dopo la discreta e timida Snow co-protagonista del serial Once upon a time e la pessima versione di Tarsem Singh è stata la volta di Rupert Sanders - regista esordiente - di portare sul grande schermo le gesta del suo ritratto del personaggio: palesemente influenzato da un gusto dark, lo stesso Sanders sceglie di trasformare la canterina damigella in una guerriera battagliera che deve moltissimo della sua caratterizzazione all'immaginario dei fumetti e del neo-romanticismo che negli ultimi anni ha prodotto, a livello letterario, una dose non indifferente di spazzatura in grado di fare faville soprattutto rispetto alle lettrici adolescenti.
Pur se certamente non nuova, questa versione di Biancaneve risulta comunque leggermente meno irritante di quella opposta a Julia Roberts nella già citata ciofeca firmata Singh, riportando sul grande schermo un contesto fantasy che ricorda molto le meraviglie degli anni ottanta come La storia infinita - palesemente citata nella sequenza della morte del cavallo - e La storia fantastica così come la più recente trilogia de Il signore degli anelli, rispolverando un certo gusto per l'avventura che non dispiace cucito addosso al personaggio e alla sua spalla, un cacciatore con quell'aura da eroe maledetto e solitario in grado di convincere anche la parte maschile dell'audience ad affrontare una visione altresì troppo dipinta di rosa.
La stessa regina Ravenna - interpretata più che bene da Charlize Theron -, mossa da un sentimento di rivalsa verso il genere maschile, il Tempo e la vita in genere, ha tutte le carte in regola per essere quella vecchia stronza che ogni cattiva da fiaba merita di essere, ed il look non solo oscuro ma anche decisamente "liquido" - che la donna condivide con il famigerato specchio - dalle rimembranze in pieno T-1000 style risulta funzionale ed inquietante al punto giusto per renderle il carattere che è mancato sia alla versione shampista della Roberts che a quella finto senza cuore di Lana Parrilla.
Detto così, parrebbe quasi che questo Biancaneve e il cacciatore si possa rivelare come un'inaspettata ficata, ma lungi da me e dalle mie bottiglie metterla in questi termini: il fatto è, infatti, che nonostante il prodotto risulti tranquillamente godibile nel suo essere puro intrattenimento, non esiste nulla che mi possa convincere del fatto che non si tratti di robetta buona giusto per i nostalgici della terrificante epopea twilightiana o per adolescenti in cerca della prima - non troppo convinta - cotta cinematografica o in attesa di sistemarsi ben bene in ultima fila per limonare duro due orette piene.
Tolta, infatti, la già citata Charlize Theron la coppia protagonista Hemsworth/Stewart funziona davvero maluccio, il primo a darsi da fare per un ruolo che avrei visto decisamente meglio sulle spalle di un non più di primo pelo Hugh Jackman e la seconda che continua imperterrita a percorrere la strada di sciapissima predestinata che, al contrario dei nani, non seguirei neppure se, per citare il Cannibale ed il suo libro presto recensito da queste parti, "riuscisse a tramutare l'acqua in birra".
Per il resto, la pellicola risulta una sorta di versione minore delle fiabe dark di Tim Burton - quello vero, non la controfigura da due soldi che ne ha preso il posto negli ultimi anni - filtrata attraverso scopiazzature e citazioni di film più o meno memorabili, dal pessimo Solomon Kane al sottovalutato e decisamente interessante Robin Hood firmato Ridley Scott, per finire con una clamorosa scena-fotocopia della meraviglia di Miyazaki La principessa Mononoke - tutta la sequenza del cervo nel cuore della foresta giustificherebbe un'accusa di plagio da parte del Maestro giapponese -: troppo poco per brillare di luce propria o fare breccia negli appassionati di Cinema più esigenti o nel pubblico che si conceda più della visione di routine nel multisala del weekend.
Certo, gli incassi - almeno in Usa, ma scommetto sarà lo stesso anche qui da noi - hanno già premiato il lavoro di Sanders, tanto che pare sia stato già annunciato addirittura un sequel - del resto, il finale risulta aperto soprattutto rispetto al potenziale triangolo amoroso tra Biancaneve, il cacciatore e l'amico d'infanzia della protagonista William, figlio del Duca alla guida dell'esercito che segna il riscatto del regno rispetto alle forze di Ravenna -, eppure tutto mi fa supporre che meglio di così non si possa fare, considerata la materia a disposizione - in termini di talento, principalmente -.
Di sicuro dunque non tratterrò il fiato in attesa di questo nuovo capitolo, e mi accontento di sapere di essere passato quasi indenne attraverso la visione di questo primo film: poteva andare decisamente peggio.
Chi ha avuto esperienza in ambito twilightiano, sa benissimo di cosa sto parlando.


MrFord


"Two times in.
I've been struck dumb by a voice that
speaks from deep
beneath the endless waters.
Twice as clear as heaven,
twice as loud as reason.
Deep and rich like silt on a riverbed
and just as never ending."
Tool - "Undertow" -


 

martedì 26 giugno 2012

Detachment

Regia: Tony Kaye
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 97'




La trama (con parole mie): Henry Barthes è un professore supplente di letteratura abituato a muoversi di istituto in istituto, saldo nel suo proposito di mantenere un distacco dagli studenti tale da fornire loro nel modo più equilibrato possibile tutti gli strumenti necessari per affrontare le difficili prove della vita.
Giunto in una nuova scuola sulla quale gravano i problemi dei giochi di potere rispetto alla direzione ed una condotta dei ragazzi praticamente incontrollabile, il giovane insegnante finirà per confrontarsi con le angosce dei suoi alunni, del resto degli insegnanti e di una giovane prostituta che cercherà di redimere in modo da fornirle un'alternativa alla strada.
Il tutto tenendo botta, non senza difficoltà, ai colpi inferti dai fantasmi di una vita senza buoni maestri che non ha lesinato nel segnarlo nel profondo del cuore.





"Ora basta", affermava deciso James Belushi/Rick Latimer nel supercult del trash tardo anni ottanta The principal, deciso a debellare tutto quello che rendeva il disastrato istituto che era stato spedito per i suoi problemi di condotta a dirigere un luogo in cui i giovani studenti si sarebbero persi.
Più o meno, è stato il mio pensiero quando i titoli di coda hanno posto fine alla sofferenza che è stata la visione di Detachment, celebratissimo ed attesissimo - da me per primo - grande ritorno sugli schermi di Tony Kaye, autore di un film che segnò un'intera generazione sul finire degli anni novanta, quell'American history X che, con tutti i suoi limiti, ancora riesce a scuotere il sottoscritto ad ogni visione.
Perchè lo sfoggio di autoreferenzialismo, retorica, arte pretestuosa e demagogia che è questo quasi infinito monologo di un Adrien Brody tornato ad interpretare il suo bollito personaggio depresso dopo l'illusione di ripresa data con il magnifico Dalì di Midnight in Paris volutamente ed insistentemente narrato da Kaye come se fossimo ancora nei magnifici anni dei Cahiers du Cinema, o nel pieno del fermento intellettuale dello stile jazz del primo Cassavetes è una delle delusioni più cocenti e terribili dell'anno, una sviolinata da presuntuosi e presunti grandi saggi della vita e della settima arte venuti a salvare noi poveri stronzi mortali dalle insidie del mondo brutto e cattivo.
Negli anni del mio percorso da studente, purtroppo per il sottoscritto, non ho avuto la fortuna di incontrare un insegnante davvero completo e rispettoso di uno dei ruoli più difficili, impegnativi ma anche appaganti dopo quello del genitore: spesso e volentieri mi sono trovato di fronte individui che, frustrati dalle mancate realizzazioni delle aspirazioni di gioventù, finivano per sfogare gli insuccessi personali esercitando il potere sugli studenti capitati nelle loro mani, senza preoccuparsi di quello che sarebbe stato di loro una volta terminato il percorso didattico - riferimento presente ad inizio pellicola, unico momento davvero promettente del lavoro di Kaye -.
Piccoli uomini e donne, incapaci di comprendere la vera meraviglia del ruolo di educatore: quello di consegnare ai propri allievi tutti gli strumenti possibili affinchè gli stessi possano fare sempre e comunque meglio di quanto abbiamo fatto noi stessi, e non necessariamente seguendo la stessa strada.
Una sorta di passaggio di testimone, una versione ancora più complessa - se possibile - di quello che dovrebbe accadere anche in famiglia.
Ma quasi peggio di tutti loro sono stati i presunti messia dell'insegnamento: personaggi ancora più subdoli, perchè nel loro caso il potere esercitato sugli studenti faceva leva sul fascino che erano in grado di esercitare fingendo una partecipazione ed un interesse che altro non erano se non un massaggio all'ego anche più disturbante di quello dei loro colleghi assetati di potere.
Passato il primo quarto d'ora scarso fino alla conclusione, è come se fossi stato ancora tra i banchi di fronte ad uno di questi ultimi, inebetito dalle fregnacce di un presunto messia, che mi sono sentito. Tanta voglia di stupire, imporre la propria idea, fare in modo che la stessa fosse percepita come migliore delle altre seppur celata dietro il confortante abbraccio del suggerimento.
Pensate con la vostra testa, ragazzi. Leggete, guardatevi attorno.
Ma fatelo sempre e comunque con i miei occhi.
A poco e nulla servono una messa in scena confezionata apposta per i Festival, un cast all star in cui James Caan e Bryan Cranston finiscono per fare le comparse di lusso dando spazio a Sami Gayle e Betty Kaye, brave abbastanza per i ricatti morali che sono i loro due ruffianissimi personaggi, supportati da una sceneggiatura che nel compimento delle vicende di Erica e Meredith trova il punto più alto - o più basso - della sua retorica mascherata da opera d'arte.
Con pellicole di questo genere ci vorrebbe lo Spike Lee dei tempi migliori, da Fa la cosa giusta a La 25ma ora: non si gioca con i ragazzi, i loro destini, le idee che vorresti fossero ancora le tue, perchè sei il primo che vorrebbe essere ancora al loro posto, e viverti tutta la vita con la testa di un adulto.
Loro sono qui per fare molto meglio di quello che abbiamo fatto noi.
E questo Detachment, passatemi il termine duro e piuttosto brusco, mi ha lasciato un sapore amaro in bocca: quello della pedofilia culturale.
Quindi, caro il mio Tony Kaye dell'insegnante buono che però pensa tanto a guardare in macchina e farsi bello scandalizzandosi se una collega dubita di lui, che ha abbracciato una studentessa in lacrime plagiata dal suo modo cool di farla sentire speciale, vaffanculo.
Vaffanculo i disegni da film radical chic del cazzo, il montaggio alternativo, il voler premere sull'acceleratore quel tanto che basta per far rimanere a bocca aperta qualche Giuria che non sa davvero cosa significa stare tra quei banchi.
E mi sa tanto che non lo sai neanche tu.
Fanculo tu ed il tuo sincero patinatismo, o paternalismo che dir si voglia.
Ti rispedisco tra i banchi a suon di bottigliate.
Bocciato.
E chissà che l'anno prossimo, se sarai ne La classe giusta, tu non ti decida ad imparare qualcosa.
O ancora meglio, ad insegnarla.


MrFord


"Well we got no choice 
all the girls and boys
makin' all that noise 
'cause they found new toys 
well we can't salute ya can't find a flag 
if that don't suit ya that's a drag."
Alice Cooper - "School's out" -


 

lunedì 25 giugno 2012

Euro 2012 - Quarti di finale

La trama (con parole mie): in questi giorni di caldo ben più che estivo il clima si è fatto rovente anche ad Euro 2012, con i quarti di finale che hanno definito le quattro semifinaliste del torneo.
Gli schieramenti rappresentano il meglio del calcio continentale odierno - e non solo -, e completano un "best four" senza alcuna sorpresa, quasi come se in questo Europeo non ci fosse spazio per i sogni, ma solo per le certezze.
O forse no.
Per fortuna di noi tifosi e del calcio.


Buffon acchiappa la qualificazione, e non la molla.

Da tifoso ed appassionato di calcio, posso dire di aver legato, in qualche modo, la mia esistenza di spettatore - soprattutto rispetto alle partite della Nazionale - ai calci di rigore: la terribile lotteria dagli undici metri mi segnò già dalla prima volta, quando una delle selezioni azzurre più forti degli ultimi trent'anni venne eliminata dall'Argentina di Maradona in semifinale ad Italia '90 dopo un Mondiale perfetto, dal quale uscimmo imbattuti subendo la prima rete proprio contro i biancocelesti.
Seguirono la finale di Usa '94, persa con il Brasile sempre dal dischetto, segnata dall'errore di Roberto Baggio - che divenne una vera e propria maledizione sulla sua carriera -, l'eliminazione ai quarti a Francia '98 contro i cugini transalpini che alla fine vinsero la competizione, l'incredibile semifinale all'Europeo del 2000 contro l'Olanda con protagonista un Toldo monumentale ed ovviamente la vittoria in quella notte del luglio 2006, vendetta tremenda vendetta sugli odiati rivali francesi ancora scossi dalla testata di Zidane a Materazzi.
Questo senza contare il Milan - due finali di Champions, una vinta ed una persa dal dischetto, ed una della vecchia Coppa Intercontinentale, anche questa sfumata -.
Posso dire, dunque, di essere un discreto veterano in merito: eppure la tensione di quei momenti non si riesce mai ad esorcizzare del tutto.



Ieri sera, ancora una volta, dopo una partita giocata con il cuore da un'Italia che finalmente comincia a conquistarmi nonostante i suoi problemi realizzativi - quattro gol in quattro partite, tre su palla inattiva, decisamente pochino - di nuovo ho sentito il fiato sul collo del dio del calcio che veniva a reclamare la sua vittima sacrificale: dopo il palo clamoroso di De Rossi a tre minuti dal calcio d'inizio, l'intervento di Buffon poco dopo, gli errori dello stesso De Rossi, Montolivo e Balotelli sottoporta, il legno di Diamanti, ero ormai convinto che la suddetta divinità avesse già deciso di vestire inglese, in barba ad una partita dominata dai nostri, che avrebbero meritato almeno un sonoro due a zero già nei tempi regolamentari.
La convinzione è diventata una quasi certezza quando ho visto Montolivo avvicinarsi al dischetto per battere il secondo penalty: ho visto - e non per la prima volta - prendere sostanza la regola secondo la quale, talento a parte, un giocatore senza il dovuto carattere, di fronte ad una pressione di quel genere, crolla inesorabilmente.
Peccato, ci siamo detti in casa Ford. Uscire proprio al termine della partita meglio giocata.
Ma evidentemente nell'Olimpo calcistico l'Italia deve avere qualche santo protettore, perchè sul volto di Young d'improvviso si dipinge il terrore, e la traversa pare rigettargli indietro ogni speranza poco prima che Buffon - già autore di un intervento fondamentale nel primo tempo - metta le mani sul tiro non irresistibile di Cole.
A quel punto, la responsabilità è tutta su Diamanti, uno cui non ho mai dato troppa importanza: e invece il tatuato sosia di Niccolò Fabi sfodera una mina che spiazza Hart e consegna la vittoria agli Azzurri, tornando ad accendere l'emozione che da troppi anni pareva essersi affievolita.
Se davvero questo Europeo non ha riservato sorprese incredibili o portato alla fine squadre rivelazione, mi pare che tutti i sogni poggino sulle spalle di questa Italia scombinata, segnata dalle scommesse e dagli scandali ed apparentemente slegata, appesa ad un Balotelli che non esulta e tanti uomini di fatica, al concetto di underdog che nelle grida di Buffon diviene quasi un monito: "Non svegliate il can che dorme".
E la magia - perchè di magia si è trattato - del cucchiaio di Pirlo sul rigore che poteva segnare un incubo pare proprio aver suonato la sveglia.
Sognamo ad occhi aperti.
E giovedì andiamo ad affrontare gli apparentemente imbattibili tedeschi.
Con l'impressione che, ora, non siano più così imbattibili, e in mente impresso un ricordo che ci porta bene, quello della semifinale del Mondiale 2006.

Il "prestige" di Pirlo.
Il resto delle sfide è stato, invece, tutto realtà.
Il Portogallo di un sempre più lanciato Cristiano Ronaldo ha posto fine all'avventura della modesta Repubblica Ceca senza neppure troppa fatica nonostante il risultato finale, la Germania ha spezzato i sogni di mezza - se non tutta - Europa spazzando via la Grecia sfoderando i muscoli per sbriciolare l'illusione ellenica nata da un pareggio - momentaneo - insperato e la Spagna ha gentilmente reso un altro servizio - dopo il mancato biscotto con la Croazia - a noi italiani rispedendo senza dare l'impressione di sudare per farlo a casa la Francia come si suppone farà con i lusitani in semifinale.
Buffon, appreso della qualificazione dopo la partita con l'Irlanda, ha dichiarato di dovere un favore alle Furie rosse: speriamo non l'abbiano preso troppo sul serio, perchè dovessimo ritrovarli in finale, non esiste che si esca senza vincere.
Forse le sparo troppo grosse, ma a questo punto, tutto è lecito.
Soprattutto sognare.


MrFord


Le paludi della morte

Regia: Ami Canaan Mann
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 105'



La trama (con parole mie):  Mike e Brian sono due colleghi detectives dalle diverse inclinazioni. Il primo è giovane, preciso ed arrabbiato, ha un matrimonio fallito alle spalle - con la tosta poliziotta Pam - e pare in lotta con il mondo. Il secondo si è rifugiato nel profondo Texas con la famiglia per allontanarsi da New York e dal passato, in bilico tra Fede e (co)scienza e sempre pronto a sacrificare tutto il possibile - e anche di più - per garantire sicurezza e giustizia.
Quando un caso di omicidio della loro giurisdizione si incrocia con un'indagine legata a misteriose sparizioni e morti avvenute in tutta la regione, consumate nell'area delle temibili paludi che circondano la contea, i due si troveranno a dover affrontare i loro fantasmi personali nel corso di un'indagine torbida quanto il fango pronto ad inghiottire i corpi delle giovani vittime di quella che pare essere una coppia di assassini.





Essere figli d'arte non dev'essere affatto una cosa facile, soprattutto quando si è costretti a confrontarsi con un'eredità pesante e certo non comoda: da Sean Lennon a Jacob Dylan, passando per i numerosi eredi di Bob Marley, abbiamo visto quanto, nella Musica, possa essere impietoso vivere all'ombra dei propri genitori, ed anche con il Cinema le cose non paiono essere andate tanto meglio.
La pargoletta di Lynch, così come la decisamente più ispirata e talentuosa Sofia Coppola, non sono riuscite neppure lontanamente ad avvicinarsi alla grandezza dei loro padri, ed anche Ami Canaan Mann, figlia del celebratissimo Michael - uno degli autori action più amati in casa Ford -, pur mostrando buoni presupposti per il futuro, per il momento cede impietosamente il passo nel confronto anche con i primi lavori del regista di Heat - La sfida e Nemico pubblico - tra gli altri, ovviamente -.
Non che Le paludi della morte - adattamento pessimo del decisamente più funzionale Texas killing fields - sia un brutto film, o che non si intraveda qualche piccolo lampo in grado di lasciare ben sperare, ma di certo - nonostante l'utilità indubbia di essere figlia di un regista e produttore noto e celebrato in tutto il mondo - il cognome finisce per pesare sulla pur volenterosa Amy Canaan almeno quanto una sceneggiatura decisamente non in grado di esprimere tutte le potenzialità che una vicenda come questa avrebbe potuto sfoderare.
Del resto - Lansdale insegna - il thriller sudista di ambientazione texana, se prestato ad una penna capace di maneggiarlo con cura, mescolato a storie di disagio sociale come quelle della famiglia della piccola Ann - una Chloe Grace Moretz che pare aver perso il fascino e la bravura dei tempi della Hit Girl di Kick Ass - ha tutte le carte in regola per fare da ossatura ad una pellicola potenzialmente cult, in questo caso tradita appunto dallo script, a tratti nebuloso e poco attento nel definire al meglio la profondità dei personaggi - i due poliziotti protagonisti, ma anche la maggior parte dei charachters di contorno appaiono solo accennati e decisamente stereotipati, a cominciare da uno dei colpevoli, perfettamente individuabile come tale fin dalla sua prima apparizione sullo schermo -: al contrario, il comparto tecnico risulta decisamente interessante, dalle ambientazioni alle sequenze d'azione - nonostante alcune sbavature che, del resto, c'è da dire che la Mann avrà tutto il tempo di correggere -, e grazie principalmente a Jeffrey Dean Morgan e Jessica Chastain - che avrebbe meritato ben più spazio - anche la media del cast riesce a mantenersi su buoni livelli - nonostante Sam Worthington continui imperterrito nel suo percorso di interprete monocorde e pericolosamente simile ad un paracarro, in quanto ad espressività -.
Nel complesso, comunque, Le paludi della morte risulta un discreto punto di partenza per la sua regista - sul quale lavorare, e molto, magari lontana dal padre, qui presente nelle vesti di produttore -, un film onesto che si inserisce nel filone di pellicole decisamente di altro livello come Il silenzio degli innocenti, Manhunter o Seven ma anche di piccole perle nascoste come In the electric mist, che conta molti punti in comune con questo Texas killing fields: una buona visione, dunque, a metà tra il Cinema d'autore e la grande distribuzione che in questo torrido inizio d'estate rischia di fornire qualche spunto perfetto per una serata in bilico tra brividi - il tentato omicidio mostrato nella prima parte, una delle sequenze migliori della pellicola - e riflessioni - lo stato in cui versa la famiglia della giovane Ann e la situazione di questi piccoli centri urbani che paiono distaccamenti delle periferie più disagiate delle grandi città portate da un qualche crudele tornado nel mezzo del nulla in tempo per essere lasciate in completa balìa della Natura -.
Non sarà destinata a fare la Storia del Cinema, ma, forse, potrà rimanere un piccolo ricordo di una "stagione selvaggia".


MrFord


"Now lemme tell you a story
the devil he has a plan
a bag a' bones in his pocket
got anything you want
no dust and no rocks
the whole thing is over
all these beauties in solid motion
all those beauties, gonna swallow you up."
Talking Heads - "Swamp" -


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